tecnici e giuristi insieme: approfondimenti tecnico-giuridici sistematici

Edilizia - Giurisprudenza

TAR Veneto, sez. 2, 16 giugno 2011

Contributo di costruzione: casi di esenzione - sede sindacale

Riguardo all'oggetto, il TAR evidenzia che:

La sede dell’associazione sindacale, a sua volta, non può essere qualificata come un’opera pubblica, o d’interesse generale, ma soltanto come un bene strumentale, mediante il quale l’associazione persegue i propri compiti statutari. ... va altresì escluso che una sede sindacale possa costituire un’opera di urbanizzazione eseguita da privato in attuazione di strumenti urbanistici, come pure la ricorrente in subordine sostiene.

è da osservare come il citato art. 17, III comma, lett. c), disponga che il contributo di costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.

Anzitutto, è indubbio che la disposizione deve ritenersi di stretta interpretazione, in quanto introduce ipotesi di deroga alla previsione generale, di cui all’art. 16, I comma, del d. lgs. 380/01, la quale assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio.

È poi evidente che lo speciale regime di gratuità richiede il concorso di due requisiti, l'uno di carattere soggettivo e l'altro di carattere oggettivo (così, da ultimo, C.d.S. IV, 2 marzo 2011, n. 1332).

 

TAR Lombardia, BS, sez. 1, 27 maggio 2011

Vincoli espropriativi del PRG - efficacia col decorso del tempo

Riguardo all'oggetto, il TAR evidenzia che:

I vincoli espropriativi imposti su beni determinati dallo strumento urbanistico hanno, per legge, durata limitata a cinque anni. Alla scadenza, se non è intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell'opera prevista, il vincolo preordinato all'esproprio decade (cfr. l’art. 2 L. n. 1187 del 1968 ed ora l’art. 9 del T.U. delle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

L'Ad. Plen. Cons. St. n. 7 del 2 aprile 1984, ha evidenziato che:

 

Consiglio di Stato, sez. 4, 8 giugno 2011

Limiti generali sui doveri di accertamento della P.A. delle situazioni proprietarie - contenuti degli accertamenti - staticità

Riguardo al primo aspetto, il Consiglio di Stato asserisce che:

Come correttamente afferma il T.A.R., “se infatti nel procedimento di rilascio del permesso di costruire l’amministrazione ha il potere dovere di verificare l’esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento dell’immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, è pur vero che l’attività istruttoria condotta a tal fine deve ritenersi adeguata allorquando siano stati acquisiti tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione”. E ciò nella considerazione che nel nostro ordinamento l’unico soggetto deputato ad accertare i rapporti proprietari è il giudice civile, per cui all’amministrazione va riconosciuto unicamente un ruolo minore, esattamente nei termini indicati dal giudice di prime cure.

In ordine al secondo punto, invece, in considerazione del fatto che la P.A. avrebbe autorizzato interventi attinenti la staticità dell’immobile e tendenzialmente idonei a pregiudicarla, in assenza di una corretta valutazione del progetto presentato ed anzi in assenza di un effettivo riscontro sulla correttezza tra la documentazione ricevuta e lo stato di fattoper i Giudici:

Occorre invece sottolineare che le attribuzioni del Comune in tema di autorizzazione degli interventi edilizi comprendono espressamente gli obblighi di valutare i profili di sicurezza delle costruzioni, come si evince dalla lettura degli art. 2 comma 4 e 4 del testo unico sull’edilizia. Tali obblighi istruttori, appartenendo alle attribuzioni istituzionali dell’ente pubblico, non sono condizionati dalle valutazioni delle parti coinvolte, ma devono essere esperiti in ogni caso e, si noti, anche qualora vi fosse stato accordo delle parti private coinvolte. Infatti, gli interessi tutelati dalla normativa, coinvolgendo profili di sicurezza privata e pubblica, non sono disponibili dalle parti ed ineriscono ai compiti tipici dell’amministrazione.

È quindi compito proprio del Comune, e come tale non soggetto ad alcun impulso di parte, procedere autonomamente alla valutazione del progetto edilizio presentato dal punto di vista del rispetto dei regolamenti edilizi, non vertendosi in questo caso in nessuna situazione soggetta a disponibilità della parte privata.

Pertanto, se è certamente vero che l’azione amministrativa non può addentrarsi oltre i limiti indicati in sentenza nella valutazione degli assetti proprietari dell’immobile, è del pari vero che le questioni attinenti alla statica ed alla sicurezza dell’immobile non rientrano in questo ambito, dovendo essere invece oggetto di ponderazione autonoma ed ineludibile.

 

Consiglio di Stato, sez. 4, 6 giugno 2011

Repressione abusivi - procedimento vincolato

Il Consiglio di Stato asserisce che:

in materia di repressione degli abusi edilizi, la Pubblica Amministrazione è titolare di poteri vincolati, il cui esercizio è fondato unicamente sul previo accertamento dell’abuso, senza che, quindi, possa essere richiesta una particolare motivazione (risolvendosi quest’ultima nel predetto accertamento dell’abusività dell’opera), e senza che possa assumere rilievo l’eventuale difetto di comunicazione di avvio del procedimento.

E ciò sia in quanto ricorre l’ipotesi di cui all’art. 21-octies, comma 2, I periodo, l. n. 241/1990, sia in quanto – nei casi in cui sussiste verbale di sopralluogo ed accertamento del manufatto abusivo in contraddittorio con gli interessati – questo atto assolve di per sé agli obblighi di informazione in ordine al successivo, doveroso avvio del procedimento. Né sussiste la violazione dell’art. 10-bis l. n. 241/1990, essendo quest’ultimo applicabile ai procedimenti ad istanza di parte e non ai procedimenti sanzionatori.

Trattandosi di doverosa attività di repressione degli abusi edilizi, non assume alcun rilievo, inoltre, la circostanza relativa alla eventuale mancata repressione di abusi analoghi, posto che l’eventuale illegittimità compiuta dall’amministrazione non può essere invocata – quale profilo di eccesso di potere per disparità di trattamento – laddove l’amministrazione faccia invece legittimo esercizio del suo potere.

D’altra parte, avendo il provvedimento con cui si ordina la demolizione natura vincolata, in presenza dei presupposti previsti dalla legge, non rilevano in ogni caso eventuali vizi attinenti al procedimento, qualora il provvedimento finale sia conforme a quello richiesto dalla legge per il caso di specie.

 

Cass. Pen., sez. 3, 17 maggio 2011

Attività edilizia libera - condizioni - limitazioni - piazzali in zona agricola - esclusione se in contrasto con PRG - configurazione reato urbanistico - sussiste

Dalla sentenza in commento si evince che la realizzazione di due piazzali in zona agricola, posti a servizio di un'attività commerciale e destinati a deposito mezzi meccanici e a riparazione di veicoli industriali, non rientrano nell'attività edilizia libera di cui al novellato art. 6 del testo unico edilizia, nè in quello di pertinenza, per cui configurano il reato previsto all'art. 44 del medesimo testo unico edilizia in quanto "nuova costruzione" subordinata a permesso di costruire.

La sentenza offre interessanti spunti argomentativi sull'attività edilizia libera.

 

Corte Costituzionale, 19 maggio 2011

Lombardia - L.R. 12/2005 - art. 64 sottotetti

Ordinanza 173/2011

Nel dichiarare la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), la Consulta argomenta in modo esaustivo la norma in questione, affermando che:

l’art. 64, comma 2, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, in accordo con tale giurisprudenza, deve interpretarsi nel senso che esso consente la deroga dei parametri e indici urbanistici ed edilizi di cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore comunale, fatto salvo il rispetto della disciplina sulle distanze tra fabbricati, essendo quest’ultima materia inerente all’ordinamento civile e rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2005);

 

Consiglio di Stato, sez. 4, 9 maggio 2011

Distanze - ancora una conferma sull'inderogabilità del dm 1444

Orbene, la giurisprudenza (cfr. Cons. St., IV, 2 novembre 2010 n. 7731), da tempo ha chiarito che l'art. 9 del d.m. 2.4.1968 n. 1444, il quale detta le citate disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la sua natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione di un piano regolatore e la prescritta distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, per cui esso disposto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine stessa.

Segue da ciò - a prescindere dalla rilevanza o incidenza connesse alle ventilate disposizioni del regolamento edilizio comunale e poiché la norma di cui all'art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 è finalizzata a stabilire un'idonea intercapedine tra edifici nell'interesse pubblico, non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza - che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di distanze e comunque non possano dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti oppure assumere ruolo interpretazioni intorno alle caratteristiche dello spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo luce, specie in zona sismica nella quale occorre in ogni caso garantire l’intervallo di sicurezza.

Nella specie, cioè, lo spazio interno –a chiostrina o cortile che sia - è conseguenza di una nuova realizzazione non a norma per distanze dal confine e dalle pareti finestrate del preesistente edificio ....

 

Consiglio di Stato, sez. 4, 1 giugno 2011

Espropriazione ed occupazione illegittima - risarcimento danno - sistemi di acquisizione

Con la sentenza in commento, i giudici amministrativi evidenziano l'espunzione dal nostro ordinamento dell’istituto dell’acquisizione de facto della proprietà in mano pubblica a seguito della realizzazione di un’opera pubblica ...Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.

 

Cassazione Penale, sez. 3, 31 maggio 2011

DURC e titolo abilitativo edilizio - connessione - effetti penali di cui all'art. 44 lett. a) d.p.r. 380/2001 - non sussistono

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte cassa una sentenza di primo grado (Tribunale Monocratico) che affermava la responsabilità penale ai sensi dell'art. 44, lett. a) del testo unico edilizia, per aver omesso/ritardato di presentare il DURC nelle due fasi previste dalla legge regionale (nel caso, quella Toscana).

La sentenza, nell'argomentare la propria motivazione, svolge un interessante excursus sugli elementi fondanti la responsabilità penale in materia edilizia-urbanistica di cui all'articolo 44 del testo unico edilizia (d.p.r. n. 380/2001), precisando il rapporto tra legislazione nazionale e legislazione regionale, nonchè la natura (giuridica) del DURC.

 

Consiglio di Stato, sez. 4, 25 maggio 2011

Porticato costruito in aderenza - natura del permesso di costruire e diritti dei terzi

Con la sentenza, si ribadisce che:

La realizzazione di strutture in muratura, sovrastate da un tetto con copertura in tegole, per il suo carattere di stabilità e permanenza costituisce una vera e propria "costruzione" in senso tecnico del termine (arg. ex Consiglio Stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1998).

Deve quindi, in linea di principio, condividersi l’assunto fondamentale degli appellanti per cui nella specie il porticato per autorimessa andava comunque ricondotto alla categoria degli "interventi di nuova costruzione", ai sensi della lettera e) dell’art. 3 del T.U. 21 giugno 2001 n.380, essendo staccato dall’edificio di cui costituiva “pertinenza” in senso proprio ed implicando una trasformazione edilizia del territorio.

Inoltre, ai sensi dell'art. 904, c.c., nel caso di costruzioni in aderenza ad altre già realizzate, l'esistenza di luci in un muro non impedisce al vicino di costruire in aderenza (cfr. in tal senso Consiglio Stato, sez. V, 23 giugno 1997, n. 718).

Ciò posto, deve ricordarsi che, come è noto:

-- il permesso di costruire rimuove solo il limite allo “ius aedificandi” e la sua rilevanza giuridica va circoscritta infatti al rapporto tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi sulle correlate posizioni altrui di interesse legittimo;

-- l'art. 11 comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 -- nell’affermare che il permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi -- configura una clausola generale di salvaguardia.

-- l’Amministrazione non ha alcun obbligo, in assenza di una norma ad hoc, né di far luogo ex officio ad un’indagine circa la sussistenza di diritti dei terzi né comunque di tener conto di eventuali possibili limitazioni negoziali al diritto a costruire di colui che richiede il permesso (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332)

Consiglio di Stato, sez. 4, 25 maggio 2011

Rapporto tra regolamento edilizio e normative sovraordinate

Con la sentenza, i giudici di Palazzo Spada precisano:

La fonte regolamentare comunale confermava invero all’epoca della sua emanazione la disciplina ordinaria di 30 giorni per la durata del procedimento ab origine introdotta dalla L. 241 del 1990: ma tale termine, all’epoca dei fatti di causa, doveva intendersi sostituito con quello di 90 giorni introdotto dallo ius superveniens costituito dalla L. 15 del 2005 e dal D.L. 35 del 2005 convertito in L.80 del 2005 proprio perché la stessa disciplina regolamentare si rende, come testè evidenziato, recessiva rispetto alla disciplina regionale statale recante una regola difforme sul punto: e, quindi, posto che il termine in questione è stato innovativamente “determinato da leggi … nazionali” in una misura diversa, come stabilito dallo stesso Comune, non può non concludersi che il termine del relativo procedimento era fissato, all’epoca dei fatti di causa, in 90 giorni, e non già nei 30 prospettati dal ricorrente.

Consiglio di Stato, sez. 4, 24 maggio 2011

Modifiche volume e sagoma per questioni energetiche stabilite da leggi regionali - qualificazione

Con la sentenza, i giudici di Palazzo Spada ritengono:

Se è vero che non rientra nel concetto di ristrutturazione edilizia l’intervento con il quale viene mutata, a seguito di sopraelevazione del tetto, la cubatura e la sagoma dell’edificio, giacchè la ristrutturazione al massimo comporta la demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato in modo fedele al preesistente, nella specie si è trattato soltanto di sostituzione di parte di scala, di alcune parti di muro degradate, della copertura di un solaio degradato, di sostituzione di una parete al primo piano in tufo.

L’intervento ha comportato la sola modesta modifica della sagoma esterna, consistente nell’innalzamento della sagoma esterna del fabbricato contenuto (in venti centimetri per la parte appellata, in un metro per la parte appellante), pari allo spessore dello strato isolante, che prima non esisteva. L’intervento è stato giustificato anche richiamando la normativa regionale sui consumi energetici e sugli impianti.

Come già ha osservato la sentenza di primo grado, la realizzazione della copertura al secondo piano in cemento armato con conseguente altezza esterna dell’edificio è stata consentita dall’amministrazione comunale, che ha condiviso la richiesta della signora Ferrari della necessità di procedere al suddetto intervento facendo richiamo alle prescrizioni degli articoli 1 e 2 della legge regionale numero 23 del 1998.

L’art. 1 lettera b) l.r.Puglia 23 del 1998 prevede che le nuove prescrizioni in materia di coibentazione termoacustica o di inerzia termica siano estese “anche agli edifici già costruiti, in relazione ai soli spessori da aggiungere a quelli esistenti”.

TAR Veneto, sez. 2, 19 maggio 2011

Sospensione dei lavori art. 27, comma 3, testo unico edilizia - natura del provvedimento - scadenza del termine di 45 gg

Con la sentenza si evidenzia:

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, il potere di sospensione dei lavori in corso, attribuito all'autorità comunale dall'art. 27 comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, è di tipo cautelare, in quanto destinato ad evitare che la prosecuzione dei lavori determini un aggravarsi del danno urbanistico, e alla descritta natura interinale del potere segue che il provvedimento emanato nel suo esercizio ha la caratteristica della provvisorietà, fino all'adozione dei provvedimenti definitivi. Ne discende che, a seguito dello spirare del termine del termine di 45 giorni, ove l'amministrazione non abbia emanato alcun provvedimento sanzionatorio definitivo, l'ordine in questione perde ogni efficacia (cfr. tra le tante T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 06 ottobre 2005 , n. 1901)

Cass. Pen., sez. III, 17 maggio 2011

Mancata istituzione sportello unico edilizia - effetti sulle pratiche edilizie

Per i Giudici "lo Sportello Unico per l'edilizia previsto dell'articolo 5 del Dpr 380/O1 (Testo unico per l'edilizia) ha unicamente finalità di semplificazione procedimentale ed organizzativa, con la conseguenza che la mancata istituzione da parte dell'amministrazione comunale non ha alcuna incidenza sul regime autorizzativo dell'attività edilizia e non esonera, pertanto, dal conseguimento dei necessari titoli abilitativi". (sentenza n. 19315)

 

TAR Lombardia, Milano, sez. 4, 19-5-2011

Art. 9 dm 1444/68: giurisdizione - distanza di 10 metri - definizione di parete finestrata

Il TAR della Lombardia, Milano, con la sentenza in evidenza, affronta il tema delle distanze in edilizia in ordine ai seguenti profili:

  • giurisdizione, riparto tra Giudice Ordinario e Giudice Amministrativo;
  • termini per l'impugnativa dies a quo;
  • natura del dm 1444/68 con riguardo alle distanze tra fabbricati;
  • nozione di parete finestrata;
  • natura integrativa dei regolamenti locali.

 

TAR Lombardia, Milano, sez. 4, 4-5-2011

Disciplina delle distanze di 10 metri - applicabilità

Il TAR della Lombardia, Milano, con la sentenza in evidenza affronta il tema delle distanze in edilizia in ordine ai seguenti profili:

  • la presenza di un muro di altezza di 6,20 metri su un lato dell’edificio non può essere considerata come un’appendice di carattere puramente estetico, rappresentando al contrario una struttura di sicura rilevanza e impatto in termini urbanistici. Del resto, ai fini del rispetto delle distanze, soltanto le strutture edilizie meramente accessorie o ornamentali possono essere escluse dall’obbligo del rispetto delle stesse, come chiarito dalla giurisprudenza, secondo la quale “in tema di distanze fra edifici, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili, costituiscono corpi di fabbrica, computabili nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze di particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza” (Cassazione civile, II, 22 luglio 2010, n. 17242).
  • la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente affermato che “mentre non sono [ai fini delle distanze] computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di costruzione le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato; e che, agli effetti dell'art. 873 c.c., la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, è unica, e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 c.c., è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica” (Cassazione civile, II, 10 settembre 2009, n. 19554).

 

TAR Veneto, Sez. II, 6-5-2011

Natura art. 34 testo unico edilizia - fiscalizzazione abuso

Per il TAR Veneto:

Merita, infine, di essere evidenziato che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la disciplina prevista dall'art. 34, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio) trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (cfr. Cassazione penale, sez. III, 22.4. 2010 , n. 19538). do la lesività da ricondurre al provvedimento conclusivo del procedimento.

TAR Veneto, Sez. II, 6-5-2011

Procedimento - pareri non obbligatori e non vincolanti - natura

Per il TAR Veneto la richiesta di pareri non obbligatori né vincolanti, possono essere richiesti dall’amministrazione comunale nel corso dell’istruttoria non già in applicazione di una specifica previsione che ne impone l’acquisizione bensì al fine di approfondire la cognizione in ordine a questioni tecniche e specifiche. Con riguardo alla loro natura, per il TAR:

Come affermato dalla consolidata giurisprudenza anche del giudice d’appello, condivisa dal Collegio, è pacifico il principio che l'organo di amministrazione attiva nella fase istruttoria del procedimento possa munirsi ai fini del decidere - a sua discrezione ed indipendentemente da espressa previsione normativa - di valutazioni, sotto il profilo tecnico o giuridico, provenienti da altri organi con specifica qualificazione; questi ultimi sono quindi chiamati ad esprimere il proprio avviso sull'oggetto del provvedere, che ha natura di parere facoltativo perché non obbligatoriamente previsto da norma di legge o di regolamento e che non vincola l'organo al quale è rilasciato (Cons. St., sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 754).

L’amministrazione comunale, dunque, avrebbe potuto e potrebbe discostarsi dalle indicazioni contenute nel parere facoltativo, salvo, ovviamente, l’obbligo di esternare, con congrua ed adeguata motivazione, le ragioni della diversa valutazione operata (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 20 giugno 2009, n. 1815).

Il parere suddetto, dunque, ha natura di atto meramente endoprocedimentale, come tale non immediatamente lesivo, essendo la lesività da ricondurre al provvedimento conclusivo del procedimento.

Cass. Pen., Sez. III, 28-4-2011

Permesso di costruire in deroga (art. 14, testo unico edilizia)

Su Lexambiente del dott. Luca Ramacci, risulta pubblicata la sentenza 16591 della S.C. di Cassazione, Sezione III Penale, nella quale si afferma il seguente principio:

il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall'articolo 14 D.P.R. 380/01 e mediante la specifica procedura. Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato "in sanatoria" dopo l'esecuzione delle opere.

La sentenza può assumere ulteriore rilevanza in considerazione che il testo del decreto legge governativo c.d. sullo sviluppo, prevede l'applicazione dell'art. 14 del testo unico edilizia per:

  • gli interventi che le regioni disciplineranno al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonchè di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonchè di edifici a destianazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficeinza energetica e delle fonti rinnovabili.
  • il mutamento delle destinazioni d'uso, purchè si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari.

Consiglio di Stato, sez. 4, 3.05.2011

Condono edilizio (1985) e condizioni igienico-sanitarie

In relazione a domande di condono per il frazionamento di taluni locali seminterrati e loro mutamento d’uso con destinazione abitativa, presentata – premessa la loro condonabilità, veniva impugnato il provvedimento che ordinava il ripristino a cantina dei locali in oggetto e ne dichiarava l’inabitabilità, così deciso nell'ultimo grado di giudizio dal Consiglio di Stato:

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in merito all’interpretazione di detta norma, ha già avuto modo di affermare che il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi del citato art. 35 comma 20 l. n. 47 del 1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale (Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004 n. 2140; 13 aprile 1999 n. 414).

Tale orientamento risulta, peraltro, del tutto coerente con quello espresso dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 18 luglio 1996 n. 256, ha affermato che la deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, "non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r. 425/94), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica .... Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari".

Consiglio di Stato, sez. 4, 3.05.2011

Obbligo di motivazione nei procedimenti edilizi: principio di proporzionalità

Il Consiglio di Stato ricorda:

E’ noto che la motivazione dell’atto amministrativo consiste nell’esplicitazione delle circostanze di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la determinazione dell’Amministrazione, con l’evidente funzione di consentire la ricostruzione dell’iter logico giuridico posto base del provvedimento dovendosi rinvenire a carico della P.A. procedente un onere motivazione ancor più pregnante nei casi di assunzione di determinazioni che vanno negativamente ad incidere sulle posizioni giuridiche dei destinatari ( cfr Cons Stato Sez IV 22 settembre 2005 n.4982).

E così in materia edilizia il diniego di concessione comportando una contrazione dello jus aedificandi necessita di una motivazione che espliciti le ragioni impeditive della chiesta edificazione.

e precisa:

Ciò in linea generale rammentato, viene pure in rilievo il principio di proporzionalità della motivazione per cui l’onere motivatorio varia a seconda del tipo e dell’ampiezza dei poteri esercitati ( in tal senso, ex multis Cons Stato Sez. IV 5 ottobre 2005 n.2886) di guisa che nel caso di atto caratterizzato, quanto al suo contenuto, dall’esercizio di un potere discrezionale, si deve pretendere da parte dell’Amministrazione, a supporto della determinazione negativa che va ad assumere, una motivazione di più dettagliata e vasta portata, mentre altrettanto non può richiedersi alla stessa P.A. procedente allorchè si dà luogo ad un’attività amministrativa di tipo vincolato.

Quest’ultima ipotesi ricorre esattamente nella materia edilizia nella quale l’istanza di autorizzazione all’edificazione viene definita alla stregua di una verifica circa la conformità o meno delle opere da eseguire alle prescrizioni urbanistico- edilizie vigenti e alle altre disposizioni legislative speciali, verifica che riveste carattere vincolato e all’esito della quale il provvedimento finale non necessita di altra motivazione oltre quella relativa alla rispondenza delle opere alle predette prescrizioni ( cfr Cons Stato Sez. IV 30 giugno 2005 n.3539 ).

Tar Veneto, sez. 2, 26.04.2011

Distanze da rispettare anche per i corsi d'acqua tombinati

Il TAR Veneto cambia opinione per uniformarsi all'appello (avanti il CdS):

la tesi della ricorrente è che, una volta effettuata la tombinatura, non troverebbero più applicazione le previsioni sulle distanze dai corsi d’acqua;

che, in effetti, tale soluzione è stata condivisa da questa Sezione nella sentenza 29 giugno 2006 n. 1937, emessa su di una fattispecie affatto analoga, fin con riguardo alle parti resistenti ed al corso d’acqua interessato;

che, peraltro, va segnalato come tale pronuncia sia stata riformata in grado d’appello con la decisione 23 luglio 2009, n. 4663, della IV Sezione, nelle cui motivazione si legge: “il divieto di piantagione di alberi, di edificazioni o fabbriche e di movimento del terreno del piede esterno e interno degli argini ad una certa distanza dal corso d’acqua (che per i manufatti è da 4 a 10 metri “secondo l’importanza del corso d’acqua” medesimo) vale non solo per i corsi d’acqua superficiali, ma anche per le altre opere di bonificazione (primo comma [del citato art. 133]), tra le quali va certamente compresa anche la tombinatura che, come rileva il consorzio di bonifica, non può dirsi come tale opera definitiva, essendo possibile riportare in qualunque momento il corso d’acqua allo stato precedente. In definitiva, il rispetto delle distanze deve ritenersi inderogabile anche per i corsi d’acqua tombinati, al fine di consentire uno spazio di manovra nel caso di necessità di porre in essere attività di manutenzione delle condutture.”;

Tar Veneto, sez. 2, 22.04.2011

Abusi edilizi: sanzioni pecuniarie - prescrizioni - sussistenza

Il TAR Veneto affronta la questione della prescrizione delle sanzioni pecuniarie comminate in seguito ad accertamento di abuso edilizio, quale illecito permanente, asserendo che:

9.3. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza è incontestata l'applicabilità alle sanzioni edilizie del principio di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981, a norma del quale «il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione». Tale disposizione è applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689/1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria;

CdS, sez. V, 27.04.2011

Acquisizione immobile (abusivo) al patrimonio del comune

Il Consiglio di Stato evidenzia che:

il provvedimento che dispone l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive costituisce atto autonomamente lesivo, passibile di separata impugnazione anche con riguardo a profili, quali quelli relativi alla reale consistenza e corretta qualificazione delle opere edilizie, non dedotti avverso il precedente atto con cui era stata ordinata la demolizione delle opere abusive

Cass. Pen., sez. 3, 15.04.2011

Autorizzazione sismica anche per gazebi e strutture "minori"

La S.C. di Cassazione Penale, in riferimento agli obblighi previsti dall'art. 93 del testo unico edilizia, evidenzia che:

Tali disposizioni si applicano a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati e delle strutture realizzate, stante l'esigenza di massimo rigore nelle zone dichiarate sismiche, che rende necessari i controlli e le cautele prescritte anche quando si impiegano elementi strutturali meno solidi e duraturi rispetto alla muratura ed al cemento armato.

Ai fini della configurabilità dei reati connessi alle violazioni delle disposizioni anzidette non assume rilievo, poi, il carattere precarico della costruzione, proprio in considerazione delle prevalenti esigenze di sicurezza alla tutela delle quali la normativa antisismica si correla.

TAR Lombardia, BS, sez. I, 18.04.2011

Cancello pedonale - qualificazione tecnico-giuridica interventi

Per il TAR Brescia, afferma che non può essere negato un permesso di sanatoria ex art. 36 del testo unico edilizia (vigente anche in Lombardia), laddove non vi siano motivi ostativi di tipo urbanistico-edilizio. Qualifica l'opera come modesta subordinata a DIA come risulta da prevalente giurisprudenza:

Invero, la giurisprudenza - con riguardo a fattispecie analoghe a quella qui in esame - ha avuto modo di rilevare che :

- l'apposizione di un cancello con funzione di apertura e chiusura del varco di accesso ad una proprietà privata non comporta una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, sicché tale intervento non è subordinato al preventivo rilascio del permesso di costruire, bensì alla presentazione di una semplice D.I.A. (cfr. T.A.R. Campania, sez. VII, 3 marzo 2009 n. 1222);

- il posizionamento del cancello non si concreta in un "abuso edilizio" della specie di quelli soggetti a demolizione: nessuna norma prescrive, infatti, che per realizzare l'opera in questione - un cancello con funzione di apertura e chiusura del varco di accesso ad una proprietà privata, opera che per sua stessa conformazione non determina volumetria - occorra preventivamente munirsi del permesso di costruire. (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 6 ottobre 2008 n. 8777).

TAR Lombardia, BS, sez. II, 07.04.2011

Barbecue e Gazebo - qualificazione tecnico-giuridica interventi

Per il TAR Brescia:

a) per quanto concerne il barbecue, è esatto il rilievo che la sua installazione e utilizzo rientrino nell’ambito di applicazione della regolamentazione locale sanitaria e non già della normativa edilizia (che esso "possa essere soggetto alla sola regolamentazione locale d'igiene" è - ad esempio - affermato nella relazione ASL 21 Piemonte, adesivamente richiamata nella recente sentenza TAR Torino, sez. II, 7 luglio 2010, n. 3000);

b) per quanto riguarda il gazebo, altra recente pronuncia del medesimo TAR Piemonte (sez. I, 19 novembre 2010, n. 4158) ha ulteriormente chiarito come una struttura simile a quella di cui qui si controverte (gazebo costituito da quattro colonne con sovrastante copertura) non configura un volume edilizio, essendo aperta su tutti i lati, e dunque non è soggetta a concessione edilizia. Allo stesso modo, anche il giudice civile (Tribunale di Napoli, 18 dicembre 2004) ha ritenuto che un pergolato/gazebo possa senza dubbio essere definito come arredo per spazi esterni e non già come costruzione, tale da richiedere una concessione edilizia;

TAR Veneto, sez. II, 7.04.2011

Pertinenza urbanistica e pertinenza civilistica: differenze

Per la seconda sezione del TAR Veneto:

7.2. Va, innanzitutto, rilevato che la nozione di pertinenza edilizia può essere estesa fino a comprendere elementi essenziali, e non solo di carattere accessorio, dell'impianto industriale.

Come osserva la giurisprudenza, una pertinenza, per poter essere definita tale, «deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede» (cfr. Cons. Stato, IV, 5.3.2010, n. 1277). Ciò che rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l'uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso (cfr. Tar Veneto, II, 7.3.2011, n. 374; Tar Campania, Napoli, II, 26.9.2008, n. 11309).

CdS, sez. IV, 12.04.2011

Promissario acquirente e titolo abilitativo edilizio

La figura del promissario acquirente di terreni interessati da una richiesta di concessione edilizia non implica l'esistenza di una posizione di interesse legittimo utile a rendere ammissibile l'impugnazione di un provvedimento di diniego della concessione stessa; invece, può radicare comunque una posizione dipendente da quella del ricorrente principale, "ad adiuvandum" del quale può dunque essere legittimamente dispiegato intervento in giudizio, se ed in quanto non miri ad eludere i termini di impugnazione da parte di chi risulti titolare di una posizione tutelabile con una propria autonoma impugnativa (Consiglio Stato sez. IV, 30 giugno 2005 n. 3594).

La giurisprudenza ha sostenuto che anche il promissario acquirente può avanzare domanda volta all'adozione di uno strumento urbanistico convenzionato, sempre che abbia l'effettiva disponibilità del bene, a nulla rilevando che detta disponibilità possa essere acquisita, nella sua pienezza, solo dopo la stipula del rogito notarile di trasferimento della proprietà, dovendo il concetto di disponibilità essere inteso nel senso della sussistenza di requisiti oggettivi tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza (così, per esempio, Consiglio Stato sez. V, 24 agosto 2007, n. 4485).

Tale disponibilità giuridica e materiale nella specie non sussiste, né è stata mai dedotta.

Anche in relazione alla possibilità di richiedere titoli abilitativi, si sostiene che legittimato a richiedere la concessione edilizia è o il titolare del diritto reale di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione.

Tale legittimazione, invece, non compete a colui il quale, in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la promessa di futura vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la costruzione (nel senso che la voltura della concessione edilizia non può essere chiesta dal promissario acquirente cfr. Cass. 10 ottobre 1997 n. 9850).

Nel vigore dell'art. 4, l. 28 gennaio 1977 n. 10 (sostanzialmente corrispondente all'art. 11, t.u. 6 giugno 2001 n. 380), la concessione edilizia, potendo essere rilasciata "al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla", poteva essere chiesta anche dal promissario acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il proprietario (Consiglio Stato, sez. V, 24 agosto 2007, n. 4485).

 

CdS, sez. IV, 04.04.2011

Altezza urbanistica - piano campagna originario

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato asserisce che:

In linea generale, il computo del limite di altezza, entro il quale è consentita l'edificazione, va effettuato prendendo come parametro l'originario piano di campagna, cioè il livello naturale del terreno di sedime e non la quota del terreno sistemato; peraltro, tale principio è derogabile da normative regolamentari espresse (così, Consiglio Stato , sez. IV, 24 aprile 2009 , n. 2579).

In assenza di specifiche prescrizioni delle norme urbanistiche sui criteri di calcolo dell' altezza degli edifici, deve ritenersi che quest'ultima, in caso di costruzione che insista su un'area in pendenza, vada misurata rispetto al piano di campagna con riguardo a tutti i lati della costruzione stessa, in modo che il valore fissato dalle norme sia rispettato in ogni punto del fabbricato (così, Consiglio Stato , sez. V, 14 gennaio 1991 , n. 44).

TAR Veneto, sez. II, 07.04.2011

Abitazione principale - il comune non può limitare l'ampliamento in deroga - prevale la l.r. 14/09 (piano casa)

Ancora una sentenza negativa per quei comuni che comprimono l'applicazione della legge regionale straordinaria (piano casa):

Il Comune ha respinto la richiesta, per preteso contrasto dell'intervento proposto con le linee guida, introdotte dal consiglio comunale con deliberazione 111/09 in applicazione di quanto stabilito dall’art. 9, V comma, della stessa l.r. 14/09.

Nella motivazione del provvedimento impugnato, in particolare, "con riferimento alle osservazioni, secondo le quali le limitazioni di cui alla delibera comunale sopra citata non sarebbero applicabili alle prime case di abitazione", l'Ufficio oppone, per contro, come esso ritenga "che tali limitazioni operino anche nelle fattispecie suddette".

CdS, sez. IV, 01.04.2011

Abuso edilizio - progettista e direttore dei lavori - richiesta accertamento di conformità - istanza di sanatoria - presupposti - silenzio serbato alla richiesta di riesame

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato asserisce che:

In relazione al primo profilo, va osservato che, sebbene si possa discutere sull’esistenza della legittimazione del progettista alla presentazione di una domanda di sanatoria, l’accertamento compiuto dal Comune in merito alla titolarità della situazione soggettiva in capo all’appellante è contenuto in un diverso ed ulteriore atto, ossia la nota del 23 febbraio 2010 n. 5730, che non risulta gravato in questa sede.

La questione appare quindi irrilevante nell’ambito di questo giudizio di secondo grado.

In relazione al secondo profilo, va sottolineato come il rilascio di un nuovo permesso di costruire configuri atto provvedimentale del tutto distinto, e quindi lo stesso va eventualmente impugnato, come peraltro fatto dalla parte appellante, con un separato giudizio davanti al giudice di primo grado.

Anche sotto questo profilo la questione appare non conferente.

In effetti, come ha rilevato il giudice di prime cure e come afferma anche la parte appellante, il nuovo permesso di costruire rilasciato si concretizza in una vera e propria variante alle opere per cui era stata presentata istanza di sanatoria, determinando così una ipotesi costruttiva del tutto diversa, divergente sia rispetto al progetto iniziale che alle opere poi effettivamente realizzate.

Si determina così una situazione di fatto e di diritto che viene ad interrompere il nesso causale tra l’attività del progettista e la realizzazione in fatto dell’opera. In questo caso, ammettere l’ulteriore esistenza di un interesse del progettista a vedere accolta la propria istanza si viene a porre in contrasto con le determinazioni assunte dal proprietario del bene. E nello scontro tra le due diverse volontà, non è dato individuare alcun dato normativo in base al quale dovrebbe prevalere la decisione del soggetto che, istituzionalmente, opera alle dipendenze del committente, vero dominus della situazione, anche in rapporto alle conseguenze lesive che da questo comportamento potrebbero derivare.

Appare quindi corretta la determinazione del giudice di prime cure che ha affermato come, dall’accoglimento dell’istanza proposta in data 9 marzo 2009, in quanto alcun effetto utile potrebbe ormai conseguire il ricorrente dalla eventuale declaratoria di illegittimità del silenzio, stante il rilascio di un diverso titolo edilizio per le opere abusive realizzate nella proprietà.

CdS, sez. IV, 01.04.2011

Permesso di costruire: parere dell'Ufficio legale del Comune - natura giuridica

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato asserisce che:

Quella dell’Ufficio legale è un’attività di consulenza svolta all’interno della struttura comunale, a migliore illustrazione delle questioni di tipo tecnico-giuridiche coinvolte nella gestione della pratica, ma non è detto che il parere legale debba essere parte integrante del divisamento che l’Amministrazione va ad assumere ufficialmente; e neppure è necessario che venga portato alla cognizione dell’interessato, sicché, al di là della valenza e pregnanza delle osservazioni da esso recate, il parere di detto ufficio, ai fini del “confezionamento” all’esterno delle determinazioni finali, non ha una sua specifica rilevanza.

CdS, sez. IV, 01.04.2011

Sanzione per ritardato pagamento contributo di costruzione - grava su qualsiasi soggetto in posizione qualificata

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato asserisce che:

la doglianza: Il sostegno teorico di tale difesa consiste nel fatto che le conseguenze del mancato pagamento degli oneri concessori devono essere ritenute sanzioni amministrative e pertanto devono essere applicate nei confronti dell’effettivo soggetto inadempiente,

la decesione: Giova evidenziare come la ricostruzione da cui parte la difesa appellante non è condivisa in giurisprudenza. La lettura dei precedenti in argomento, su cui si è più specificamente soffermato il giudice di primo grado, conferma invece l’assunto della sentenza gravata, secondo la quale “l’obbligazione di pagamento delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come ‘propter rem’ e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato momento, si trova in una relazione qualificata con la cosa”.

Infatti, la stretta connessione evidentemente sussistente tra titolarità dell'immobile ed obblighi derivanti dalla concessione rende questi ultimi assimilabili alle obbligazioni propter rem, rendendo evidente l’esistenza di una situazione caratterizzata dal fatto che l'obbligato è individuabile in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene. Ne consegue il trasferimento di tali obblighi contestualmente al diritto reale cui accedono (da ultimo T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 12 novembre 2010, n. 24057; vedi anche T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 5 agosto 2010, n. 3266).

Pertanto, al soggetto subentrante, che gode della titolarità della concessione edilizia a lui trasferita, spetta anche l’onere di adempiere le obbligazioni relative connesse.

Il fatto che la dante causa si sia poi contrattualmente impegnata a corrispondere le sanzioni in questione è vicenda di stretto sapore civilistico, avente riguardo ai rapporti intercorrenti tra le parti e non certamente in grado di vincolare il terzo, nella fattispecie il Comune di Treviso.

CdS, sez. IV, 28.03.2011

Parcheggio interrato ai sensi l. 122/89 in area con vincolo paesaggistico con particolari divieti di zona: è volume rilevante

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato asserisce che:

In tale zona risulta comunque vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti o, nuove opere edilizie, tra cui rientrano quelle opere (realizzazione degli accessi al parcheggio, copertura con tetto giardino etc.) che si configurano come volumi rilevanti ai fini paesaggistici.

Né è possibile sostenere, come fa la ricorrente, che tali opere determinano solo volumi tecnici, che non si pongono quindi in contrasto con il PTP.

Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude infatti qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume (cfr., Cons. Stato, IV, n. 102/1997, in cui proprio in una fattispecie simile alla presente è stato ritenuto che costituisce opera valutabile anche come aumento di volume la realizzazione di un garage interrato con accesso all’esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico).

Ogni tipo di volume determina una alterazione dello stato dei luoghi; proprio quello che nel caso di specie le norme di tutela vogliono impedire.

Pertanto, la realizzazione di un parcheggio interrato, con relativi accessi, e la copertura con un tetto giardino devono essere considerati nuovi volumi ai fini paesaggistici e come tali si pongono in contrasto con quelle disposizioni del PTP volte ad impedire la realizzazione di nuove strutture stabili che comunque risultano rilevanti ai fini paesaggistici) (Cfr. dec. n. 2388/05 cit.)

Né puo’ ritenersi, come vorrebbe l’appellante, che l’interesse pubblico connesso ad un minor carico di traffico automobilistico faccia prevalere, attraverso il meccanismo della deroga, la normativa regolante i parcheggi sulle norme del Piano territoriale paesaggistico, attese le prevalenti finalità di tutela, particolarmente rigorosa, di quest’ultimo.

Come pure deve ritenersi che non fosse necessario esperire nessuna particolare istruttoria sull’area de qua, che per destinazione urbanistica di Piano non era suscettibile dell’intervento proposto.

Cass. Pen., Sez.3, 9.03.2011

Dirigente (responsabile ufficio) comunale e doveri di vigilanza sull'attività edilizia (art. 27 del testo unico edilizia) - le responsabilità penali conseguenti

La sentenza, argomentanto in merito all'art. 40 del Codice Penale, mette in rilievo che:

In materia edilizia non c'è dubbio che l'art 27 dpr 380\01 ponga a carico del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale un obbligo di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e dl regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, imponendogli di intervenire ogni qualvolta venga accertato l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo o in difformità della normativa urbanistica, attraverso la emanazione di provvedimenti interdittivi e cautelari (cfr. anche art.31 DPR 380/01). Egli è quindi certamente titolare di una posizione di garanzia che gli impone di attivarsi per impedire l'evento dannoso.

Cass. Pen., Sez.3, 9.03.2011

Permesso di costruire: totale difformità per mutamento d'uso

La sentenza mette in rilievo che:

La costruzione in totale difformità può derivare, oltre che da consistenti aumenti di volumetria o altre rilevanti modificazioni della struttura esterna dell’immobile, anche dalla esecuzione di interventi all’interno di un fabbricato che determinino la modificazione di parte dell’edificio, allorché tale modificazione abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), quali ad esempio la modificazione della destinazione d’uso di parte dell’immobile rispetto a quanto assentito con il provvedimento autorizzatorio.

Inoltre il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire (art. 44, comma 1, lett. b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380) non presuppone necessariamente il completamento dell'opera, ma è altresì configurabile nel corso dell'esecuzione degli interventi edilizi, allorchè la difformità risulti palese durante l'esecuzione dei lavori, in quanto dalle opere già compiute appare evidente la realizzazione di un organismo diverso da quello assentito.

In corso d'opera, pertanto, l'accertamento del mutamento di destinazione d'uso va effettuato sulla base della individuazione degli elementi univocamente significativi, propri, del diverso uso cui è destinata l'opera e non coerenti con la destinazione originaria.

Si tratta di un accertamento di fatto che, se oggetto di adeguata motivazione, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.

TAR Veneto, sez.2, 23.03.2011

Funzione della motivazione nei provvedimenti amministrativi

In proposito deve infatti osservarsi, innanzitutto, che la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso, in relazione alla tipologia dell'atto considerato (Cons. St., sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938; sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069).

Ciò che deve ritenersi necessario perché l'atto non risulti inficiato da censure nella sua parte motiva è che in esso siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile.

L'inadeguatezza delle indicazioni contenute nel provvedimento di diniego di sanatoria, e pertanto la sua illegittimità avuto riguardo all'obbligo motivazionale, è stata, in ogni caso, ribadita dalla giurisprudenza formatasi sul punto specifico ed alla cui stregua l'atto conclusivo del procedimento conseguente ad una domanda di sanatoria deve indicare specificamente le ragioni di diritto e di fatto poste a base del diniego opposto, anche per rendere edotto il titolare dell'interesse legittimo di carattere pretensivo sulle circostanze rilevanti nel caso di specie (in tal senso, cfr. Cons. St., sez. V, 12 ottobre 2001, n. 5392).



TAR Veneto, sez.2, 23.03.2011

Natura del titolo abilitativo edilizio e contenuto della conformità - compatibilità urbanistiche dell'intervento - esclusione

3.1. In effetti, il diniego impugnato è privo di qualsiasi motivazione in ordine alle eventuali incompatibilità urbanistiche derivanti dalle caratteristiche costruttive dei manufatti, limitandosi l’Amministrazione resistente a affermare che «l’impatto visivo è notevole e tale da superare abbondantemente il profilo del costruito esistente (sky – line), il che rileva particolarmente in quanto i manufatti sono collocati in zona di rispetto stradale e in prossimità di un incrocio».

3.2. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la concessione edilizia, come affermato anche dalla società ricorrente nel primo motivo di gravame, si configura come un provvedimento amministrativo di conformità del progetto alla disciplina urbanistica e edilizia della zona, di natura assolutamente vincolata e non discrezionale, escludendo, quindi, che il rilascio del titolo edificatorio possa essere denegato, in presenza di un intervento perfettamente conforme alle norme urbanistiche edilizie, per la tutela di interessi di natura estetica, stradale, di igiene o di sanità (cfr. Cons. Stato, IV, n. 7263/2005; Cons. Stato,V, n.167/1999; TAR Veneto, II, 12.1.2011, n. 37; TAR Lazio, Roma, II, 10.4.2001, n. 3092).

3.3. Alla luce dei richiamati principi il Collegio ritiene, quindi, la motivazione insufficiente a sorreggere il diniego impugnato.

3.4. Ad avviso del Collegio, in assenza di specifiche e puntuali disposizioni inibitorie di carattere primario o secondario, l'Amministrazione comunale non può negare l'assenso al rilascio del titolo edificatorio basandosi su generiche considerazioni di carattere estetico. Nella specie non risultano in alcun modo indicate le norme urbanistiche del Comune di ------- che disciplinino l'estetica dei fabbricati ritenute violate, né risultano esplicitate le ragioni estetiche per le quali le opere in questione non sarebbero adeguate alle caratteristiche dell'edificio e della zona. Motivazione tanto più necessaria allorché si consideri che per le stesse opere era già stata rilasciata da parte della stessa Amministrazione comunale la concessione n. 148/1996 che, inoltre, non faceva alcun cenno all’ubicazione dei silos in fascia di rispetto stradale e alla presenza di un incrocio.



TAR Veneto, sez.2, 23.03.2011

Onere e contenuto della motivazione di diniego in ambito paesaggistico - suggerimento delle modifiche - esclusione

Ebbene, nella vicenda sottoposta all’esame del Collegio, emerge che la giustificazione del diniego è incentrata unicamente sul parere negativo espresso dalla Commissione edilizia integrata la quale ha ritenuto i fabbricati non compatibili con il vincolo paesaggistico gravante sull’area, in quanto “l’uso di materiali impropri altera negativamente il sito tutelato”.

Tale motivazione non appare, all’evidenza, idonea a sorreggere in modo puntuale il diniego della domanda di sanatoria.

Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico – sebbene debba escludersi la sussistenza di un obbligo gravante sull’amministrazione di suggerire all’interessato le modifiche progettuali necessarie al fine di rendere compatibile l’opera con il contesto ambientale di riferimento, posto che un tale obbligo, oltre a non essere contemplato da alcuna disposizione, rischierebbe di pregiudicare l’efficienza ed il regolare svolgimento della stessa azione amministrativa – l'amministrazione è certamente tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali i manufatti edilizi considerati non si ritengono adeguati alla caratteristiche ambientali protette. La motivazione, peraltro, deve essere ancor più pregnante nel caso in cui si operi nell'ambito di vincolo generalizzato, onde evitare una generica insanabilità delle opere, ed anche nel caso in cui il diniego di condono intervenga dopo molto tempo dalla presentazione della relativa domanda (cfr. Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2008, n.2111).

Nel caso in esame le ragioni del diniego appaiono, invece, incentrate unicamente sulla locuzione utilizzata dalla Commissione Edilizia Integrata nel parere negativo dalla stessa reso che, per il solo generico riferimento ai materiali utilizzati, non appare di certo sufficiente a sorreggere il diniego di concessione in sanatoria.

In definitiva, nel caso in esame, il diniego espresso in ordine alla domanda di sanatoria contiene una valutazione apodittica e non dimostrata, che non appare soddisfare i requisiti minimali della motivazione, non essendo di certo sufficiente la mera affermazione secondo cui i manufatti in questione mal si inserirebbero nel contesto ambientale per i materiali utilizzati, atteso che nulla viene specificato nel concreto per dimostrare il contrasto con l'interesse ambientale tutelato.

Dimostrazione, peraltro, ancor più necessaria nel caso di specie, atteso che la domanda di condono risale all’aprile del 1986 e l'edificazione abusiva ad epoca ancora più risalente, antecedente anche all'imposizione del vincolo ambientale: il che imponeva una ancor più approfondita motivazione in ordine alla esigenza di detta tutela.



TAR lombardia, Milano, sez.4, 9.03.2011

Baracche di cantiere e titolo abilitativo edilizio

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, manufatti del genere di tettoie, depositi di materiali, baracche, pollai e simili, infissi al suolo e destinati ad uso prolungato nel tempo, incidendo in modo permanente sullo stato dei luoghi, necessitano della concessione edilizia. Tali opere costituiscono inconfutabilmente nuovi organismi edili caratterizzati da un proprio impatto volumetrico e ambientale e, dunque, idonei a determinare una trasformazione del territorio. Le caratteristiche tipologiche di siffatti interventi edilizi comportano, infatti, la realizzazione di una nuova costruzione.

E’ stato pure affermato che “Opere come baracche per cantieri, garages, tettoie, depositi per materiali, pollai e simili, sia per le loro caratteristiche strutturali che per l'uso di carattere prolungato cui sono destinate, richiedono il preventivo rilascio di un permesso di costruzione, in quanto incidono in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, per cui esigono la concessione edilizia, quand'anche non risultino infissi nel suolo, essendo comunque destinati ad usi permanenti o prolungati nel tempo” (cfr. TAR Emilia Romagna, sez. II, 31 agosto 2005, n. 1471).

Sul punto si deve osservare che le baracche da cantiere possono essere qualificate come opere temporanee, pertanto possono essere subordinate al regime del novellato art. 6 del testo unico edilizia, qualora il periodo di tempo fosse inferiore a 90 giorni.



TAR lombardia, Brescia, sez. I, 11.03.2011

Titolo abilitativo necessario per realizzare un piazzale

Sul presupposto che "la ricorrente afferma in fatto di non aver voluto realizzare alcun piazzale od opera, ma di avere inteso semplicemente, per ragioni di sicurezza nel drenaggio delle acque, livellare un cumulo di terra da scavo depositato in via temporanea sul terreno in questione, cumulo che a suo dire intendeva poi ricoprire con terriccio per ripristinare l’area a verde", il TAR premette "in fatto che a semplice esame visivo delle fotografie prodotte dal Comune sub 1 si comprende come l’opera realizzata dalla ricorrente fosse proprio un piazzale, e non un livellamento “di emergenza”: si vedano in particolare la forma rettangolare correttamente disegnata dell’area livellata, la previsione di chiusini di drenaggio (foto 1, in primo piano) e l’installazione di un cancello carraio di accesso (foto 2)".

Con riguarda al regime edilizio di subordinazione "un piazzale come quello descritto è opera che necessita del permesso di costruire (per tutte, su un caso analogo, C.d.S. sez. IV 13 gennaio 2010 n°41), e la repressione di siffatto abuso è atto dovuto che non necessita di avviso (per tutte, TAR Campania Napoli, sez. III 2 luglio 2010 n°16548. Sono parimenti infondati in fatto i motivi quarto e quinto, dato che, come si vedrà, la stessa ricorrente ha offerto di eseguire il ripristino, dimostrando di avere ben compreso cosa il Comune le ordinasse."



TAR Veneto, sez. II, 8.03.2011

Piano casa regionale (l.r. 14/09): la prevista deroga delle distanze prevale sui regolamenti locali dei comuni

Il TAR ribadisce il proprio orientamento in materia (cfr. sentenza n. 5694 del 21-10-2010) secondo il quale la legge regionale è da ritenersi fonte regolamentare, ai sensi dell'art. 873 del codice civile, avente rango superiore rispetto ai regolamenti comunali vigenti riconducibili al medesimo articolo del codice civile.

La questione potrebbe essere tutt'altro che risolta qualora si dovesse far riferimento all'intera disciplina vigente in materia di distanze tra costruzioni.



TAR lombardia, Brescia, sez. I, 3.03.2011

Cambio d'uso e contributo di costruzione - presupposti

Invero, va rilevato (cfr. TAR Brescia 10.3.2005 n. 145) che:

- il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione 11/6/2004 n. 646; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 2/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V – 25/5/1995 n. 822).

- il fondamento del contributo di urbanizzazione – da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia – non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).

Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione (cfr., in tal senso, sentenza Sezione 23/1/1998 n. 34).

- il versamento del contributo assume un carattere rigidamente vincolato al verificarsi delle condizioni normativamente previste, per cui l’accertata debenza dà sufficientemente conto di per sè delle conclusioni cui è pervenuta l'amministrazione e preclude al ricorrente di far valere ragioni fondate su asseriti ripensamenti o disparità di trattamento (Consiglio Stato, sez. IV – 27/4/2004 n. 2561).



Cass. Pen., sez. III, 4.03.2011

Condizioni per escludere l'obbligo preventivo di redigere un piano di lottizzazione - introduzione criterio qualitativo

Il reato di lottizzazione abusiva ricorre anche in caso di area parzialmente urbanizzata. La fattispecie lottizzatoria esula, dalle situazioni di zone completamente urbanizzate, però sussiste non soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle, intermedie, di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali si configuri un'esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione. Anzi, per escludere la lottizzazione, deve sussistere una situazione di pressochè completa e razionale edificazione della zona tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo. Non basta infatti - è opportuno ribadirlo - la mera esistenza di opere di urbanizzazione per escludere la necessità della pianificazione attuativa, ma è necessario che le opere esistenti siano sufficienti in un rapporto di proporzionalità fra i bisogni degli abitanti già insediati e da insediare e la qualità e quantità degli impianti urbanizzanti già disponibili destinati a soddisfarli. La valutazione del concreto stato urbanizzativo di fatto non si può limitare, inoltre, alle sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con l'intero perimetro del comprensorio che dovrebbe essere pianificato dallo strumento attuativo.



TAR Veneto, sez. II, 9.03.2011

Funzione della motivazione del provvedimento amministrativo

La sentenza ha pregio di ricordare "che la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso, in relazione alla tipologia dell'atto considerato (Cons. St., sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938; sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069).

Ciò che deve ritenersi necessario perché l'atto non risulti inficiato da censure nella sua parte motiva è che in esso siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile."



CdS, sez. VI, 2.03.2011

Fasce di rispetto aeroportuale e vincolo di inedificabilità: analogia con fasce di rispetto stradale, cimiteriale ecc..

La sentenza ha il pregio di evidenziare che dette fasce di rispetto sono disposte da provvedimenti legislativi speciali per cui i limiti che gravano a carico dei proprietari di terreni ricadenti in tali zone derivano direttamente dalla legge.

Consegue che la limitazione del diritto dominicale non segue ad una scelta discrezionale del comune, attraverso propri atti ricognitivi, ma discende dalla qualificazione "ex lege" come zona di rispetto della porzione di territorio posta i prossimità dell’ aeroporto (analogamente a quanto avviene per le zone di rispetto stradale, di linea ferroviaria, cimiteriale, ecc.), a salvaguardia di specifici interessi di rilievo pubblico connessi all’ utilizzo di beni appartenenti al demanio o destinati ad uso collettivo, a fronte dei quali recedono talune prerogative dei proprietari dei suoli posti in prossimità dei beni stessi.



 

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