TAR Veneto, sezione 2, sentenza 8 marzo 2011, n. 377 (breve)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano casa regionale (l.r. 14/09): la prevista deroga delle distanze prevale sui regolamenti locali dei comuni
di romolo balasso architetto

Il TAR ribadisce il proprio orientamento in materia (cfr. sentenza n. 5694 del 21-10-2010) secondo il quale la legge regionale è da ritenersi fonte regolamentare, ai sensi dell'art. 873 del codice civile, avente rango superiore rispetto ai regolamenti comunali vigenti riconducibili al medesimo articolo del codice civile.

La questione potrebbe essere tutt'altro che risolta qualora si dovesse far riferimento all'intera disciplina vigente in materia di distanze tra costruzioni.

Il caso:

Per il TAR Veneto la legge regionale n. 14/09 è annoverabile tra i regolamenti locali che concorrono a disciplinare la materia delle distanze (la sentenza fa rinvio a Cass. 10 maggio 2004, n. 8848), per cui essendo tale provvedimento regionale di grado superiore prevale sulle disposizioni comunali (limitatamente ai casi disciplinati dalla legge speciale, ovviamente).

Consegue che l'ampliamento in deroga non è tenuto a rispettare la distanza minima di 10 metri (dalla cabina elettrica insorgente entro tale distanza), previsto dalle disposizioni comunali attuative della l.r. 14/09.

Pertanto il provvedimento gravato (diniego del titolo abilitativo edilizio per realizzare l'ampliamento in deroga) è illegittimo per violazione degli artt. 2 e 9 della l.r. 14/09, nonché dell’art. 873 c.c..

Commento

I giudici amministrativi veneti riconducono (e qualificano) la l.r. 14/09 all'art. 873 del C.C., segnatamente alla seconda parte dello stesso, laddove ammette che la distanza minima (di tre metri) tra costruzioni insorgenti su fondi finitimi può essere "maggiorata" dai regolamenti locali.

Consegue pertanto che per il TAR le distanze di 10 metri previste nelle normative locali sarebbero una maggiore distanza (rispetto ai 3 metri previsti) in diretta applicazione a tale disposizione codicistica.

Così ritenendo la legge veneta inficerebbe (limitatamente alla speciale disciplina della norma regionale) le disposizioni comunali prescriventi una maggiore distanza tra costruzioni (quella di 10 metri) rispetto alla misura di tre metri prevista dal citato articolo del Codice Civile.

In materia di distanze codicistiche, come ampiamente noto, l'interesse tutelato dalla regola codicistica, ancorchè inserita nei c.d. rapporti di buon vicinato, si qualifica come primario ed ineludibile (configurante così un diritto assoluto) di tipo igienico-sanitario: la finalità è quella di evitare la formazione di intercapedini insalubri (nocive).

Ragionevole presumere che la distanza per fini igienico-sanitari consente di "garantire" condizioni di ventilazione ed illuminazione naturali sia dell'intercapedine stessa (quale spazio che si forma tra costruzioni fronteggiantesi), sia degli edifici che prospettano su di essa per garantire loro "aerazione" ed "illuminazione" naturali nei limiti di legge (cfr. d.m. 5-7-1975, art. 5).

Ma il Codice Civile non è l'unica fonte che regola la materia delle distanze in edilizia: parimenti nota, infatti, è la disciplina introdotta dal d.m. 1444/68, segnatamente, per quanto di interesse in questa sede, l'art. 9 (avente ad oggetto "limiti di distanza tra i fabbricati"), la cui "particolare" natura risulta da una granitica giurisprudenza (sia civile che amministrativa).

Infatti (cfr. ex pluris Consiglio di Stato, sez. 4, sentenza 2 novembre 2010, n. 7731) la disciplina del suddetto art. 9 ha natura di norma primaria che sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme locali. La disciplina imperativa delle distanze di cui all'art. 9 del d.m. 1444/68, a prescindere da quanto prevede l'art. 1 del medesimo, è direttamente applicabile ai rapporti privati, ove gli strumenti urbanistici prevedono distanze minori, anche per il fatto che, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile.

Consolidato, dunque, il fatto che "le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi ...(omissis) per cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare, ed il giudice è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel prg al posto della norma illegittima".

La finalità perseguita dalla norma "edilizio-urbanistica" è dunque analoga a quella regolamentare, per cui la violazione della stessa porta a ritenere la sussistenza di una lesione ad un "diritto assoluto".

Pure noto il fatto che l'art. 9 del d.m. 1444/68 prevede una disciplina articolata in materia di distanze da rispettate sempre, ad eccezione del "caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche", pertanto le distanze minime inderogabili tra i fabbricati (con pareti finestrate) da considerare nell'edificazione sono quelle espresse dal predetto decreto ministeriale, ovvero quelle dell'art. 873, segnatamente la distanza minima assoluta di 3 metri, laddove il d.m. 1444/68 consente "deroghe" alle sue previsioni.

Da quanto sopra argomentato risulta che le distanze tra costruzioni/fabbricati, aventi anche una sola parete finestrata, previste dai regolamenti e normative locali (comunali) siano da ritenere, principalmente, dettate in adesione alla norma primaria di cui al d.m. 1444/68, piuttosto che costituire una maggior distanza codicistica; come tali sarebbero da considerare inderogabili laddove ripetono le distanze minime assolute previste nel decreto (le quali, in caso contrario, si sostituirebbero ex lege).

La questione deroga dal regime delle distanze, infine, andrebbe attentamente valutata sul piano civilistico qualora comprimesse indebitamente diritti e/o interessi legittimi legati alla proprietà.

In via prudenziale sembra sensato ritenere sussistente la lesione di un diritto assoluto (sotto il profilo igienico-sanitario) nel caso in cui un ampliamento in deroga ai sensi della l.r. 14/09 non rispettasse la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate, anche nel caso in cui una sola di queste fosse finestrata, in ragione del fatto che violerebbe una norma primaria di rango statale, segnatamente l'art. 9 del d.m. 1444/68.

Sempre in via prudenziale, appare ragionevole ritenere sussistente una potenziale lesione dello jus aedificandi di una proprietà finitima a quella che realizza un ampliamento in deroga (l.r. 14/09) alla distanza dal confine di proprietà prevista dalle regolamentazioni comunali, qualora tale minor distanza dal confine limitasse o impedisse, di fatto, l'esercizio di tale diritto di costruire nella proprietà terza.

Siccome la previsione della distanza minima dei fabbricati dai confini di proprietà è da ritenersi generalmente orientata a far venir meno il c.d. principio della prevenzione, per spartire equamente tra le proprietà la distanza minima tra fabbricati, è possibile ritenere che la norma regionale speciale "sospenda" il venir meno di tale principio codicistico espresso dalla previsione regolamentare locale di prescrivere una distanza minima dai confini di proprietà.

data documento:
10-03-2011
file: sentenza

fonte: