tecnici e giuristi insieme: approfondimenti tecnico-giuridici sistematici

Edilizia - Giurisprudenza

TAR Veneto, Sez. II, 8 febbraio 2012

Provvedimento sanzionatorio - ordinanza di demolizione

Il TAR del Veneto evidenzia che:

Considerato che successivamente all’adozione del provvedimento impugnato, diffida a demolire del 19.12.2011, il Comune intimato (come documentato in atti) ha definito la pratica relativa all’istanza di sanatoria - presentata, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001, dalla ricorrente per l’abuso contestato - con provvedimento di rigetto datato 20.12.2011, successivamente notificato;

atteso quindi che il provvedimento impugnato è comunque intervenuto prima che l’amministrazione si fosse definitivamente determinata in ordine alla richiesta di sanatoria;

il ricorso è meritevole di accoglimento, in quanto la diffida risulta illegittimamente assunta nei confronti della ricorrente, stanti gli effetti dell’avvenuta presentazione della richiesta di sanatoria;

invero, per un principio giurisprudenziale consolidato nella materia, "Il riesame dell'abusività dell'opera edilizia, provocato dall'istanza di sanatoria dell'autore dell'abuso, determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio in precedenza emanato con la conseguenza che, in caso di rigetto dell'istanza, l'Amministrazione deve emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio, disponendo nuovamente la demolizione dell'opera edilizia ritenuta abusiva, con l'assegnazione di un nuovo termine per adempiere." (Consiglio di Stato, sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8502).

Ne deriva che, essendo divenuto inefficace l’iniziale ordine di demolizione per effetto del riesame dell'abusività dell'intervento edilizio di cui trattasi, provocato dall'istanza di accertamento di conformità presentata dalla ricorrente (sulla quale l'Amministrazione si è pronunciata negativamente con la determinazione n. 46404 in data 20 dicembre 2011), l'Amministrazione avrebbe dovuto adottare un nuovo ordine di demolizione, assegnando alla ricorrente un nuovo termine di 90 giorni per provvedere spontaneamente alla rimozione delle opere abusive, e, quindi, evitare l'adozione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle stesse e della relativa area di sedime.

 

TAR Lazio, Roma, Sez. II, 10 gennaio 2012

Agibilità - funzione, attività della P.A., procedimento

Il TAR del Lazio, Roma, evidenzia che:

In base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente. Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto quando in un edificio (per come è avvenuto nel caso in esame) siano state realizzate modifiche strutturali (cfr., in argomento, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 16 marzo 2011 n. 740), che implicano anche un cambiamento dell'uso degli spazi.

l'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede un procedimento di rilascio del certificato di agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali: 1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto dall'art. 5, 3° comma lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001; 2) il decorso del termine per la definizione del procedimento, importa la formazione del silenzio assenso sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità; 3) il termine del procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa; 4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del 2001).

 

Cass. Pen., Sez. III, 23 gennaio 2012

Qualificazione tecnico-giuridica interventi edilizi: opere precarie

La Suprema Corte, conferma che:

... l'opera precaria, sottratta al regime concessorio, è quella oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transuenti e quindi non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è rivolta a regolare. Cfr. Cass., sez. III, 25 febberaio 2009 - 27 maggio, n. 22054, secondo cui ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente assolva.

Restano esclusi, pertanto, dal regime del permesso di costruire soltanto i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a soddisfare esegenze di carattere contingente e ad essere presto eliminati.

 

TAR Veneto, Sez. II, 25 gennaio 2012

Distanze in edilizia - entrata in vigore di nuove norme

La sentenza riafferma i consolidati indirizzi in materia, ovvero:

Costituisce principio consolidato e pacifico che in tema di distanze fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita e permessa (conosciuto dal G.A.).

Pertanto, la controversia derivante dall’impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 28.1. 2011 , n. 678).

Posto, infatti, che i requisiti di legittimità di una concessione edilizia devono essere accertati al momento del suo rilascio, l'adozione di un nuovo piano regolatore non ha rilevanza alcuna ai fini dell'annullamento delle concessioni validamente rilasciate anteriormente (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale). In particolare, in materia, vige il principio secondo il quale nel caso in cui dopo la concessione edilizia sopravvengono nuove norme sulla distanze tra gli edifici, o sulla loro volumetria od altezza, il costruttore deve conformarsi allo "ius superveniens", salvo che la costruzione sia già iniziata, perché in tal caso, se la nuova disciplina è più restrittiva della precedente, non può esplicare efficacia retroattiva su situazioni consolidatesi (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 13.5.2003, n. 781; Cass. Civ., Sez. II, 4.8.1997 n. 7185; Cass. Civ., sez. II, 4.8.1988 n. 4838). La responsabilità del committente è espressamente prevista dalla normativa di settore (prima, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso sostanzialmente nel D.Lgs. n. 81 del 2008

 

TAR Veneto, Sez. II, 25 gennaio 2012

Sanzioni nella SCIA: solo di tipo amministrativo

La sentenza evidenzia che:

Alla luce delle suesposte considerazioni appare allora fondata la dedotta violazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale la realizzazione di interventi in assenza o in difformità dalla D.I.A. comporta l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria e non di quella ripristinatoria.

E, infatti, non può essere considerata applicabile la disposta sanzione demolitoria, la quale si riferisce, al massimo (per effetto del richiamo contenuto nell'art. 33 cit., comma 6/bis, all'art. 22, comma 3, e quindi all'articolo 10, comma primo, lett. c, dello stesso D.P.R.) agli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, ovvero modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici (e, quindi, per quanto sopra, ad interventi diversi da quello realizzato nel caso di specie). Poiché, invece, nella specie, si tratta tutt’al più di intervento eseguito in assenza di denuncia di inizio attività, la sanzione applicabile è quella pecuniaria di cui al citato art. 37 (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 5.5.2011 , n. 2528).

 

TAR Veneto, Sez. II, 25 gennaio 2012

Sanzione ex art. 36 testo unico edilizia: sanatoria

La sentenza così argomenta:

Si sottolinea, inoltre, che, come evidenziato anche dal giudice d’appello, l’irrogazione della sanzione pecuniaria correlata ad abusi edilizi sanati ai sensi dell’art. 36 sopra citato, costituendo esercizio di un potere autoritativo, va impugnata entro il termine decadenziale, non essendo consentito contestare in un momento successivo l’ammontare richiesto a tale titolo dall’amministrazione al fine di censurare surrettiziamente la condizione presupposta al rilascio del permesso di costruire in sanatoria ( Cons. St., sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 6559).

È, invece, pienamente ammissibile il ricorso nella parte in cui è diretto a contestare la spettanza degli oneri concessori richiesti a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, in quanto la pretesa del privato si atteggia a diritto soggettivo, la cui azionabilità in sede giurisdizionale, non è subordinata né all’impugnativa di un atto amministrativo formale né all’osservanza del termine perentorio di decadenza, trovando applicazione l’ordinario termine di prescrizione ( cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 5 ottobre 2009, n. 5318).

Successivamente all’adozione dell’ordinanza con la quale è stata irrogata la sanzione pecuniaria, l’amministrazione ha anche richiesto il pagamento, con nota del 2 aprile 2009, della somma di euro 37.139,89 a titolo di diritti di segreteria e di oneri di urbanizzazione secondaria.

Tale pretesa dell’amministrazione manca di un legittimo fondamento giacché, come affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Sezione, l’oblazione di cui all’art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001 comprende l’assolvimento sia dell’originario obbligo contributivo sia della sanzione ( T.A.R. Veneto, sez. II, 8 novembre 2005, n. 3862).

 

TAR Veneto, Sez. II, 25 gennaio 2012

Aventi titolo a richiedere il permesso - rapporto tra nudo proprietario ed usufruttuario - vedute e pareti finestrate

La sentenza rileva che:

Invero, ex art. 11, I comma, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, per cui l'interessato è tenuto a fornire al Comune la prova del suo diritto, mentre l’Ente non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, dovendosi così escludere “un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione " (C.d.S., V, 7 settembre 2007, n. 4703).

Del resto, non v’è dubbio che spettino all’usufruttuario dell’immobile – escludendone così il nudo proprietario - tutti i diritti, i poteri e le facoltà inerenti alla cosa, da cui egli può trarre ogni utilità che questa può dare (981 c.c.), purché ne rispetti la destinazione: e, dunque, anche lo ius aedificandi correlato al bene, facoltà che in tale ambito palesemente rientra, e che, pertanto, non può essere esercitata dal nudo proprietario.

Il riferimento al cd. pactum fiduciae, introdotto ex post dall’Amministrazione per giustificarsi, costituisce, in specie, soltanto il richiamo, elegante ma improprio, ad una locuzione romanistica, con cui, nella fattispecie, si vuole significare come il Comune di Spinea, nel rilasciare il titolo, abbia creduto che la Greggio agisse anche per il titolare del diritto di usufrutto sul bene, essenzialmente perché legata a questo da un rapporto parentale, e da precedenti istanze edilizie non opposte: un’apparentia juris, la quale potrebbe forse avere rilievo in una prospettiva risarcitoria, ma che certamente non determina la legittimità del provvedimento amministrativo, emesso in favore di chi non aveva titolo ad ottenerlo, ed in relazione al contenuto immediatamente percepibile dell’intervento progettato.

Completata la descrizione, il consulente risponde al primo quesito “rilevando che sulla parete nord del fabbricato è presente una finestra di dimensioni m. 0,72 di larghezza e m. 0,64 di altezza ubicata a m. 1,24 di altezza dal pavimento interno e a m 0,12 dal marciapiede esterno che consente di dare aria e luce al locale cantina nonché la vista verso l'esterno, precisando che la stessa è munita di inferriata a bande verticali”; tale finestra, sempre secondo il consulente, sarebbe da definirsi, ex art. 900 c.c. come veduta, in quanto permette di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente e lateralmente.

In causa è controverso se la finestra in questione sia una luce od una veduta: il Collegio ritiene, in base alla documentazione acquisita, che si tratti in effetti di una veduta e che l’inferriata a bande verticali presenti non impedisca di affacciarsi e guardare in alienum.

In ogni caso, comunque, la circostanza è irrilevante, poiché la norma parla genericamente di “pareti finestrate”, e deve dunque essere riferita, in generale, a tutte le pareti con aperture non solo di veduta, ma anche di luce, di qualsiasi genere, verso l'esterno (conf. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 19 maggio 2011, n. 1282), mentre la distanza a sua volta “va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela” (C.d.S. IV, 2 novembre 2010, n. 7731).

 

Cass. Pen., Sez. IV, sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563

Infortunio mortale: responsabilità dei committenti

La sentenza rileva per l'esposizione dei principi di diritto, ovvero:

La responsabilità del committente è espressamente prevista dalla normativa di settore (prima, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso sostanzialmente nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26).
Con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, come nel caso in esame, è, pertanto vero, che il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo.
E', però, altrettanto vero che tale principio non può essere applicato automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori. A tal fine, vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire (diverso, in particolare, è il caso in cui il committente dia in appalto lavori relativi ad un complesso aziendale di cui sia titolare, da quello dei lavori di ristrutturazione edilizia di un proprio immobile, come nel caso in esame); i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa); l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto o del contratto di prestazione d' opera; nonché, la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo( v. in tal senso, Sezione IV, 8 aprile 2010,n. 15081; Cusmano ed altri, rv.247033).

 

Cass. Pen., Sez. III, sentenza 12 gennaio 2012

Permesso di costruire illegittimo e abuso d'ufficio

La sentenza affronta il delitto in cui può incorrere il pubblico uficiale o l'incaricato di pubblico servizio, l'abuso d'ufficio, il quale è, notoriamente, un reato "complesso" in quanto richiede la funzione, la violazione di norme di legge o di regolamento, un ingiusto vantaggio patrimoniale a sè o ad altri, overo un dannno ingiusto ad altri, il dolo intenzionale. L'aspetto maggiormente problematico è dato dall'elemento psicologico, per il quale ha pregio la sentenza, secondo la quale:

Nell'abuso d'ufficio connesso al rilascio di un permesso edilizio ritenuto illegittimo e nei reati edilizi compiuti in esecuzione di tale permesso, uno degli elementi dai quali desumere l'intenzionalità del dolo o la colpa e costituito appunto dall'analisi del contrasto del permesso di costruire con la norma urbanistica nel senso che, quanto più è palese o macroscopico tale contrasto, tanto più e evidente la ricorrenza dell'elemento psicologico del reato. Il dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio può desumersi, non solo dal rapporto collusivo, ma anche da una serie di altri indizi diversi, quali ad esempio: la natura dell'illegittimità dell'atto, i rapporti tra il pubblico ufficiale ed il privato, la mancanza di una doverosa istruttoria della pratica».

fonte: Lexambiente

 

Cass. Pen., Sez. III, sentenza 10 gennaio 2012

Quando l'errore non esclude la colpa nelle contravvenzioni

La sentenza assume rilievo per il fatto che la ricorrente risulta essere stata condannata (art. 44/c TUED) sul presupposto che il permesso di costruire e l'autorizzazione demaniale sono stati rilasciati in assenza di VINCA (valutazione di incidenza ambientale), quindi illegittimi. La difesa della ricorrente ha invocato l'errore scusabile (con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988), considerato che la P.A. - consapevole o meno dell'esistenza del SIC - non ha informato la stessa della necessità di tale valutazione. Per i giudici di legittimità non sussiste alcuna esimente in quanto:

Basta ricordare che la nota sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, che dichiarò incostituzionale l’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall'inescusabìlità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile, ebbe però a mettere in evidenza come sicuramente «inevitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa chi, professionalmente inserito in un determinato campo d'attivìtà, non s'informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo». Nella specie il comportamento addebitato alla ***** è relativo proprio alla sua attività professionale, sicché il suo eventuale errore non escluderebbe la sua colpa e quindi non la esimerebbe dalla responsabilità per le contravvenzioni contestate. L’indagata, infatti, quale operatrice specializzata in uno specifico settore ed avendo intenzione di svolgere una certa attività in detto settore, aveva l’onere di informarsi sui vincoli esistenti sull’area e sulle tipologie di autorizzazioni necessarie per edificare sulla stessa. In altri termini, come esattamente osserva il pubblico ministero, «il fatto che l’errore di legge (se di errore si è trattato) sia stato commesso sia dal privato che dalla P.A., di certo non costituisce una giustificazione della violazione della normativa».

 

TAR Calabria, RC, Sez. 1, sentenza del 23-11-2011

Interventi di demolizione e ricostruzione-qualificazione-con ampliamento-mancato rispetto di Volumetria e Sagoma-limiti

N.B.: in argomento si è espressa anche la Corte Costituzionale con sentenza in pari data (vedi) . La sentenza affronta il tema degli interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento, nel presupposto, evidente, che l'ampliamento non consente rispettare volumetria e sagoma preesistenti. Secondo la sentenza TAR in evidenza, che tratta di una previsione urbanistica comunale secondo la quale in una certa zona è possibile la demolizione e ricostruzione con aumenti massimi di cubatura del 20%, la disposizione è così qualificabile:

Si deve rammentare che, per giurisprudenza pacifica, la demolizione e ricostruzione di un edificio è attività di ristrutturazione, che comporta il vantaggio di consentire l’applicazione delle regole edilizie vigenti al momento della costruzione dell’edificio originario (specie in punto di volumetrie, come anche di distanze e distacchi), ma ciò sul presupposto della “fedele ricostruzione”, ossia della realizzazione di un edificio in tutto identico al preesistente quanto a sagoma, volume e superficie (da ultimo, T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 09 febbraio 2011 , n. 239).

Ne consegue che, qualora lo strumento urbanistico consenta, come nel caso di specie, l’aumento di volumi preesistenti nella ricostruzione previa demolizione del fabbricato preesistente, senza ulteriori condizioni di disciplina e specificando l’obbligo di mantenere allineamenti e distacchi esistenti, è inevitabile che il progetto che si avvalga della menzionata facoltà introduca una variazione della sagoma, dell’altezza o della pianta: ma ciò va effettuato, se si vuole usufruire dei vantaggi che l’operazione edilizia consente, salvaguardando le originarie proporzioni del fabbricato, rispetto alle quali le volumetrie aggiuntive devono essere percepibili come ampliamento e non essere utilizzate quale occasione per una completa alterazione del tipo edilizio (come accade nella fattispecie all’esame del Collegio).

Un “nuovo” tipo edilizio, senza alcun rapporto di identità fenomenica e strutturale con il vecchio edificio, andrà quindi considerato come una costruzione “nuova”, da realizzare su un suolo divenuto libero per effetto della demolizione, e consentito solamente nei limiti quali-quantitativi consentiti dalle operazioni in zona B di “completamento”.

Va quindi affermato che, anche nel caso di possibilità di aumento della volumetria consentita dallo strumento urbanistico ai fini della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di edifici ricadenti in zona “B”, va mantenuto il rapporto di identità-derivazione funzionale tra il fabbricato da demolire ed il progetto del fabbricato da ricostruire, dovendosi gli aumenti consentiti di volumetria applicarsi solo ad incremento delle dimensioni esistenti. Inoltre, gli aumenti di volumetria sono da intendersi come limite massimo, comprensivo anche di eventuali volumi tecnici, e dunque nelle operazione edilizie di demolizione e ricostruzione non è possibile “aggiungere” all’aumento del 20% della volumetria elementi costruttivi non computabili negli indici (quali volumi tecnici, porticati al piano terra e simili) che in origine non fossero già presenti o comunque compresi nel fabbricato da demolire. In altri termini, non è possibile computare le volumetrie aggiuntive al netto dei suddetti elementi, laddove essi non fossero già esistenti nel fabbricato originale, a ciò ostando il preciso requisito della identità di sagoma, prospetto e superfici che la giurisprudenza richiede ai fini della legittimità edilizia dell’operazione di ristrutturazione, che impone di considerare, nella formulazione della norma tecnica, che il 20% della volumetria originaria costituisce il limite massimo della modifica del fabbricato preesistente, trattandosi di una eccezione al principio della fedele ricostruzione nei termini esposti.

TAR Veneto, Sez. 2, sentenza del 28-11-2011

Distanze legali di origine codicistica - nozione di costruzione - distanze dai confini previsti dai regolamenti edilizi - natura

La sentenza evidenzia che:

in base all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, condiviso dal Collegio, ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera (cfr., Cass. Civ., sez. II, 17 giugno 2011, n. 13389; Cass. Civ., sez. II, 18 febbraio 2011, n. 4008).

...

2.7 Si osserva, altresì, che la distanza di 5 metri è imposta dall’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G. e dall’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio, il quale consente deroghe solo “a condizione che tra i confini venga determinata una servitù di inedificabilità sul terreno vicino con apposita convenzione da trascrivere nei registri immobiliari”; tali previsioni trascendono l’interesse meramente privatistico, avendo la funzione di tutelare l’interesse pubblico alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico prefigurato, sicché non possono essere derogate se non alle condizioni espressamente previste (T.A.R. Basilicata Potenza, 4 settembre 2007, n. 519).

2.8. Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 10 punto 5 del Regolamento edilizio e dell’art. 873 c.c., in quanto, nella fattispecie, dovrebbe ritenersi ormai costituita, conformemente al consolidato orientamento affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, una servitù per usucapione, avente come contenuto il diritto di tenere l’edificio a distanza minore da quella legale.

2.9. Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla difesa del ricorrente ma ritiene che, nella fattispecie, non possa trovare applicazione, non risultando in atti depositato alcun documento idoneo a comprovare non solo l’intervenuto accertamento, in sede giudiziale, di detta modalità di costituzione della servitù, ma anche l’effettiva proposizione della relativa azione. In assenza di un titolo costitutivo, dunque, del tutto legittimamente l’amministrazione comunale ha rigettato la domanda di sanatoria.

TAR Veneto, Sez. 2, sentenza del 28-11-2011

Interventi eseguiti in base a permesso di costruire annullato - la disciplina dell'art. 38 del testo unico edilizia

La sentenza, chiamata a derimere una questione sorta in seguito ad un accertamento comunale secondo il quale le opere sono state eseguite sulla base di permessi di costruire rilasciati sulla base di una falsa rappresentazione di quello che era lo stato dell'immobile prima dell'esecuzione dei lavori oggetto dei suddetti titoli edilizi, che ha poi annullato in autotutela, evidenzia che:

Si osserva, inoltre, che, nella fattispecie, l’annullamento dei titoli edilizi è stato disposto, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 380 del 2001, non già per vizi meramente formali bensì sostanziali, conseguiti, peraltro, ad una falsa rappresentazione dello stato di fatto preesistente al rilascio del permesso di costruire.

2.3. Conformemente alla consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la regola immanente all'art. 38 comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 è rappresentata dall'operatività della sanzione reale che, in quanto effetto primario e naturale derivante dall'annullamento del permesso di costruire (così come della sua mancanza ab origine) non richiede all'amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa pecuniaria, ex art. 38 comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 deve intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni assentite mediante titoli abilitativi edilizi annullati per vizi formali, e non anche sostanziali.

2.4. Nella fattispecie oggetto di giudizio, peraltro, l’amministrazione ha adeguatamente ed esaustivamente rappresentato i giustificativi alla base della determinazione assunta, non essendo ravvisabile, dunque, alcuna carenza del substrato motivazionale.

2.5. Si evidenzia, inoltre, che, come affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 23 aprile 2009, l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non é tutelato in via generale ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994; in difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo.

TAR Lombardia, BS, Sez. 1, sentenza del 25-11-2011

D.I.A. (oggi anche SCIA) - efficacia

La sentenza evidenzia che:

La d.i.a. non si perfeziona se nel progetto manca la conformità urbanistica, che è uno dei suoi elementi essenziali, ma nel caso in esame la Commissione edilizia non ha valutato la conformità urbanistica, ma la pericolosità dell’accesso da realizzare nella posizione in cui veniva proposto, ovvero ha emesso un parere espressione di discrezionalità tecnica che nulla dice sulla conformità urbanistica del progetto.

Utile si ritiene anche la seguente ulteriore evidenza:

i provvedimenti amministrativi sono tipici e nominati, e, pertanto, né il parere della Commissione edilizia (che è, per l’appunto, un parere), né la nota del 25. 10. 2010 (che è una mera comunicazione priva di contenuto dispositivo) possono surrogare il provvedimento ex art. 23, co. 6, t.u. che è stato emesso, ma oltre i termini legali.

TAR Lombardia, BS, Sez. 1, sentenza del 25-11-2011

Abusi edilizi risalenti nel tempo - cirteri per la sussistenza dell'affidamento del privato e obbligo sanzionatorio della P.A.

La sentenza affronta i due indirizzi giurisprudenziali in materia così argomentando:

Costante giurisprudenza della Sezione, da ultimo si cita TAR Brescia sez. I 22 febbraio 2010 n°860, afferma infatti che il potere di applicare misure repressive in materia urbanistica ed edilizia può essere esercitato in ogni tempo, senza necessità, per i relativi provvedimenti, di alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a disporre una demolizione; in senso poi conforme si sono espresse anche numerose decisioni del C.d.S. , ad esempio sez. IV, 15 settembre 2009 , n°5509, che si cita per tutte.

4. Il Collegio non ignora l’esistenza di un orientamento difforme, espresso dalle decisioni citate dal ricorrente, ad esempio da C.d.S. sez. V 29 maggio 2006 n° 3270, ma anche dalla stessa sez. V nella decisione 4 marzo 2008 n°883, secondo la quale invece “il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso” e “il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza” potrebbero ingenerare un affidamento del privato, rispetto al quale sussisterebbe un “onere di congrua motivazione” circa il “pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”; ritiene però che tale orientamento non vada condiviso.

5. In proposito, si impone anzitutto il rilievo fatto proprio dalla citata decisione C.d.S. 5509/2009, ovvero che di affidamento si può parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente e in modo compiuto reso nota la propria posizione alla p.a., venga indotto da un provvedimento della stessa a ritenere la legittimità del proprio operato, non già nel caso che rileva, in cui si commette un abuso a tutta insaputa della p.a. medesima. Inoltre, come osservato dalla Sezione nella pure citata sentenza 860/2010, l’abuso edilizio integra un illecito permanente, rappresentato dalla violazione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare in conformità a diritto lo stato dei luoghi; ditalché ogni provvedimento repressivo dell’amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, ma interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento.

6. Non è poi privo di rilievo anche quanto osserva la già citata TAR Napoli 17441/2010. Infatti, la disciplina del potere di sanzionare gli abusi edilizi del quale la p.a. è titolare deve essere ricostruita anche tenendo conto di un dato storico, quello che in proposito ha visto, negli ultimi trent'anni, un costante ripetersi di misure straordinarie di sanatoria, a partire dalla nota l. 28 febbraio 1985 n°47. Ammettere quindi l’estinzione di un abuso per il mero decorso del tempo significherebbe allora, in primo luogo, costruire una sorta di sanatoria di fatto che opererebbe anche quando l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi del corrispondente istituto previsto dalla citata normativa premiale, e quindi senza nemmeno la necessità di versare le oblazioni da essa previste. Per altro verso, poi, è comunque escluso che si possa parlare di affidamento tutelabile nel momento in cui di detta normativa l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi.

7. Infine, si impone un rilievo ulteriore: consentire, così come fa l’interpretazione qui criticata, una sanatoria degli abusi edilizi per effetto del mero decorso di un periodo di tempo “lungo”, come affermano C.d.S. 883/2008 e 3270/2006, ovvero “notevole”, come afferma ad esempio TAR Campania Napoli sez. VII 2 ottobre 2009 n°5138, ma comunque non determinato con precisione, significa inserire nel sistema un pericoloso elemento di indeterminatezza, perché la repressione di un dato abuso nel caso concreto sarebbe rimessa all’apprezzamento del singolo funzionario, oltretutto pressoché impossibile da sindacare nella presente sede giurisdizionale, con intuibile possibilità di strumentalizzazioni.

Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza del 25-11-2011

Circa lo stato di urbanizzazione necessario per il rilascio del titolo abilitativo edilizio, ovvero per richiedere un piano attuativo: natura della valutazione da parte della P.A. e finalità.

La sentenza da un lato evidenzia la natura dell'apprezzamento sullo stato di urbanizzazione di un'area, dall'altro consente di evincere la finalità di tale valutazione:

Al riguardo, in linea di massima, l’affermazione circa la sufficienza o meno del livello di urbanizzazione costituisce una tipica valutazione di merito, afferente alla discrezionalità tecnica, che come tale può essere sindacata solamente per palesi illogicità, errori o incongruità.

...

Infatti la presenza della linea dell’energia elettrica, dell’acquedotto, e del gas consentono sul piano igienico-sanitario un sufficiente standard abitativo.

Si deduce pertanto che, in caso di SCIA o DIA, il professionista debba considerare lo stato urbanizzativo tra i requisiti igienico-sanitari oggetto di asseverazione.

Nel caso in cui l'intervento rientrasse nel regime del permesso di costruire, però, lo stato urbanizzativo non sembra costituire oggetto di asseverazione del professionista (cfr. il novellato procedimento di cui all'art. 20 del testo unico edilizia), in quanto l'asseverazione possibile sotto il profilo igienico-sanitario è esclusa nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità comporti valutazioni tecnico-discrezionali.

Il Consiglio di Stato, a quanto si evince dalla sentenza in commento, qualifica la valutazione igienico-sanitario dello stato di urbanizzazione, quale condizione di rilascio del permesso di costruire (cfr. art. 12, comma 2, del testo unico edilizia) una valutazione di merito afferente alla discrezionalità tecnica della P.A..

 

TAR Lombardia, BS, Sez. 1, sentenza del 25-11-2011

Edificabilità di un lotto - asservimenti - computabilità degli edifici esistenti a prescindere dal loro stato di legittimità.

La sentenza dà evidenza ad alcuni consolidati principi giurisprudenziali:

In punto di diritto, vanno preliminarmente richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza in termini di determinazione della volumetria residua di un’ area già edificata.

Come è stato efficacemente affermato (cfr. Cons. St., Sez. IV, 26 settembre 2008 n. 4647) << il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u. c., L. 28 gennaio 1977 n. 10) e ...

TAR Lombardia, BS, Sez. 1, sentenza del 25-11-2011

Nozione di variante al titolo abilitativo edilizio.

La sentenza conferma l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale:

Al fine di discriminare fra un progetto autonomo ed una semplice variante di un precedente progetto, la giurisprudenza ha evidenziato come debba aversi riguardo alla natura "delle modificazioni quantitative o qualitative apportate rispetto all'originario progetto, riguardanti, in particolare, la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, nonchè le caratteristiche funzionali e strutturali interne ed esterne del fabbricato" (cfr. Cons. St., Sez.V, 2 aprile 2001 n.1898) e non certo alla dizione utilizzata.

In particolare, si è affermato che "la diversa dislocazione sul territorio dell'edificio in progetto rispetto alle previsioni originarie, integra gli estremi di una nuova concessione, e non di una mera variante in corso d'opera" (cfr. T.A.R. Liguria 16 marzo 1985 n. 118). L'estendersi dell'edificio in un'area precedentemente non occupata costituisce elemento di innovatività tale da sciogliere qualsiasi vincolo con altri precedenti progetti (cfr. T.A.R. Palermo, Sez. II, 23 luglio 2002 n. 1992).

Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza del 22-11-2011

Parcheggi e loro assoggettamento a contributo di costruzione

La sentenza evidenzia che:

Si rammenta peraltro che per pacifica e risalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato la realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione. (Consiglio Stato, sez. V, 14 ottobre 1992 , n. 987), mentre di converso si è rilevato che i parcheggi costruiti in aree private per libera scelta speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette a concessione e ai relativi oneri. (Consiglio Stato , sez. V, 22 dicembre 2005 , n. 7344).

Cass. Pen., Sez. 3, sentenza del 14-11-2011

Errato regime edilizio - non è errore scusabile - sussiste la responsabilità penale, anche del proprietario

La sentenza (Fonte: Lexambiente), tratta il caso di un'attività edilizia eseguita in assenza dell'idoneo titolo abilitativo edilizio. Gli interessati hanno sostenuto la difficoltà interpretativa delle normativa che non dava modo di comprendere appieno il regime di subordinazione dell'intervento. Per i Giudici Penali, invece:

L’errore scusabile non può essere fondato genericamente sulle difficoltà interpretative della norma, non versandosi neppure in ipotesi di attività obbligata, ma posta in essere per un preciso interesse, anche di natura economica, sicché nell'incertezza i ricorrenti ben avrebbero potuto chiedere il permesso di costruire e solo in caso di diniego eseguire i lavori in base a dia.

Inoltre la mera presentazione della dia esclude l'esistenza di uno specifico provvedimento della pubblica amministrazione, neppure indicato in ricorso, sul quale gli imputati abbiano fatto affidamento.

Cass. Pen., Sez. 3, sentenza del 14-11-2011

Muro di contenimento - è nuova costruzione - DIA alternativa - sanatoria - solo art. 36 del testo unico edilizia

La sentenza (Fonte: Lexambiente) evidenzia che:

E' stato già affermato da questa Suprema Corte che "in materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione (sez. III, 14.5.2008 n. 35898, Russo e altro, RV 241075).

...

Quanto alla DIA in sanatoria, anche se l'art. 22 comma 3, del DPR n. 380/2001 consente per gli interventi di nuova costruzione conformi agli strumenti urbanistici ... l'esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio attività, l'art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione dei manufatti già realizzati possa avvenire solo mediante rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche se l'interessato ha optato per l'esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio attività, ai sensi del citato art. 22, comma 3, non è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo comma dell'art. 36).

Corte Costituzionale, sentenza n. 309 del 23-11-2011

Vincolo di sagoma nelle demolizioni e ricostruzioni: è principio inderogabile dalle normative regionali (cfr. Lombardia e Veneto)

La sentenza conferma quello che molti autori, noi compresi, già ritenevano:

... definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, è in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio.

...

Con tale intervento la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, nell'interpretazione autentica data dalla L.R. 7/2010, art. 22.

Anche il Veneto ha introdotto nella propria disciplina urbanistico-edilizia una disposizione analoga (cfr. art. 10, comma 1, lettera a) della L.R. Veneto n. 14 del 2009), la quale, di conseguenza, deve ritenersi "incostituzionale" al pari della disposizione della Lombardia.

TAR Veneto, Sez. 2, sentenza 17-11-2011

Nozione di "pompeiana" e di "opera temporanea o precaria"

La sentenza asserisce che:

Una “pompeiana”, nell’accezione edilizia è un manufatto edilizio, di norma in legno o in materiale ferroso, costituito da un insieme di travi intervallate, di sagoma e dimensioni variabili, e sorretto da pilastri o da muri: una sorta di pergola, dunque, ma adatta a realizzare uno spazio aperto ma protetto, piuttosto che destinato all’appoggio di piante.

...

Le modifiche operate dai ricorrenti – copertura impermeabile fissa in PVC e tamponatura – hanno condotto ad un corpo edilizio definito, racchiuso e coperto: la pompeiana scoperta – o, al più, coperta da un graticcio - è stata trasformata in una nuova costruzione, del tutto diversa per caratteristiche e finalità da quella preesistente, ed è ora riconducibile all’ambito delle opere di cui all’ art. 3, I comma, lett. e.5 (manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere … che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee).

Si può escludere la mera temporaneità della trasformazione: rammentati anche gli accadimenti pregressi, si deve anzitutto affermare come il manufatto accresca, sia pure per una parte dell’anno, la superficie utile dell’esercizio di ristorazione.

D’altra parte, l’utilizzo stagionale dell’opera non esclude la necessità del permesso di costruire, poiché non implica la precarietà: “ai fini della necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire non rileva il carattere stagionale del manufatto, atteso che esso non implica precarietà dell'opera che può essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione” (C.d.S., IV, 22 dicembre 2007, n. 6615).

Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza 18-10-2011

Impugnativa da parte di terzi del permesso di costruire: dies a quo per i termini

La sentenza asserisce che:

Numerose pronunce giurisdizionali hanno statuito che il termine utile per l’impugnativa di un permesso di costruire ex art.21 legge n.1034/971 decorre dalla piena conoscenza dell’esistenza e dell’entità delle violazioni urbanistiche e/o del contenuto specifico del progetto edilizio ( in tal senso, Cons Stato Sez. VI 10/10/8705; Sez. V 24/8/2007 n.4485 ).

Più specificatamente, poi, allo scopo di fornire un criterio di maggiore certezza in ordine agli oneri processuali incombenti a carico degli interessati, la giurisprudenza ha espresso l’orientamento ( ormai consolidato) per cui ai fini della tempestiva impugnazione del titolo ad aedificandum rilasciato a terzi la piena conoscenza da cui far decorrere il relativo termine di impugnazione va ancorata all’ultimazione dei lavori oppure al momento in cui la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera per un eventuale non conformità urbanistica della stessa , sì da non esservi dubbi in ordine in ordine alla reale portata dell’intervento edilizio assentito ( cfr Cons Stato Sez. IV 28/1/2011 n.678; Sez. V 3/3/2004 n.1023).

Con riferimento a quest’ultimo principio è agevole rilevare che il parametro principe cui ancorare la conoscenza piena rimane quello dell’ultimazione dei lavori, mentre il collegamento della conoscenza del titolo abilitativo alla c.d. percepibilità della esistenza dello stesso e della lesività dell’autorizzato intervento edilizio ( con conseguente onere di tempestiva impugnazione ) abbisogna che sia supportato, da parte di chi eccepisce la tardività dell’impugnativa, da idonei elementi probatori o comunque da indizi gravi, precisi e concordanti, atteso che, appunto, della circostanza relativa all’ anticipata conoscenza occorre dare rigorosa dimostrazione ( cfr Cons Stato Sez. V 5/2/2007 n.452).

TAR Veneto, Sez. 2, sentenza 11-11-2011

Su diniego titolo abilitativo per chiusura di 2 finestre in ottemperanza sentenza G.O.

La sentenza asserisce che:

La giurisprudenza amministrativa in relazione ai casi in cui l'Amministrazione è tenuta ad esercitare nuovamente il potere a seguito dell'annullamento giurisdizionale di un atto di diniego e, quindi, di un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo del soggetto destinatario si è interrogata in ordine alla normativa applicabile al nuovo procedimento e, in particolare, in relazione all'applicabilità dell'eventuale ius superveniens.

4.1. Secondo il consolidato orientamento, condiviso dal Collegio, si ritiene che l'attività procedimentale, anche se posta in essere in esecuzione di un giudicato, non possa ignorare o eludere i riferimenti normativi e le disposizioni sopravvenute atteso che l'Amministrazione, nella cura costante dell'interesse pubblico, deve tener conto della situazione di fatto esistente nel momento in cui provvede e deve provvedere in conformità della normativa vigente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2.4.2003 n. 1698).

4.2. Il principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, tuttavia, impone che la situazione di fatto e di diritto risultante dalla sentenza passata in giudicato debba considerarsi insensibile agli eventi, anche di natura normativa, sopravvenuti. Ne discende, quindi, che, a tal fine, assume decisivo rilievo l'individuazione del momento a decorrere dal quale tale insensibilità è da ritenersi verificata. In proposito, è stato costantemente affermato il principio per cui l'annullamento in sede giurisdizionale del diniego di concessione edilizia comporta l'obbligo per il Comune di riesaminare l'originaria domanda applicando la disciplina urbanistica vigente al momento in cui la sentenza è stata notificata o comunicata in via amministrativa, con la conseguenza che se, da un lato, occorre tenere conto dell'eventuale disciplina pianificatoria sopravvenuta in corso di giudizio, dall'altro, sono inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute alla notificazione o alla comunicazione in via amministrativa della sentenza di annullamento (cfr. Ad. Plenaria 8.1. n. 1; Cons. Stato, sez. IV, 14.1. 1997, n. 5; Cons. Stato, sez. V, 13.11.1995, n. 1551; Cons. Stato, sez. IV, 10.11.1998, n. 1471; Cons. Stato, sez. V, 22.2.2002 n. 1079; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 17.5.2004 , n. 8803).

5. Orbene ritiene il Collegio che i principi enunciati debbano essere applicati a maggior ragione alla fattispecie in esame nella quale l’Amministrazione comunale resistente ha esaminato ex novo, e non in sede di riesercizio del potere a seguito di annullamento di un proprio precedente atto, l’istanza per la chiusura di due finestre in esecuzione della sentenza n. 2/1993 della Corte di Appello di Venezia.

TAR Veneto, Sez. 2, sentenza 11-11-2011

Ordinanze del Sindaco - natura e presupposti

La sentenza asserisce che:

Secondo il costante e consolidato orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, il potere di cui all'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale il Sindaco, nella sua qualità di ufficiale di Governo, "adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili ed urgenti " è esercitabile solo quando si tratti di affrontare situazioni eccezionali ed imprevedibili, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità (cfr. da ultimo T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 15.3.2011, n. 134).

È, inoltre, ius receptum che l'ordinanza contingibile e urgente debba contenere una specifica e puntuale motivazione circa la sussistenza in concreto degli elementi giustificativi dell'esercizio del potere, con indicazione dell'istruttoria compiuta e dei presupposti di fatto considerati, posto che il potere di emanare tale tipologia di atti presuppone la necessità di provvedere, con immediatezza, in relazione a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.

Orbene, nel caso di specie, dalla lettura del provvedimento impugnato, si evince che la situazione di restringimento del sedime stradale alla quale si intende ovviare con l’ordinanza ex art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, avrebbe avuto origine dall’inserimento delle placche di ancoraggio nel muro di proprietà dei ricorrenti, avvenuto, peraltro, in ottemperanza ad altro precedente provvedimento comunale n. 831/2008, e che tale restringimento “potrebbe potenzialmente impedire il passaggio di mezzi di sicurezza” ....

Ne discende, quindi, che nel caso in esame non sono indicati e illustrati i presupposti di fatto per l’esercizio del potere atipico di ordinanza attribuito al Sindaco per far fronte a specifiche situazioni contingibili di pericolo, né l’uso del detto potere appare giustificato dall’impossibilità di adottare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore, tenuto altresì conto del fatto che si impongono ai ricorrenti lavori di demolizione del muro e di allargamento della strada comunale che hanno carattere definitivo e immodificabile (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 24.8.2010, n. 4876).

A tale ultimo riguardo va, inoltre, evidenziato che il ricorso al potere di ordinanza contingibile ed urgente non può assumere, in relazione al suo scopo, carattere di continuità e stabilità di effetti divenendo suscettibile di stabile regolazione delle situazioni cui si riferisce (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 23.3.2011, n. 487; T.A.R. Toscana, sez. II, 24.8.2010, n. 4876).

Merita, da ultimo, di essere rammentato che l’orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio ha trovato conferma anche nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 7.4.2011 ....

Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza 8-11-2011

Nozione di pertinenza in senso urbanistico-edilizio

La sentenza asserisce che:

Quanto al primo, può convenirsi con la difesa della Società che esso è privo di pregio essendo notorio che un asservimento di fatto di un bene a quello principale non rileva, giuridicamente, a fini urbanistici, essendo necessario che l’asservimento anzidetto sia conseguenza di un atto dispositivo formalmente adottato che costituisca un vincolo giuridico-funzionale tra il bene principale ed il bene pertinenziale.

Infatti, in carenza di un tale specifico e formale vincolo difetta urbanisticamente, come già rilevato più volte dalla giurisprudenza anche di questa Sezione (cfr. sez. IV^, n. 3127 del 17 maggio 2010, n. 5509 del 15 settembre 2009, n. 4636 del 23 luglio 2009 e n. 3379 del 7 luglio 2009, nonché sez. V^, n. 2159 del 7 aprile 2011), lo stesso fondamento della pertinenza civilistica di cui all’art. 817 del codice civile, essendo costituito detto fondamento non soltanto dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa ad esclusivo servizio (od ornamento) dell’altra, ma anche da quello soggettivo, qui assente, costituito dalla volontà del proprietario di entrambi i beni di attribuire ad uno di essi la funzione pertinenziale.

Nel caso in esame, la circostanza che il mappale 113, fino alla data (2001) della richiesta della concessione edilizia, poi denegata, sia stato di fatto utilizzato, siccome fisicamente contiguo all’Albergo della Società, come pertinenza dello stesso (giardino-parking), essendo conforme la previsione urbanistica al tempo vigente (verde privato), non poteva e non può avere alcun rilievo nell’economia decisoria di tale richiesta edilizia perché, oltre all’insuperabile carenza di un formale e valido titolo che abbia conferito la destinazione anzidetta al mappale 113, vi induce anche il rilievo che il bene asseritamente pertinenziale poteva considerarsi tale, ovviamente ed esclusivamente in via di fatto, soltanto dal 12 ottobre 2000, data nella quale, per pubblico rogito, la Società ha acquistato in proprietà la superficie in questione dal Demanio dello Stato, a seguito dell’aggiudicazione conseguita mediante asta pubblica.

Prima di tale data, infatti, non era in alcun modo predicabile neppure un asservimento di fatto dell’una cosa all’altra poiché distinti e diversi erano i proprietari della particella ritenuta pertinenziale (Demanio) e dell’Albergo (Società) al cui servizio essa era funzionalmente destinata.

Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza 8-11-2011

Errori minimali del progetto: no annullamento ma prescrizione

La sentenza asserisce che:

Quanto al primo motivo di appello, il Collegio osserva, per un verso, cha appare fondata l’argomentazione del Comune di Verona, in ordine al corretto computo dell’altezza dell’edificio (di modo che, per effetto di tale computo, lo stesso non supererebbe l’altezza massima). Per altro verso, occorre rilevare che i “metodi” di misurazione variamente articolati dalle parti portano, nell’ipotesi peggiore, a superare l’altezza massima di 5 cm.

Appare del tutto evidente come – anche a volere ritenere sussistente tale superamento– lo stesso, stante la sua esiguità, possibilmente dovuta a meri errori di interpretazione della norma o di redazione progettuale – non può ex se sorreggere l’annullamento di una concessione edilizia, ben potendo esso motivare una lieve modifica del progetto, ovvero l’adozione di una prescrizione aggiuntiva (nel senso di pervenire ad una lieve diminuzione dell’altezza) al titolo autorizzatorio edilizio.

TAR Lazio, Roma, sez. I Quater, 11-10-2011

Demolizione manufatto abusivo - conseguenze del notevole lasso di tempo trascorso - l'affidamento del privato

La sentenza evidenzia che:

Non ignora il Collegio la cospicua giurisprudenza, anche della sezione, secondo la quale l’ingiunzione di demolizione può essere stringatamente motivata in ordine alle ragioni che presiedono alla sua adozione dal momento che l’interesse pubblico alla rimozione degli abusi edilizi è in re ipsa (Consiglio di Stato, sezione IV, 12 aprile 2011, n. 2266) e costituisce espressione di attività vincolata, laddove a fronte degli abusi l’amministrazione non ha altra scelta che perseguirli, configurando essi illecito permanente, rispetto al quale neppure il lungo lasso di tempo trascorso può costituire un valido elemento di illegittimità dell’ingiunzione. (Consiglio di Stato, sezione IV, 16 aprile 2010, n. 2160 e TAR Lazio, sezione I quater, 6 aprile 2011, n. 3037).

Tuttavia la sezione ha anche sostenuto il principio per cui “la risalenza delle opere può avere rilievo, poiché - come prevalentemente ritenuto (confr. T.a.r. Lazio 18 giugno 2007, n. 5538) - nell'ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e per il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, vi è a carico dell'Autorità edilizia l'obbligo di motivare congruamente, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso, sull'interesse pubblico (diverso da quello al semplice ripristino della legalità) che giustifichi il sacrificio del contrapposto interesse privato.”, (TAR Lazio, sezione I quater, 11 settembre 2009, n. 8590).

Nel prosieguo la sezione ha osservato pure che “qualora … un immobile risultasse realizzato addirittura prima dell'entrata in vigore della nota legge 6 agosto 1967, n. 765 l'obbligo di motivare sarebbe rafforzato, poiché l'art. 10 di quella legge ha profondamente innovato, in materia di assensi edificatori, al previgente e meno restrittivo sistema di cui all'art. art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150.” (Tar Lazio, sezione I quater, n. 8590/2009 cit.).

Ovviamente non basta affermare la risalenza di un manufatto realizzato sine titulo, ma è necessario provarla ed in assenza di adeguata dimostrazione si ripropone l’assenza di alcun obbligo per l’amministrazione di motivare congruamente il provvedimento demolitorio.

TAR Lazio, Roma, sez. I Quater, 7-10-2011

Demolizione manufatto abusivo - inottemperanza - provvedimento acquisizione a patrimonio comunale - natura

La sentenza evidenzia che:

“come si ricava dalla costante interpretazione della norma di cui all’art. 31, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 “L'acquisizione gratuita non costituisce sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l'esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione. L'inottemperanza integra, infatti, un illecito diverso ed autonomo dalla commissione dell'abuso edilizio, del quale può rendersi responsabile anche il proprietario, qualora risulti che abbia acquistato o riacquistato la disponibilità del bene e non si sia attivato per dare esecuzione all'ordine di demolizione, o qualora emerga che, pur essendo in grado di dare esecuzione all'ingiunzione, non vi abbia comunque provveduto” (TAR Lombardia, sezione II, 29 aprile 2009, n. 3597)”, (TAR Lazio, sezione I quater, 22 dicembre 2010, n. 38200).

Consiglio di Stato, sez. 4, 27-10-2011

Lotto intercluso - stato di urbanizzazione - necessità o meno di strumento urbanistico attuativo previsto dal PRG

La sentenza evidenzia che:

Comunque sia, è ben noto che – in linea di principio – l’esonero dalla previa formazione dello strumento di pianificazione attuativa pur contemplato dal piano regolatore generale comunale può avvenire riguardo nell’ipotesi del c.d. “lotto intercluso”, nel quale – per l’appunto - nessuno spazio si rinviene per un’ulteriore pianificazione (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2003 n. 7799) e che va conseguentemente identificato quale lotto residuale ubicato in area completamente urbanizzata (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2002 n. 2592), fermo restando che – come del resto prospetta la stessa ricorrente - può essere al caso considerato intercluso anche il lotto affacciante sulla pubblica via e compreso tra edifici che sorgono su almeno due lati (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 1985 n. 339).

La giurisprudenza, pertanto, con riguardo alla disciplina legislativa edilizia attualmente in vigore, correntemente afferma che a’sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 380, nella aree per le quali non sono stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi di quello generale è inibita qualsiasi attività edilizia, a meno che questa non debba essere svolta all’interno di un lotto intercluso (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2009 n. 8531), precisando peraltro, allo stesso tempo, che la relativa fattispecie costituisce una deroga eccezionale al divieto per le amministrazioni comunali di rilasciare un permesso di costruire in assenza della preventiva approvazione dei piani attuativi previsti dallo strumento urbanistico generale (così, ad es., Cons. Stato , Sez. IV, 10 giugno 2010 n. 3699).

In conseguenza di ciò, non è comunque sufficiente un qualunque stadio d’urbanizzazione di fatto per eludere l’obbligatorietà della pianificazione attuativa, essendo - semmai – doveroso il ricorso a quest’ultima fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree compromesse o urbanizzate (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2000 n. 5326), e fermo altresì restando che l’Amministrazione Comunale, prima di assentire l’edificazione diretta nel presupposto della sussistenza del lotto intercluso, deve accertare, motivando adeguatamente sul punto, che la pianificazione esecutiva non conservi un’utile funzione e non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel piano regolatore generale (Cons. Stato , Sez. IV, 10 giugno 2010 n. 3699).

Consiglio di Stato, sez. 4, 27-10-2011

Variazione essenziale e area di sedime della costruzione

La sentenza evidenzia che:

Secondo il principio generale posto dall’art. 8 della L. n. 47/1985 (che peraltro oggi risulta definitivamente trasposto nell'art. 32 lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), la “variazione essenziale” ricorre sempre quando viene mutata la localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza rispetto al titolo edilizio: in tali casi la costruzione è sempre abusiva quando l’edificio è "traslato" in maniera significativa rispetto alla localizzazione autorizzata nelle tavole progettuali.

L’abusività della medesima è dalla legge collegata al fatto che la traslazione avrebbe dovuto comportare una nuova valutazione del progetto da parte dell'amministrazione, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e, come nel caso in esame con le caratteristiche, le connotazioni e le limitazioni dell'area. Al riguardo, in caso di difformità tra fabbricato realizzato e progetto, quello che ha rilievo ai fini giuridici è sempre quest’ultimo.

Dalla copia dei disegni allegati alla prima licenza del 1968 risultava infatti che l’opificio era posizionato a distanza dall’alveo, ed era estraneo all’ambito del rio, e sulla planimetria catastale erano puntualmente indicate le particelle catastali per cui, una volta accertato che il fabbricato era stato realizzato su particelle diverse, non vi sono dubbi che vi fosse stata una significativa traslazione dell’edificio realizzato in un’area diversa rispetto a quella indicata in progetto, tale da comportare l’abusività dell’intero edificio.

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TAR Lombardia, MI, sez. 4, 27-10-2011

Infedele o inesatta dichiarazione giustifica l'autotutela della P.A. per annullamento del titolo abilitativo edilizio

La sentenza evidenzia che:

... appare corretto il procedimento seguito dall’Amministrazione comunale che ha posto alla base dell’atto di annullamento l’infedele o inesatta dichiarazione – il cui eventuale carattere doloso non rileva in questa sede – essendo illegittimo un condono richiesto in relazione ad interventi effettuati su un’opera già in origine (parzialmente) abusiva.

Difatti, “la errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto” (Consiglio di Stato, IV, 24 dicembre 2008, n. 6554).

Del resto, in materia di autotutela riferibile ad immobili abusivi, va richiamato il principio che ritiene vincolato il potere dell’Amministrazione al ripristino dello status quo ante.

In una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge” (T.A.R. Campania, Napoli, VII, 8 aprile 2011, n. 1999).

Cass. Pen., sez. 3, 10 ottobre 2011

Ristrutturazione edilizia "minore" - caratteristiche e condizioni - differenze con manutenzione straordinaria

La sentenza evidenzia che:

Secondo quanto più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, mentre il concetto di ristrutturazione edilizia presuppone il ripristino o la sostituzione di elementi costitutivi dell'edificio originario finalizzati a trasformare l'organismo edilizio preesistente a condizione che rimangano immutati sagoma, volume, ed altezza (in questo senso Cass. Sez. 5^ 17.2.1999 n. 3558, P.M. in proc. Scarti. Rv. 213958), la manutenzione straordinaria afferisce ad interventi su parti anche strutturali degli edifici, sempre che non vengano variati i volumi e non venga alterato l'originario stato d'uso.

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Cass. Pen., sez. 3, 3 ottobre 2011

Inderogabilità distanze tra fabbricati - ammesse solo deroghe di rango statale

La sentenza in commento rileva per la posizione assunta dalla Giustizia Penale in materia di distanze tra fabbricati. Anche la Suprema Corte ribadisce:

Il carattere inderogabile delle disposizioni di legge relative alla distanza tra edifici. In materia di distanze tra fabbricati, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 232 del 2005 aveva definito il principio inderogabile, desumibile dall'art. 873 c.c. e dall'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, la regola relativa al fatto che la distazna minima deve essere determinata unicamente dalla legge statale, che può consentire deroghe con normative locali, purchè siffatte deroghe "siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio".

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Cass. Pen., sez. 3, 5 ottobre 2011

Abusi edilizi - carico urbanistico - nozione

La sentenza in commento evidenzia:

Sulla nozione di “carico urbanistico”, peraltro, vengono fornite puntuali indicazioni, osservando, testualmente, che “(…)questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte.

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TAR Veneto, sez. 2, 11 ottobre 2011

I SIC non sono soggetti al d.lgs. 42/04 bensì a valutazione di incidenza

La sentenza in commento evidenzia:

- che, infatti, come correttamente rilevato dalla difesa del ricorrente, la circostanza che l’area sulla quale insistono le opere contestate sia inserita in un ambito territoriale designato quale Sito di Importanza Comunitaria e Zona di Protezione Speciale, non determina l’applicazione della disciplina paesaggistica dettata dal d. lgs. n. 42 del 2004;

- che i Siti di Importanza Comunitaria e le Zone di Protezione Speciale sono stati previsti dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE, emanata dalla Comunità Europea il 21 maggio 1992 e recepita nell’ordinamento nazionale con D.P.R. n. 357 del 1997, successivamente modificato con il D:P.R. n. 120 del 2003;

- che la ratio sottesa ai suddetti interventi normativi è quella della conservazione e tutela degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e fauna selvatica;

- che, a tal fine, è stata dettata una specifica disciplina che prevede particolari procedure nonché l’introduzione della Valutazione di Incidenza, la quale costituisce istituto del tutto distinto dall’autorizzazione paesaggistica disciplinata dall’art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004;

- che, inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione comunale, l’applicazione del d. lgs. n. 42 del 2004 non può farsi discendere, nella fattispecie, neanche dalla previsione dell’art. 142, comma 1, lett. f), ai sensi della quale “sono comunque sottoposti alle disposizioni di questo Titolo per il loro interesse paesaggistico (….) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi”;

- che, infatti, l’area de qua non è inserita all’interno di alcun parco regionale;

Consiglio di Stato, sez. 4, 14 ottobre 2011

Cambio d'uso senza opere e contributo di costruzione

La sentenza in commento evidenzia:

...Ora, vero è che il contributo relativo al costo di costruzione (art.6 della legge n.10 del 28 gennaio 1977, c.d. legge “Bucalossi” ) è riconducibile all’attività costruttiva ex se considerata; nondimeno, trattandosi di un prelievo paratributario, il corrispettivo in questione è comunque dovuto in presenza di una “trasformazione edilizia” che indipendentemente dall’esecuzione fisica di opere , si rivela produttiva di vantaggi economici connessi all’utilizzazione (cfr. Cons Stato Sez. IV 21/4/2006 n.2258) .

Questa situazione si verifica allorché venga in rilievo, come nella fattispecie, un mutamento d’uso rilevante, intendendo per tale ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che determini comunque un aumento del c.d. carico urbanistico.

E’ esattamente quanto accaduto nel caso de quo, in cui la sopravvenuta destinazione d’uso di commercio al dettaglio, senza interventi costruttivi, diversa da quella originariamente impressa all’immobile (commercio all’ingrosso) comporta maggiori oneri sociali delle opere di urbanizzazione e fa perciò insorgere il presupposto imponibile per la debenza del contributo concessorio comprensivo della quota relativa al costo di costruzione, con conseguente necessità, per l’utilizzatore del beneficio, di pagare la differenza tra gli oneri di urbanizzazione già corrisposti per la destinazione d’uso originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa all’immobile.

Ora il contributo concessorio come rideterminato comprende necessariamente anche il costo di costruzione; tanto in relazione a quanto direttamente contemplato dalla c.d. legge Bucalossi (la citata L. n.10/77), il cui art.10, al comma 2, espressamente prevede il pagamento del predetto onere per gli edifici destinati all’attività commerciale, con la precisazione che, come costantemente affermato da questo Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV 25/6/010 n. 4109; idem 10/3/2011 n.1332), l’esonero dal costo di costruzione non concerne le “opere” ( e le “variazioni” ) suscettibili di essere utilizzate al servizio di attività economiche di tipo commerciale .

Da tanto deriva che, essendo intervenuta nell’immobile per cui è causa una modifica della superficie ad uso commerciale in senso accrescitivo del carico urbanistico ( a causa del passaggio tra due autonome categorie urbanistiche: commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio), per tale variazione è insorta la condizione di fatto e di diritto che impone il pagamento dell’onere contributivo anche in riferimento alla quota del costo di costruzione, come determinata ex novo con l’atto sindacale in contestazione.

Consiglio di Stato, sez. 4, 14 ottobre 2011

I locali interrati accessori non si computano ai fini volumetrici

La sentenza in commento evidenzia:

... In particolare, nella parte retrostante dell’ampio vano in questione sono situati lo spogliatoio, la lavanderia e, il bagno e la stireria , locali siti certamente ed interamente ad un livello posto al di sotto del pianterreno se è vero che sono confinanti con muri perimetrali interamente interrati e quindi tali “spazi “, in quanto interrati, non vanno computati ai fini del calcolo della volumetria dell’edificio (cfr. Cons Stato Sez. V 4 agosto 9 agosto 1986 n.390; questa Sezione, 29 gennaio 2009 n.271).

Rimane come unica parte emergente dal terreno la porzione adibita a box auto, di dimensioni alquanto modeste che fuoriesce dal piano di campagna anche in ragione del declivio del terreno, che di fatto rimane seminterrata e che comunque , al di là dello stato dei luoghi e della esiguità della superficie non può comunque considerarsi volume ai fini urbanistico-edilizi del computo complessivo della edificabilità assentibile, in quanto per essa si rende applicabile la normativa di favore recata dagli artt.18 e 20 del Regolamento edilizio comunale, secondo cui dalla S.U.L. sono escluse le superfici relative agli spazi adibiti alla manovra dei veicoli, disposizioni non oggetto di specifiche censure.

Il carattere interrato dei locali de quibus non può essere poi smentito dalla presenza di due “finestre” site sul lato a valle della costruzione, atteso che trattasi in realtà di due “bocche di lupo”, cioè aperture che caratterizzano i locali posti sotto il piano zero al fine di consentire areazione e adeguata luminosità agli stessi (e che non consentono un affaccio orizzontale al livello di campagna).

 

SENTENZE AGGREGATE

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