tecnici e giuristi insieme: approfondimenti tecnico-giuridici sistematici

Edilizia - Giurisprudenza

Cass. Pen. n. 35283/2011 e TAR Puglia, Lecce, n. 1586/2011

Volumi "interrati" - qualificazione

Le due sentenze di settembre, ancorchè relative a giurisdizioni diverse (penale ed amministrativa), rilevano perchè riguardano entrambe dei volumi interrati (fonte Lexambiente).

Per il TAR Puglia (sentenza 1586/2011):

... ritiene il collegio che, come condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza, “correttamente l'Amministrazione … tiene conto della volumetria relativa alla parte interrata del manufatto, in quanto - così come testualmente previsto dall'art. 3 comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 - il computo della volumetria di un edificio deve essere effettuato con riferimento all'opera in ogni suo elemento, compresi gli ambienti funzionalmente asserviti o interrati e con esclusione dei soli volumi tecnici, con la conseguenza che anche le opere realizzate entro terra, qualora adibite ad attività umane di tipo continuativo, devono essere considerate ai fini dei calcoli delle volumetrie assentibili in relazione ai carichi urbanistici che ne derivano” (così T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 2 ottobre 2008, n. 8716; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 22 gennaio 2007, n. 570).

...

Consiglio di Stato, Sez. 4, 4-10-2011

Vincolo paesaggistico - edificabilità - valutazioni discrezionali

Per il Consiglio di Stato:

  • l’esistenza di un vincolo paesaggistico non comporta di per sé il divieto di qualsiasi struttura costruttiva, ma affida all’Autorità competente il compito di valutare la compatibilità dell’intervento con i beni tutelati (Cons. di Stato Sez VI 20 luglio 2009 n. 4560) e tenuto altresì conto del carattere vincolante del parere negativamente espresso dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo, sì da impedire di per sé il rilascio del chiesto titolo ad aedificandum (cfr Cons. di Stato Sez. V 7 luglio 2009 n. 5232), nella specie il parere in questione, alla luce delle notazioni da esso recate si appalesa immune dai vizi denunciati.
  • Invero dalla lettura di tale atto si evince chiaramente l’iter logico seguito dalla Commissione che nell’esercizio di un tipico potere tecnico-discrezionale (cfr, ex multis, Cons Stato Sez. IV 16 luglio 2010 n. 4591) ha avuto modo di enunciare nei confronti del progettato intervento una appropriata valutazione di disvalore paesaggistico, ancorando tale giudizio a concrete circostanze di luogo e di fatto, costituite dall’esistenza di un ecosistema, quello del fiume Brenta (cui concorre, come opportunamente fatto presente dalla Cei la presenza in situ di piantumazioni autoctone) la cui pregevolezza, come pure sottolineato da tale Organo, è meritevole di essere preservato proprio in relazione a quanto si intende realizzare.
  • L’interessato ritiene che quanto osservato dalla CEI costituisca insufficiente motivazione, ma, per il vero, non si riesce a comprendere che altro avrebbe potuto o dovuto dire l’Organismo in questione oltre a quanto concretamente e congruamente fatto presente, lì dove sono stati debitamente, ancorchè succintamente messi in luce gli effetti per così dire perniciosi sull’habitat ambientale fluviale di un insediamento che per come strutturato e per le finalità da esso perseguite è ontologicamente inconciliabile con i tratti paesaggistici-ambientali del sito che la CEI con il reso parere intende chiaramente tutelare.
  • Della”esaustività logica” delle ragioni contenute nel suddetto parere ha dato peraltro adeguata contezza nella parte narrativa la sentenza il TAR del Veneto, sicchè in relazione sia all’operato della Commissione Edilizia Integrata che alle osservazioni del giudice di primo grado di alcunchè parte appellante può fondatamente dolersi.
  • L’assenza poi di volumi edilizi tout court invocata dalla parte appellante non vale a mettere in non cale la valutazione negativamente espressa dall’Organo preposto alla tutela in questione: la circostanza non vale certo a fornire del requisito di compatibilità paesaggistica l’intervento de quo dal momento che vengono in rilievo strutture, manufatti ed opere che per loro natura, caratteristiche (e consistenza) comportano una trasformazione dello stato dei luoghi idonea a recare un impatto negativo sul paesaggio circostante, sì da giustificare, come da giudizio correttamente espresso dall’Autorità ivi preposta il non assentimento del progettato impianto.

 

Cass. Pen., Sez. 3, 26-9-2011

Unitarietà dell'intervento e regime edilizio - natura del reato

Con la sentenza in commento il Giudice Penale evidenzia dei principi costantemente affermati dalla Corte Suprema - quali:

  • il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale;
  • l'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti;
  • i lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano stati condonati, altresì, non sono assoggettabili al regime della DIA (anche se astrattamente riconducibili, nella loro oggettività, a tale regime), in quanto gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono;
  • le contravvenzioni edilizie sono reati permanenti e la cessazione della permanenza va individuata sia nella ultimazione dell'opera nel suo complesso, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, sia nella sospsensione dei lavori dovuta a provvedimento autoritativo. Ciò significa che, in particolare, la permanenza del reato viene a cessare con il sequestro penale ed in tal caso l'eventuale violazione dei sigilii con la prosecuzione dell'attività edilizia abusiva, oltre a dare luogo al delitto di cui all'art. 349 cd. pen., comporta la configurazione di nuovi ed ulteriori reati ai sensi dell'art. 44 del T.U. n. 380/2011 e (all'occorrenza) dell'art. 181 d.lgs. n. 42/2004.

fonte Lexambiente.it

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 29-9-2011

Nozione (tecnico-giuridica) di "pergolato"

A tal fine, occorre innanzi tutto osservare che l’assenza di una definizione normativa di “pergolato” non esclude la valutazione dell’amministrazione in ordine alla riconducibilità di un manufatto a tale tipologia, né il successivo sindacato del giudice sulla legittimità della stessa, sotto il profilo del vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione.

Orbene, il “pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.

Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 2 ottobre 2008 n. 4793), proprio sulla base degli elementi ora riportati, ha avuto modo di escludere che una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.

Al contrario, è stata ritenuta (Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2005 n. 6193) rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura precaria, facilmente rimovibile, costituita da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura.

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 29-9-2011

Differenza tra sanatoria e regolarizzazione edilizia degli abusi

La sentenza ancorchè riferita all'art. 12 della legge 47/85 rileva in quanto la relativa disciplina è trasposta nel testo unico edilizia (art. 34 - interventi eseguiti in parziale difformità). Sul punto va ricordato che la recente novella (legge 106/2011 di conversione del d.l. 70/2011), ha introdotto una "tolleranza" del 2%.

Preliminarmente osserva il Collegio, alla stregua della più attenta giurisprudenza formatasi in materia di applicabilità dell'art. 12 della legge n. 47 del 1985, che la previsione di cui al comma secondo di detta norma non può considerarsi limitata ai soli casi in cui sia stata riscontrata una parziale difformità rispetto ad un previo e già rilasciato titolo abilitativo a costruire, in quanto la norma deve trovare applicazione anche quando la costruzione sia avvenuta in assenza di concessione edilizia, essendo costituito il presupposto per l'applicazione della disciplina sanzionatoria pecuniaria in questione, in luogo di quella reale, dalla salvaguardia della staticità della parte non abusiva del manufatto e non anche dalla circostanza che l'abuso sia caratterizzato da una parziale difformità rispetto ad un previo rilascio concessorio (cfr. TAR Calabria, CZ, sez.II, n. 2343 del 8 ottobre 2002 e C.d.S., sez. V, n. 2339 del 11 maggio 2007).

Osserva, altresì, il Collegio, aderendo a tesi già emersa da tempo, sia in sede giurisprudenziale (cfr. C.d.S., sez. V, n. 1510 del 30 ottobre 1995), sia in dottrina, che il pagamento delle sanzioni pecuniarie, se esclude che le opere edilizie abusive possano essere legittimamente demolite, non ne rimuove, però, il carattere antigiuridico, né tampoco legittima il compimento di ulteriori lavori in difformità o in assenza della concessione edilizia.

In ciò, infatti, consiste la differenza tra le previsioni contenute negli articoli 12 e 13 della legge n. 47 del 1985 ,che è stata successivamente resa esplicita dal secondo comma dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, soltanto però con riferimento all’ipotesi di annullamento del permesso di costruire, per differenziarla dalla diversa e distinta ipotesi di cui all’art. 34 dello stesso T.U. edilizia (accertamento di conformità).

 

Cassazione SS.UU. Civili n. 14953/11

Comuni e potestà regolamentare in tema di distanze

La Suprema Corte è intervenua a Sezioni Unite per dare soluzione ad una vexta questio relativa alla possibilità per i Comuni di precisare e/o concretizzare, nei propri regolamenti, la nozione di "pareti finestrate" ai fini dell'applicazione della distanza minima assoluta di 10 metri stabilita dall'art. 9, n. 2 del DM 1444/68.

L'ammissibilità di interventi regolatori locali su tali aspetti, difatti, inerisce l'applicabilità o meno della distanza "inderogabile" (posta per fini igienico-sanitari - evitare la formazione di intercapedini nocive) stabilita dal DM citato.

Le SS.UU. risolvono la questione ritenendo inibito qualsiasi intervento Comunale determinante "una disciplina contrastante con la lettera e lo scopo della norma di cui dovrebbe costituire l'attuazione".

Pertanto la distanza di 10 metri è assoluta per il caso di "pareti finestratte", senza alcuna distinzione tra i settori di esse, secondo che siano o non dotati di finestre.

il caso riguardava un regolamento comunale che esigeva il rispetto dei 10 metri soltanto per i tratti di parete compresi tra i limiti esterni della prima e dell'ultima finestra, esonerando dall'obbligo di distanza i segmenti ulteriori qualora tali parti di pareti fronteggiantesi siano entrambe cieche.

 

Cassazione Penale n. 34600/2011

Abuso edilizio: reato permanente - nozione

La Suprema Corte ribadisce la nozione giuridica di reato permanente nel caso di abuso edilizio:

Questa Corte (ex plurimis, Cass., sez. lll, 19 maggio 2009 - 24 luglio 2009, n. 30932) ha affermato che la natura permanente del reato previsto dall'art. 44, 1° comma, lett. c), d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, legittima il sequestro preventivo delle opere edilizie eseguite in zona sottoposta a vincolo anche nel caso di ultimazione dei lavori, in quanto l'esecuzione di interventi edilizi in zona vincolata ne protrae nel tempo e ne aggrava le conseguenze, determinando e radicando il danno all°ambiente ed al quadro paesaggistico che il vincolo ambientale mira a salvaguardare. ... Più in generale Cass., sez. Il, 16 novembre 2006 - 7 febbraio 2007, n. 5225, ha affermato che il sequestro preventivo può essere disposto al fine di impedire l'aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato pur quando, vertendosi in materia di reati concernenti la tutela del territorio, sia cessata la condotta criminosa, dal momento che perdurano comunque gli effetti lesivi dell'equilibrio urbanistico ed ambientale.

A questo orientamento giurisprudenziale - al quale si è conformata l'impugnata ordinanza senza quindi incorrere nel vizio di violazione di legge denunciato dalla difesa dei ricorrenti - va data continuità dovendosi ribadire che il reato di costruzione senza concessione edilizia deve considerarsi permanente, poiché la condotta dell'agente non si esaurisce con l'inizio dei lavori, ma si protrae per tutta la durata di essi; la permanenza cessa con l'ultimazione delle opere o con la sentenza di primo grado o con il provvedimento di sequestro, che sottrae all'imputato la disponibilità di fatto e di diritto dell'immobile.

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 23-9-2011

Oneri di urbanizzazione primaria in lottizzazione decaduta ma convenzionata e con opere primarie già realizzate a scomputo

La sentenza asserisce:

  • che il Comune non poteva pretenderne il pagamento di oneri già corrisposti con lo scomputo, a nulla potendo rilevare che nel frattempo la lottizzazione aveva perso efficacia per decorso del decennio( art.28 L.U.).
  • che l’onere del contributo di urbanizzazione essendo indubbiamente annoverabile tra le prestazioni patrimoniali che il Comune può imporre in base ad apposite norme ( v.art.16 t.u. n.380/2001 delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) a colui che intende eseguire un intervento edilizio in una determinata zona omogenea del territorio comunale, non può, in assenza di specifica previsione , nuovamente ricadere su quest’ultimo.
  • Occorre quindi, nel rispetto al principio costituzionale recato dall’art.23, che l’ente competente a legiferare in materia, com’è noto la Regione, abbia comunque contemplato tale ultima possibilità, fatta salva ovviamente la verifica di conformità di tale scelta con l’anzidetta previsione costituzionale.

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 23-9-2011

Termine decadenziale per impugnare il permesso di costruire

La sentenza asserisce:

  • Il termine decadenziale per l’impugnazione di un permesso di costruire decorre dalla piena conoscenza dell’esistenza e dell’entità delle violazioni urbanistiche o del contenuto specifico del progetto edilizio ( cfr Cons Stato Sez VI 10 dicembre 2010 n.8705; Sez. V 24 agosto 2007 n.4485).
  • Al riguardo, in virtù di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale , qui pienamente condiviso, ai fini della tempestiva impugnazione del titolo ad aedificandum rilasciato a terzi l’effettiva , piena conoscenza dell’atto in parola deve essere ancorata all’ultimazione dei lavori oppure al momento in cui la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera per una eventuale non conformità urbanistico-edilizia della stessa ( cfr Cons Stato Sez. IV 28 gennaio 2011 n.678; ) , lì dove non si può più avere dubbi in ordine alla reale portata dell’intervento edilizio assentito ( cfr Cons Stato Sez. V 3 marzo 2004 n.1023).
  • Sempre sulla questione della individuazione del momento conoscitivo cui far decorrere il termine decadenziale per l’impugnativa, la giurisprudenza ha avuto modo di stabilire che:
    • non vale, in assenza di altri elementi probatori, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnativa, a dimostrare la piena conoscenza del provvedimento edilizio , la presenza del cartello di cantiere recante l’indicazione della concessione edilizia e la descrizione dell’intervento e neppure la data di inizio lavori ( Cons Stato Sez. IV 28 gennaio 2011 n.678);
    • in capo alla parte che eccepisce la tardività dell’impugnativa sussiste un rigoroso onere di dimostrazione della circostanza relativa all’anticipata conoscenza ( cfr Con Stato Sez. V 5 febbraio 2007 n.452).

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 16-9-2011

La "tutela strumentale" ... esige rispetto dei procedimenti

La sentenza assume rilevanza per il fatto che:

  • l’ordinamento amministrativo offre al cittadino anche una “tutela strumentale” che si concretizza nella pretesa al rispetto delle sole norme del procedimento amministrativo quando dalla loro osservanza derivi comunque una qualche utilità per il ricorrente, come l’eliminazione di un atto sfavorevolmente incidente nella sfera giuridica del destinatario, in correlazione con la possibilità di conseguire un risultato favorevole con l’osservanza del corretto procedimento (sul punto v. Cons. di Stato, sez. V, n. 4061/2002 e sez. IV, n.4412/2004).

  • Se la giurisprudenza di questo Consesso ha già avuto modo di delineare tale forma di tutela, con riferimento al caso in esame va altresì osservato (sulla base delle censure sostanziali pur formulate dal ricorso di primo grado ma dichiarate assorbite dal TAR) che la tesi dell’appellata sull’attitudine edificatoria del fondo non poteva, quanto meno “prima facie”, ritenersi affetta da manifesta infondatezza, sicchè era da attendersi da parte dell’amministrazione lo sviluppo di un procedimento correttamente completo sulla istanza edilizia proposta.

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 16-9-2011

Distanze dei fabbricati dai confini previste nei regolamenti edilizi: natura - principio della prevenzione

La sentenza asserisce:

  • In proposito, è comunque utile ricordare che questo Consiglio di Stato (sez. IV, 4 febbraio 2011 n. 802), esaminando una previsione di regolamento edilizio analoga a quella oggetto del presente giudizio, ha avuto modo di escludere la natura “assoluta e inderogabile” della norma, quanto alla distanza dal confine. Si è quindi affermato:
    • “È ben vero che il principio della prevenzione, che ricorre quando il fondo è situato in un comune sprovvisto di strumenti urbanistici, non è applicabile quando l'obbligo di osservare un determinato distacco dal confine sia dettato da regolamenti comunali in tema di edilizia e di urbanistica, avuto riguardo al carattere indiscutibilmente cogente di tali fonti normative, da intendersi preordinate alla tutela, oltre che di privati diritti soggettivi, di interessi generali. Proprio in quest’ottica la giurisprudenza sottolinea che solo nel caso in cui i regolamenti edilizi stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, non può ritenersi consentita la costruzione in aderenza o in appoggio a meno che tale facoltà non sia consentita come alternativa all'obbligo di rispettare le suddette distanze (Consiglio di Stato, sez. V, 25 ottobre 1999, n. 1688; Consiglio di Stato, sez. V, 13 gennaio 2004, n. 46) . . . . Nel caso di specie, dalla norma regolamentare sopra evidenziata emerge come sia ammessa la costruzione in aderenza e pertanto sia consentito a chi edifica per primo di costruire sul confine. . . Ne deriva l’applicabilità in toto del principio di prevenzione, non sussistendo nella norma il cogente divieto a cui fa riferimento l’interpretazione vigente della normativa in materia.”.

 

Cass. Pen., Sez. Fer., 8-9-2011

Pensiline e tettoie: differenze - opere di arredo - permesso di costruire

La sentenza rileva per il fatto che espone la differenza tra tettoie, pensiline e pergolati, qualificandoli come arredi ma richiedenti, in generale, il permesso di costruire.

Visto l'art. 6 del testo unico edilizia che subodina a semplice comunicazione al Comune "le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici", dalla sentenza si dovrebbero escludere gli elementi costruiti in contiguità con gli edifici e quelli muniti di copertura che non sia meramente ombreggiante.

Infatti per il Giudice Penale:

  • Invero, la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente soffermata sul concetto di “tettoia” e sulla differenza tra questa ed il “pergolato”, osservando che la diversità strutturale delle due opere è rilevabile dal fatto che, mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l'abitabilità dell'immobile (Sez. III n. 19973, 19 maggio 2008; conf. Sez. III n. 10534, 10 marzo 2009).
  • il bene della vita anelato dalla ricorrente non è né astratto né teorico, dovendosi individuare Si è poi ritenuto che la realizzazione di tettoie assuma rilevanza sotto il profilo urbanistico, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari, come peraltro avviene con riferimento a tutte le tipologie di manufatti. Le tettoie sono state sempre considerate, pertanto, come parti di un edificio preesistente o autonomamente valutate come interventi di nuova costruzione (v., tra le più recenti, Sez. III n.27264 , 14 luglio 2010; Sez. III n. 21351, 4 giugno 2010; Sez. III n. 25530, 18 giugno 2009; Sez. III n. 17083, 18 maggio 2006; Sez. III n. 40843, 10 novembre 2005).
  • Con riferimento alle pensiline, invece, sebbene si sia ritenuta, in un caso, la necessità della concessione edilizia, ora permesso di costruire (Sez. III n. 2733, 31 gennaio 1994, citata anche nell'impugnata decisione), non si rinviene alcuna indicazione che ne qualifichi puntualmente il concetto.
  • Alcuni regolamenti comunali, ivi compreso quello del Comune ove le opere in contestazione sono state realizzate, prevedono effettivamente una distinzione tra tettoia e pensilina, solitamente fondata sulle diverse caratteristiche costruttive.
  • In particolare, il Regolamento Edilizio del Comune di ... individua le pensiline come assimilabili agli “sbalzi” ed ai “corpi aggettanti aperti”, distinguendole, in senso evidentemente riduttivo, dalle tettoie ma indica come necessaria la concessione edilizia (ora permesso di costruire) per quelle insistenti in area sottoposte a vincolo paesaggistico o storico – architettonico.

  • Sotto un profilo eminentemente lessicale, tuttavia, la pensilina viene sostanzialmente equiparata alla tettoia con la quale condivide comuni finalità di arredo o di riparo e protezione e dalla quale non può distinguersi neppure per la conformazione, stante le diversità di materiali con i quali possono essere realizzate entrambe le strutture e le modalità di ancoraggio al suolo o in aggetto rispetto ad altro edificio.

  • Sulla base di tale considerazione, pertanto, può affermarsi il principio secondo il quale la sostanziale identità delle nozioni di tettoia e pensilina ricavabile dalle medesime finalità di arredo, riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici, determina la necessità del permesso di costruire nei casi in cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale dell'intervento .

 

TAR VE, Sez. II, 8-9-2011

Illegittimo un provvedimento se viziato da accesso di potere per carenza di istruttoria

Per i Giudici amministrativi veneti sussiste il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria laddove l'Amministrazione non abbia eseguito alcun approfondimento o accertamento idoneo a rilevare la reale situazione di fatto e, conseguentemente, la corretta rappresentazione dello stato dei luoghi negli elaborati progettuali, ... in assenza ... di elementi unvoci.

Il caso si riferisce alla segnalazione di un condomino che lo stato di fatto presentato da altro condomino non era correttamente rappresentato essendo stata omessa l'indicazione di una tettoia (oggetto di condono).

A fronte di contrastante documentazione in atti, l'amministrazione non può limitarsi a porre a fondamento della determinazione esclusivamente gli elementi prodotti da una parte, ma deve procedere ad un'adeguata valutazione che di quelli prodotti dall'altra parte, ivi comprese le dichirazioni rese da ulteriori soggetti.

 

Cassazione, Sez. 3 Penale, 28.7.2011

Interventi in totale difformità dal permesso di costruire

Per i Giudici penali " ...la realizzazione di una maggiore superficie al piano terra del fabbricato, con suddivisione in due vani non previsti in progetto e la creazione di un terzo locale mediante la chiusura di una veranda possano collocarsi tra gli interventi in difformità totale, in quanto aventi senza dubbio rilevanza urbanistica e recando gli stessi quel requisito di sostanziale autonomia rispetto al dato progettuale originario richiesto dalle disposizioni richiamate.

E’ inoltre evidente che interventi siffatti sono chiaramente finalizzati ad assolvere a permanenti finalità abitative, con l’ulteriore conseguenza che deve escludersi la loro natura pertinenziale o di volume tecnico, non potendo essere considerati come vani accessori a servizio della costruzione principale, bensì quali ampliamento ed ambienti completamente nuovi."

Infatti, asseriscono:

La definizione di totale difformità è contenuta nell’articolo 31 del TU edilizia, il quale precisa che sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

La giurisprudenza di questa Corte (Sez. III n. 3593, 27 gennaio 2009) ha già chiarito che l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare, sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi tanto alla costruzione di un corpo autonomo, quanto all'effettuazione di modificazioni con opere, anche soltanto interne, tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico”.

Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto.

Il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato.

La difformità totale si verifica allorché si costruisca "aliud pro alio'" e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.

Per contro, si ha difformità parziale, nelle ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza.

 

Cassazione, Sez. 3 Penale, 29.7.2011

Interventi in aree sismiche - obbligo anche per OO.PP.

E difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualsiasi tipo di intervento edilizio in zona sismica deve essere previamente denunciato al competente ufficio al fine di consentire preventivi controlli e necessita del rilascio del preventivo titolo abilitativo, conseguendone, in difetto, la violazione dell'art. 95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L'obbligo di denuncia e di presentazione dei progetti previsto dall`art. 9 testo unico dell'edilizia e quello di preventiva autorizzazione previsto dall'articolo. 94 riguardano tutte le opere realizzate nelle zone sismiche e precisamente, come prevede l'art. 83, «tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone dichiarare sismiche››, a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture. Infatti, la finalità perseguita dal legislatore è quella di rispettare le esigenze di una più rigorosa tutela dell'incolumità pubblica nelle zone dichiarate sismiche.

E' poi evidente che queste norme, dettate per la finalità di tutela della pubblica incolumità, non sono derogate, nel caso di lavori pubblici, dall'art. 25 del la legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) peraltro ora abrogato dall'art. 256 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che detta(va) norme in tema di varianti in corso d°opera esclusivamente sotto il profilo della disciplina del contratto di appalto di opere pubbliche e non sotto quella della tutela antisismica.

 

Cassazione, Sez. 3 Penale, 29.7.2011

Interrati: occorre il permesso di costruire

La giurisprudenza di questa Corte, pressoché unanime, ritiene quindi necessario il permesso di costruire per la realizzazione di immobili in tutto o in parte interrati, trattandosi di opere per le quali l'autorità comunale deve svolgere il suo controllo diretto ad assicurare sia l'ordinato sviluppo dell'aggregato urbano, sia il rispetto delle norme urbanistiche ed anche l'osservanza delle regole tecniche di costruzione prescritte dalla legge (Sez. III n. 24464, 21 giugno 2007 ed altre prec. tutte conformi).

Tale tipologia di intervento deve essere dunque computata ai fini volumetrici, perché, come osservato in altra articolata decisione (Sez. III n. 11011, 27 settembre 1999), detto calcolo deve essere effettuato, salvo che non viga un'espressa disposizione contraria, con riferimento all'opera in ogni suo elemento, ivi compresi gli ambienti seminterrati ed interrati funzionalmente asserviti, poiché nel concetto di costruzione rientra ogni intervento edilizio che abbia rilevanza urbanistica, in quanto incide sull'assetto del territorio ed aumenta il c.d. carico urbanistico e tali sono pure i piani interrati cioè sottostanti al livello stradale.

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 29.8.2011

Il progetto degli impianti nei procedimenti inerenti i titoli abilitativi edilizi, già legge 46/90 (ora d.m. 37/08)

Il Consiglio di Stato interviene su una questione, forse annosa, riguardante il momento in cui il progetto degli impianti, qualora obbligatorio, deve essere depositato in comune ai fini del rilascio del titolo abilitativo edilizio o dell'efficacia della dia/scia.

Come noto già l'art. 6, comma 3, lettera b), della legge 46/90 prevedeva, come confermato dall'attuale d.m. 37/08 art. 11, comma 2, il deposito del progetto impiantistico contestualente al progetto edilizio, per cui la sentenza è attuale anche se fa riferimento dall'abrogato d.p.r. 425/94 (per l'agibilità).

Risulta che la prescrizione normativa del contestuale deposito appartenga "del tutto chiaramente alla fase istruttoria della licenza edilizia ed appare evidentemente finalizzato a garantire un controllo (come peraltro la stessa concessione) sulla sicurezza “ab origine” dell’edificio, con particolare riferimento ad una esigenza di rispetto dei parametri di legalità che disciplinano le costruzioni residenziali".

Le conclusioni della sentenza sostengono che "legittima risulta pertanto l’archiviazione della domanda edilizia (e ciò del tutto indipendentemente dalla portata dell’art. 7 del regolamento comunale), non essendo stata corredata dal progetto relativo agli impianti elettrici, come richiesto dall’art.6 della legge suddetta e dal Comune appellante; tali adempimenti, infine, sono quindi ben lungi dal costituire un effetto dilatorio dei tempi di evasione della domanda concessoria, ravvisabile solo ove le richieste amministrative risultino extra-legem o ripetitive o comunque costituiscano un inutile aggravio del procedimento amministrativo."

 

Consiglio di Stato, Sez. 4, 10.8.2011

Demolizione e ricostruzione con recupero di altri volumi - non sussiste identità di sagoma e volume - non è ristrutturazione edilizia

La giurisprudenza ha costantemente affermato che la nozione di ristrutturazione edilizia, interpretata ai sensi dell'art. 31, l. 5 agosto 1978 n. 457, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 2010 n. 7310; 15 giugno 2010 n. 3744).

Orbene, alla luce della disciplina recata dalla normativa statale, cui risulta sostanzialmente conforme l’art. 8-bis delle NTA del Comune di S. Giustiìna in Colle (laddove prevede che gli interventi di ristrutturazione possano essere effettuati “nel rispetto delle volumetrie esistenti”), il Collegio non può che rigettare il motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto) e confermare la sentenza appellata, laddove essa afferma che l’intervento “comporta l’ampliamento dell’edificio residenziale mediante il recupero della volumetria del rustico”, così venendosi a determinare “un edificio diverso dal preesistente per volumetria e sagoma”.

Ed infatti, come risulta anche dallo stesso ricorso in appello e dalla memoria 24 marzo 2011 dell’appellante, effettivamente, in virtù del progetto non assentito, si verrebbe a realizzare un aumento di volumetria dell’edificio residenziale, attraverso il (parziale) utilizzo della volumetria del rustico.

Dall’attività edilizia, dunque, ove assentita, conseguirebbe un edificio diverso dall’originario per volume e sagoma, e quindi non rientrante nella nozione di “ristrutturazione edilizia”, a nulla rilevando, a tali fini, che la volumetria complessiva (cioè quella dell’edificio residenziale sommata a quella del rustico) diminuirebbe, anziché aumentare.

TAR Veneto, Sez. 2, 12.8.2011

Intervento di demolizione e Ricostruzione - contributo dovuto - natura della quota relativa agli oneri di urbanizzazione primaria

Nella fattispecie oggetto di giudizio l’intervento edilizio ha ad oggetto la demolizione e ricostruzione di un immobile senza modifica del volume, della superficie utile e della destinazione d’uso rispetto all’edificio preesistente.

Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza anche del giudice d’appello, il contributo per gli oneri di urbanizzazione è da qualificare in termini di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae; in particolare, tale contributo, assolve all'obiettivo di ridistribuire i costi sociali di tali opere avuto riguardo all'aggravamento del carico urbanistico che l'intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere (Cons. St., sez. IV, 15 luglio 2009, n. 4439; Cons. St., sez. V, 26 marzo 2009 , n. 1804 Cons. St., sez. V, 25 maggio 1995, n. 822).

Su tali basi si esclude, dunque, che il suddetto contributo sia dovuto in tutti quei casi in cui l'intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. T.R.G.A.-Sezione Autonoma di Bolzano, 6 marzo 2000, n. 59).

Tali principi sono stati recepiti dalla legislazione regionale e, infatti, l’art. 81, comma 5 della l.r. n. 61 del 1985, ha previsto che “in caso di modifiche della destinazione d' uso o di ampliamenti del volume o della superficie utile di calpestio, sia che si tratti di nuova concessione o di variante in corso d'opera, il contributo è riferito alla parte di nuova edificazione e, in caso di mutamento della destinazione d' uso, alla differenza fra il nuovo uso e il precedente”.

Al fine di sostenere la sussistenza dell’obbligo suddetto, inoltre, non può ritenersi sufficiente la circostanza che per la costruzione preesistente, antecedente alla l. n. 10 del 1977, non era stato versato alcun contributo, in quanto il principio di onerosità della concessione è stato introdotto proprio con il suddetto testo normativo sicché l’incidenza sul carico urbanistico dell’originario intervento non può costituire oggetto di un’applicazione retroattiva della disciplina in argomento.

Consiglio di Stato, Sez. 4, 3.8.2011

Sul valore della dichiarazione ante 67 - obblighi della P.A.

In definitiva, la sentenza impugnata:

- per un verso fonda la legittimità della rilasciata concessione edilizia sul “valore certificativo e probatorio” delle dichiarazioni sostitutive “salvo prova contraria”;

- per altro verso, ritiene non decisivo quanto risultante dagli atti del 1967 (poiché quanto ivi riportato sulla presenza o meno del manufatto “è chiaramente desunto dalla rispettiva dizione catastale, ma tanto non costituisce prova certa che il manufatto non fosse egualmente presente già in data anteriore, anche se non riportato in catasto”);

- per altro verso ancora, ritiene legittimo il provvedimento poiché “nelle ristrutturazioni che non comportano modifiche sostanziali dell’edificio preesistente non si applicano le disposizioni più restrittive eventualmente sopravvenute”.

Orbene, l’art. 4 l. n. 15/1968 (disciplinante “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà”, oggi sostituito dall’art. 46 DPR n. 445/2000) prevede::

“l'atto di notorietà concernente fatti, stati o qualità personali che siano a diretta conoscenza dell'interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo dinanzi al funzionario competente a ricevere la documentazione, o dinanzi ad un notaio, cancelliere, segretario comunale, o altro funzionario incaricato dal sindaco, il quale provvede alla autenticazione della sottoscrizione con la osservanza delle modalità di cui all'art. 20.”

Tale dichiarazione sostitutiva concerne unicamente fatti, stati o qualità personali che siano a diretta conoscenza dell'interessato e che, di regola, non trovano riscontro in albi, registri o elenchi tenuta dalla p.a. o perché nessuna norma ne prevede la registrazione o perché questi ultimi sono andati dispersi, e si differenzia dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione, ex art. 2 l. n. 15/1968, perché quest’ultima si caratterizza, invece, per la perfetta coincidenza tra il suo contenuto e il contenuto del certificato che essa sostituisce (Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 1997 n. 519).

La dichiarazione ex art. 4, dunque, proprio perché non sostitutiva di “certificati”, né, quindi, riproduttiva di dati presenti in archivi e/o registri della pubblica amministrazione non assume alcuna “valenza certificativa”, né assume alcun particolare valore probatorio in ordine a quanto con essa dichiarato, ma essa ha la sola funzione di semplificazione procedimentale, fermo restando, tuttavia, il potere di controllo della pubblica amministrazione, il cui esercizio è doveroso allorchè quanto dichiarato si mostri palesemente non corrispondente al vero.

Ne consegue che, oltre a non avere alcuna rilevanza, sia pure indiziaria, nel processo civile o amministrativo (da ultimo, Cass. Civ., sez. III, 28 aprile 2010 n. 10191), la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non ha “valore” certificativo o probatorio neanche nei confronti della pubblica amministrazione, o, più precisamente, nell’ambito del procedimento amministrativo, ma solo una “attitudine”probatoria provvisoria e fino a contraria risultanza, volta a consentire – salvo verifica – la più spedita conclusione del procedimento amministrativo. (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008 n. 4035; Cass. Civ., sez. II, 6 marzo 2008 n. 6132).

In definitiva, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è solo un mezzo di speditezza ed alleggerimento provvisori dell'attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità del rapporto con la P.A., e non un mezzo di prova legale, sicché il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria e alla verifica ad opera dell'Amministrazione, verifica che è doverosa, prima di procedere all’emanazione del provvedimento finale, in caso di elementi dubbi o contestati.

D’altra parte, che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non ha “valore di prova” nei confronti della P.A., e, quindi, non costituisce piena prova di quanto in essa dichiarato (avendo essa solo una “attitudine” probatoria, provvisoria e revocabile), è dimostrato dall’art. 71, comma 1, del DPR n. 445/2000, il quale prevede che “le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive”.

In ipotesi quali quelle ora considerate, incombe certamente sulla Pubblica Amministrazione l’obbligo di verifica dell’effettivo stato dei luoghi e, nei limiti di quanto possibile, dell’epoca di realizzazione dell’immobile, posto che la legittima edificazione dell’immobile da ristrutturare e la sua consistenza costituiscono i presupposti indefettibili dell’assentibilità di un intervento d ristrutturazione.

E’ ben vero, come si afferma nella sentenza appellata, che negli interventi di ristrutturazione “che non comportano modifiche sostanziali dell’edificio preesistente non si applicano le disposizioni più restrittive eventualmente sopravvenute”, ma ciò presuppone sia l’edificazione legittima di quanto si intende ristrutturare, sia la consistenza (per ubicazione, sagoma, dimensioni) dell’immobile ristrutturando.

Consiglio di Stato, A.P., 29.7.2011

Natura giuridica della DIA e della SCIA - tutela del terzo

Con la sentenza n. 15 l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha stabilito che:

  • DIA e SCIA sono atti privati volti a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività economica direttamente ammessa dalla legge;
  • sono "moduli" di liberalizzazione "a carattere solo parziale" dell'attività economica privata per il fatto che "il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell'attività denunciata";
  • in sostanza DIA e SCIA aderiscono "ad un modello di liberalizzazione temperata che sostituisce l'assenso preventivo con il controllo successivo" ... "di attività ancora sottoposte ad un regime amministrativo, pur se con la significativa differenza che detto regime non prevede più un assenso preventivo di stampo autorizzatorio ma un controllo - a seconda dei casi successivo alla presentazione della d.i.a. o allo stesso inizio dell'attività dichiarata-, da esercitarsi entro un termine perentorio con l'attivazione ufficiosa di un doveroso procedimento teso alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l'esercizio dell'attività dichiarata"; in altri termini "il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell'attività denunciata";
  • DIA e SCIA, dunque, sono "moduli fondati sull'inoltro di un'informativa circa l'esercizio dell'attività edificatoria", ovvero "dichiarazone del privato ad efficacia (in via immediata o differita) legittimante";
  • il potere dell'amministrazione si sostanzia in una "successiva verifica della conformità a legge dell'attività denunciata mediante l'uso degli strumenti inibitori e repressivi";
  • lo strumento inibitorio è un "potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici";
  • al cessare del "potere vincolato di controllo con esito inibitorio..viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela";
  • il mancato esercizio del doveroso potere inibitorio entro i termini previsti determina un silenzio significativo negativo, ovvero un "provvedimento tacito negativo equiparato ...ad un ... atto espresso di diniego dell'adozione del provvedimento inibitorio";
  • qualificandosi il "silenzio in parola alla stregua di atto tacito di diniego del provvedimeno inibitorio", la sua potrazione "dà luogo, quindi, ad un esito negativo del procedimento che produce la lesione dell'interesse pretenzivo del terzo al conseguimento della misura inibitoria";
  • il terzo può impugnare tale silenzio significativo il cui "termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina. Ne deriva che, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine per l'impugnazione decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento".

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.7.2011

Berceau, qualificazione - piani di lottizzazione decaduti

Con la prima sentenza, n. 1995, il TAR ribadisce che:

(i) manufatti di tipo “berceau”, formati da intelaiatura metallica scoperta, in pratica semplici pergolati.

Per la costruzione di tali opere, effettivamente, non appare necessario un titolo edilizio costituito dal permesso di costruire (o dalla denuncia di inizio attività alternativa a quest’ultimo), sicché l’intervento sanzionatorio del Comune non può essere avvenire attraverso un ordine di demolizione, con conseguente acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime in caso di inottemperanza, come previsto dall’art. 31 del DPR 380/2001.

Si tratta, infatti, di strutture precarie e semplicemente poggiate al suolo, facilmente amovibili, non idonee a creare nuovi volumi e quindi a determinare la <<trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio>>, che ai sensi dell’art. 10 del DPR 380/2001 impone il permesso di costruire.

La giurisprudenza ha del resto qualificato il c.d. “berceau” come un’opera edilizia leggera, tipo pergolato, costituita soltanto da una intelaiatura metallica o di legno, priva di pareti e copertura, con eventuali piante rampicanti che hanno però funzione meramente ornamentale (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 17.11.2010, n. 4638).

Il semplice pergolato, appoggiato al suolo, non richiede titolo edilizio, trattandosi di struttura rimuovibile e priva di pareti (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III, 6.2.2009, n. 222 e Consiglio di Stato, sez. V, 7.11.2005, n. 6193).

Con la sentenza n. 1979, invece, si chiarisce

le disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 l. 17 agosto 1942 n. 1150, si applicano, difatti, anche ai piani di lottizzazione, con la conseguenza che va riconosciuta anche ad essi l'applicabilità del termine massimo di validità decennale entro il quale devono essere attuati e decorso il quale divengono inefficaci per la parte inattuata (Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2003 , n. 200).

Una volta sopraggiunta l’inefficacia del piano, l’art. 17, l. 17/08/1942 n. 1150 prevede, al comma 2, che “ove il Comune non provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della parte di piano particolareggiato che sia rimasta inattuata per decorso di termine, la compilazione potrà essere disposta dal prefetto a norma del secondo comma dell'art. 14”.

Il Comune può, dunque, disciplinare la parte di piano che non ha avuto attuazione mediante un nuovo piano e dovrà, quindi, agire nel rispetto delle procedure previste dalla legge per l’approvazione dei piani attuativi: non può, perciò, limitarsi, come è accaduto nel caso di specie, ad addivenire alla stipula di una nuova convenzione che modifichi quanto previsto dai piani attuativi divenuti inefficaci.

 

TAR Toscana, Sez. III, 15.7.2011

Pdc in sanatoria e silenzio serbato dopo 60 gg - cumulo terra, qualificazione intervento

Con la prima sentenza n. 1214, il TAR evidenzia che:

L’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 prevede che, decorsi 60 giorni dalla richiesta di permesso di costruire in sanatoria, la stessa si intende rifiutata. Pertanto, trascorso il suddetto termine, si forma un tacito provvedimento di diniego (TAR Toscana, III, 2/3/2011, n. 418).

Occorre infatti considerare che la statuizione di cui all’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 (che ripete quanto già sancito dall’art. 13, comma 2, della legge n. 47/1985) da un lato risponde allo scopo di evitare il protrarsi di situazioni di incertezza suscettibili di incentivare l’abusivismo, dall’altro lato pone una presunzione relativa di difformità urbanistico-edilizia dei lavori realizzati senza titolo, accollando ragionevolmente al soggetto che ha violato la legge e versa in una condizione illecita l’onere di attivarsi prontamente, anche nelle sedi giudiziarie, affinchè sia dimostrata la natura solo formale e non sostanziale dell’illecito (TAR Campania, Napoli, III, 17/9/2010, n. 17440; idem, VI, 15/12/2010, n. 27356; Cons. Stato, IV, 7/7/2008, n. 3373).

Con la sentenza n. 1203, invece, si stabilisce che:

le opere rispetto alle quali è stato adottato il contestato provvedimento inibitorio non corrispondono esattamente alla rappresentazione contenuta nella relazione tecnica e all’intestazione del progetto costituente parte integrante della d.i.a. (documenti n. 2, 2a e 3 depositati in giudizio dall’esponente), la cui definizione dei lavori relativi al terrapieno (“ripristino”) non è irrilevante o meramente terminologica, in quanto il ripristino del terreno, non modificando il primitivo andamento del declivio, non può costituire un nuovo manufatto e non pone problemi di alterazione o aggravamento del naturale scolo delle acque sulla superficie, alterazione che è invece prodotta dalla creazione di una nuova scarpata, la quale, a differenza della mera ricostituzione dell’andamento naturale, può rendere indispensabile la realizzazione di un pozzetto di scolo e richiede l’osservanza delle norme sulle distanze tra costruzioni.

Pertanto, riferendosi sostanzialmente il provvedimento impugnato ad interventi non correttamente rappresentati nella d.i.a. (essendo potenzialmente ingannevole o fuorviante la qualificazione delle opere espressa nella relazione tecnica ivi annessa), il decorso del termine di 20 giorni dalla presentazione della stessa non ha effetto legittimante (TAR Liguria, I, 14/1/2011, n. 47). In altre parole, non assume rilievo il periodo trascorso tra la scadenza del termine previsto dal legislatore per l’avvio dei lavori e la diffida, allorquando l’intempestivo intervento del Comune è riconducibile ad una erronea descrizione dello stato di fatto o di progetto (TAR Lombardia, Milano, II, 13/3/2009, n. 1924), anche se si tratti di qualificazione espressa nella relazione tecnica allegata alla d.i.a., sempre che la definizione dell’intervento sia suscettibile di incidere, come nel caso in esame, sulla valutazione della sua assentibilità.

TAR Veneto, Sez. 2, sentenza 1-7-2011

Le modalità esecutive degli interventi edilizi e loro rilevanza in senso urbanistico e in senso paesaggistico

La sentenza in commento, tra i vari profili meritevoli di approfondimento, offre lo spunto per analizzare il rapporto tra valutazioni di natura urbanistico-edilizia e valutazioni di natura paesaggistica, sia in sede valutazione preventiva degli interventi richiesti che in sede di valutazione "postuma" (di compatibilità paesaggistica per "varianti" apportate in "corso d'opera" e/o per "abusi" sia urbanistico-edilizi che paesaggistici).

Tale approfondimento diventa maggiormente opportuno anche per il fatto che, solitamente, l'autorizzazione paesaggistica viene rilasciata sulla scorta dei medesimi elaborati progettuali a corredo della pratica edilizia e con la "sola" aggiunta della relazione paesaggistica (dpcm 12.12.2005).

 

Commenti Tecnojus - TAR Veneto, Sez. 2, 1 luglio 2011

Sospensione lavori ex art. 27, co. 3, testo unico edilizia: natura

Dalla sentenza risulta che:

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, il potere di sospensione dei lavori in corso, attribuito all'autorità comunale dall'art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, è di tipo cautelare, in quanto destinato ad evitare che la prosecuzione dei lavori determini un aggravarsi del danno urbanistico, e alla descritta natura interinale del potere segue che il provvedimento emanato nel suo esercizio ha la caratteristica della provvisorietà, fino all'adozione dei provvedimenti definitivi. Ne discende che, a seguito dello spirare del termine del termine di 45 giorni, ove l'amministrazione non abbia emanato alcun provvedimento sanzionatorio definitivo, l'ordine in questione perde ogni efficacia (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 6.10.2005 , n. 1901), mentre, nell'ipotesi di emanazione del provvedimento sanzionatorio, è in virtù di quest'ultimo che viene a determinarsi la lesione della sfera giuridica del destinatario (cfr.T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 21.7.2005, n. 5810), con conseguente "assorbimento" dell' ordine di sospensione dei lavori.

Commenti Tecnojus - TAR Veneto, Sez. 2, 17 giugno 2011

Nuovo proprietario: legittimità ordinanza di demolizione per abusi commessi dal precedente proprietario

Dalla sentenza risulta che:

.. si osserva che l’odierno ricorrente, sebbene non sia autore degli abusi, è proprietario dell’area sulla quale insistono e, a tale titolo, l’amministrazione ha notificato l’ordinanza di demolizione del 18 dicembre 2008;

- che, per giurisprudenza consolidata, il nuovo acquirente dell'immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, ivi compresa l'abusiva trasformazione, subendo gli effetti dell'ingiunzione di demolizione impartita, pur essendo l'abuso commesso prima della traslazione della proprietà (cfr. TAR Lombardia, sez. IV, 31 maggio 2010, n. 1721);

- che, dunque, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 4 febbraio 2011, n.1072);

Consiglio di Stato, Sez. 4, 22 giugno 2011

Vincoli espropriativi o di inedificabilità assoluta e vincolo conformativi - differenza

Con la sentenza i Giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che:

I criteri di individuazione dei vincoli espropriativi o di inedificabilità assoluta, rispetto ai vincoli conformativi, sono stati elaborati con le sentenze della Corte Costituzionale 20 maggio 1999, n. 179 e 18 dicembre 2001, n. 411, ma anche con la più recente sentenza 9 maggio 2003 n. 148, nella parte in cui si riferiscono a vincoli scaduti, preordinati all'espropriazione o sostanzialmente espropriativi, senza previsione di durata e di indennizzo.

In base ai suddetti criteri nonché a quelli elaborati dalla giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione all'art. 2 della legge n. 1187 del 1968, i vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza quinquennale, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, che sono preordinati all'espropriazione ovvero che hanno carattere sostanzialmente espropriativo, tali da determinare l'inedificabilità dei beni colpiti e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio (ex plurimis: Cons. Stato, Sez.V, n. 3 del 3.1.2001 e n. 745 del 24.2.2004), con conseguente violazione sostanziale del III° comma dell'art. 42 Cost.

Tali indicazioni possono valere anche con riferimento all’attuale sistema, che, con l'art. 9, commi 3 e 4, del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, entrato in vigore il 30 giugno 2003, ha soltanto esplicitato con una diversa terminologia la regola della durata quinquennale, disciplinando espressamente gli istituti della decadenza e della reiterazione.

Consiglio di Stato, Sez. 4, 22 giugno 2011

Costruzioni a meno di 10 metri dall'argine: inedificabilità assoluta ed inderogabile

Con la sentenza i Giudici di Palazzo Spada hanno deciso che:

In linea generale il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d'acqua, previsto dall'art. 96 lett. f), t.u. 25 luglio 1904 n. 523, ha carattere legale ed è inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cassazione civile, sez. un., 30 luglio 2009, n. 17784).

Il divieto sancito dall'art. 96 lett. f), cit., e dalla successiva lett. g), estende – con carattere di assoluta inderogabilità -- il divieto a qualunque manufatto o volume collocato a meno di dieci metri dalla sponda del fiume, per cui nessuna opera realizzata in violazione di tali norme può sanata.

Una volta che un corso d’acqua è stato costitutivamente inserito negli elenchi, la successiva comunicazione del Magistrato delle Acque è meramente ricognitiva della sussistenza di un preesistente vincolo all’edificazione, di carattere assoluto ed inderogabile, e comunque va autonomamente impugnato presso il competente Tribunale delle Acque.

In difetto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con il divieto di cui all'art. 96 lett. f), r.d. 25 luglio 1904 n. 523, trova infatti applicazione l'art. 33 l.28 febbraio 1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale ricomprende, nei vincoli di inedificabilità, tutti i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 26 marzo 2009 , n. 1814; Consiglio Stato , sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4663).

Nel caso di specie l’autorimessa era stata realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, per cui il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria è conseguentemente legittimo.

Cass. Pen., Sez. 3, 8 giugno 2011

Direttore dei Lavori responsabile (penalmente) se l'edificio viene utilizzato prima del collaudo (art. 75 dpr 380/01)

Con la sentenza la S.C. di Cassazione, terza sezione penale, evidenzia che:

Secondo l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il reato di cui all'art. 75, D.P.R. 380/01 è configurabile - tra gli altri - anche a carico del costruttore, del committente o del proprietario (da ultimo Cass. Sez. 3^ 24.11.2010 n. 1802, Marrocco, Rv. 249133).
Tale tesi giustifica anche - pur in assenza di una affermazione esplicita - l'estensione della responsabilità a soggetti quali il direttore dei lavori, non espressamente indicati nel testo normativo: tanto, in correlazione con la ratio incriminatrice della norma urbanistica la quale mira a salvaguardare la sicurezza pubblica in modo assoluto.

Ne consegue che il Direttore dei lavori, in quanto primo garante della sicurezza, è certamente tenuto all'osservanza delle prescrizioni imposte dall'art. 75 del D.P.R. 380/01 attraverso lo specifico obbligo di inibire l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo.

Correttamente il giudice ha ritenuto applicabile la normativa contestata ad entrambi gli imputati (direttore dei lavori e costruttore) desumendola, anzitutto, dal riferimento contenuto all'art. 67 del D.P.R. 380/01 relativo alla necessità del collaudo statico per tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità e, ancora, dalla sostanziale posizione di garanzia rivestita da entrambi i soggetti in questione in quanto comunque deputati a garantire nel corso dei lavori e prima del loro collaudo, la sicurezza dell'edificio.

Sul punto potrebbe essere opportuno ricordare che con le NTC 2008 il collaudo statico risulta sempre obbligatorio a prescindere dagli obblighi formali di deposito/denuncia.

 

Cass. Pen., Sez. 3, 8 giugno 2011

Asseverazione del progettista nella DIA - natura giuridica

Con la sentenza la S.C. di Cassazione, terza sezione penale, evidenzia che:

Il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all'interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della DIA in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 cod. pen.

l'art. 481 cod. pen. prevede, però, che la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto sia destinato a provare la verità sia contenuta all'interno di un "certificato" e da ciò discende la necessità di individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia abbia o meno natura di "certificato"

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con consolidato orientamento, che costituisce "certificazione" la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare.

Tesi non convergenti sono state espresse, invece, quanto alla parte progettuale della relazione allegata alla DIA edilizia.

Rispetto alle diverse tesi, la sentenza in evidenza aderisce a quella secondo la quale

la relazione del tecnico abilitato costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo del titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.

 

 

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