tecnici e giuristi insieme: approfondimenti tecnico-giuridici sistematici

Edilizia - Giurisprudenza

Cass. Pen., sez. III, sentenza 23 febbraio 2010 n. 7114, Pres. A. Fiale

Nozione di INIZIO LAVORI

1. Quanto all'accertamento di fatto riguardante il mancato inizio dei lavori entro l'anno dal rilascio del titolo abilitativo, deve rilevarsi che:

- L'art. 15, 2° comma, del T.U. n. 380/2001 sancisce la decadenza del permesso di costruire per decorso del termine di inizio o di ultimazione dei lavori.

La legge non precisa la nozione di "inizio dei lavori': tale nozione, però, secondo l'interpretazione giurisprudenziale costante, deve intendersi riferita a concreti lavori edilizi.

In questa prospettiva i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio.

Va salvaguardata, infatti, l'esigenza di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.

I soli lavori di sbancamento - non accompagnati dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di addivenire al compimento dell'opera assentata, attraverso un concreto, continuativo e durevole impiego di risorse finanziarie e materiali - non possono ritenersi idonei a dare dimostrazione dell'esistenza dei presupposti indispensabili per configurare un effettivo inizio dei lavori.

Nella fattispecie in esame non risulta, in particolare, quanto alle argomentazioni difensive riguardanti le fotografie aeree del luglio 2002, che gli scavi che i ricorrenti ritengono in esse individuabili possano qualificarsi come scavi di fondazione, caratterizzati da quel "cospicuo movimento di terra, anche in profondità, idoneo a contenere la platea di fondazione".

Cass. Pen., sez. IV- sentenza 14 gennaio 2010 n. 1490

Sicurezza dei cantieri: ruolo del CSE

Si pure in riferimento al d.lgs. 494/96 (la S.C. precisa che la normativa di settore è stata trasposta in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.) in ordine al fatto che l'appellante sosteneva "l'indipendenza e l'autonomia della prestazione del coordinatore rispetto al committente. Ciò in quanto L'art. 10 (ora art. 98) in particolare prevede specifici profili di professionalità che ne sottolineano l'autonomia rispetto al committente, che di tali requisiti difetta. Tale diversità di ruoli emerge sul piano sanzionatorio, ove si delineano distinti obblighi e separate sfere di responsabilità (artt. 20 e 21 - ora 157 e 158). Al punto da escludere che il committente mantenga un obbligo di vigilanza nei confronti del controllore che sia cioè controllore del controllore. Motivo per per cui, sempre secondo i Giudici di prime cure, la disciplina legale impone al coordinatore di segnalare al committente o al responsabile dei lavori l'inosservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza, a dimostrazione del rapporto dialettico tra le diverse figure."

la Suprema Corte asserisce che... la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto.

Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri "tipici", e di quelle afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori.

Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).

Alla luce di tale lettura della disciplina erra la Corte d'appello quando attribuisce al coordinatore T. un ruolo di vigilanza addirittura superiore rispetto a quello attribuito al datore di lavoro F.. Ed erra pure quando sostanzialmente rifiuta di prendere in esame la deduzione inerente al ruolo eziologico della prospettata omissione di controllo.

La Corte territoriale confonde la colpa con la cosiddetta causalità della colpa, cioè con la idoneità della stessa colpa ad evitare l'evento illecito. Nel caso in esame si è in presenza di colpa per omissione sicchè la relazione causale si articola, sul piano controfattuale, nella dimostrata evitabilità dell'evento per effetto della condotta diligente.

In concreto è emerso che la lavorazione irregolare aveva avuto inizio poco prima dell'incidente, sicchè era del tutto doveroso ed appropriato chiedere se l'osservanza della formalizzata procedura di contestazione prima indicata avrebbe consentito di interrompere per tempo le condotte pericolose sfociate nell'evento.

Ma è di certo ancor prima, sul piano dell'individuazione di una specifica, tipica condotta colposa che le pronunzie di merito, pur lette in modo integrato, risultano inappaganti: esse non riescono a cogliere una condotta rimproverabile alla stregua dei principi sopra esposti. La prima sentenza si caratterizza per una puntuale, diffusa analisi di tutti i dettagli del caso di cui ci si occupa. Orbene, alla stregua dei fatti accertati nella sede di merito non vengono con certezza dimostrate condotte costituenti violazione del peculiare dovere di coordinamento e vigilanza imposto al coordinatore per la sicurezza.

E' emerso, infatti, che sebbene non formalizzate, ebbero luogo diverse riunioni (pare con cadenza settimanale) per il coordinamento delle lavorazioni e della loro concatenazione, e che esse riguardavano "anche" gli aspetti della sicurezza. Appare, dunque, difficile argomentare e ritenere che una maggiore frequenza delle riunioni di coordinamento costituisse nelle condizioni date un adempimento doveroso, la cui violazione possa radicare la colpa nel quadro della peculiare funzione, già più volte indicata, che il sistema prevenzionistico in esame impone al coordinatore.

Ancora più censurabile è la prospettazione in ordine alla violazione del dovere di vigilanza. Si da per scontato che il T. si recasse con una certa frequenza nel cantiere e che egli vi si stesse recando proprio nella mattina in cui avvenne la caduta del lavoratore. Tale condotta appare conforme al modello di vigilanza "alta" più volte evocata e distinta dalla vigilanza operativa demandata all'appaltatore. La statuizione civile deve essere conseguentemente annullata senza rinvio essendo stata esaurita ogni possibile indagine fattuale; e non essendovi spazio per diverse valutazioni alla luce dei principi di diritto enunciati.

Cass. Civ. sez. II - sentenza 20 gennaio 2010 n. 936

Appalto e vizi dell'opera di cui all'art. 1667 C.C.

"non conta la posizione processuale, spetta sempre al debitore provare l'esattezza della prestazione per cui non è stato pagato.

L'eccezionalità dell'articolo 1667 Codice Civile riguada solo la decadenza, per il resto si applica la regola generale dei contratti: accertate la sussitenza dell'obbligazione e la consegna dell'opera, il committente si limita a far valera la garanzia per il vizio"

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

TAR Lombardia, Milano, 1 dicembre 2009, n. 5218

Diniego del titolo abilitativo edilizio e motivazione: legittimità e funzione

La motivazione di diniego del titolo abilitativo edilizio è illegittima quando fa riferimento generico a norme contenenti una pluralità di disposizioni attinenti diversi profili dell'attività edilizia e non indica, invece, i profili del progetto che si pongano in contrasto con tali disposizioni.

"In merito la giurisprudenza ha da tempo chiarito che la motivazione del provvedimento di diniego del titolo abilitativo edilizio, che non consenta di intendere in quali termini e con quali disposizioni delle Norme tecniche di attuazione del p.r.g. il progetto sia in contrasto, è del tutto inidonea ad adempiere la propria funzione di far comprendere le ragioni giuridiche e le giustificazioni di fatto che sono alla base della determinazione dell'Amministrazione, con evidente pregiudizio al diritto di difesa della ricorrente ed al principio di trasparenza dell'azione amministrativa (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 03 marzo 2005 , n. 1082; T.A.R. Toscana, sez. II, 31 gennaio 2000 , n. 22). In tal modo non si consente all'interessato da un lato, di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla realizzazione del suo progetto e di poterlo adeguare alle esigenze pubbliche che l'Amministrazione ha inteso tutelare; dall'altro, di confutare in maniera esaustiva la legittimità del provvedimento davanti al giudice competente."

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Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 26 novembre 2009, n. 7433

Mancanza di titolarità e legittimità del titolo abilitatvo edilizio (DIA) - su TAR Veneto

Il Consiglio di Stato, sez. IV, conferma la sentenza TAR Veneto n. 3353/2007:

"la mancanza nel richiedente della titolarità di un diritto reale che giustifichi l’istanza diretta ad ottenere un titolo abilitativo alla edificazione non integra la nullità del titolo, riconducibile solo a vizi riferibili alla carenza di elementi essenziali del provvedimente, ma semplicemente la sua annullabilità per la carenza o irregolarità di un presupposto necessario per il suo perfezionamento (in tal senso vedi sezione quarta n. 2273 del 11 maggio 2007)."

fonte: Sito del Consiglio di Stato

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S.C. di Cass. Pen., Sez. IV, ud. 18-6-09 - dep. 21-9-09, n. 36581

Sicurezza lavoro: infortunio e responsabilità del committente

In materia di responsabilità del committente per culpa in eligendo, ove il proprietario di un immobile abbia commissionato i lavori di parziale ristrutturazione dello stabile di sua proprietà ad un appaltatore non munito di capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di svolgimento della stessa, il giudice deve valutare se il committente, trattandosi di un lavoro pericoloso, dovesse o meno vigilare affinché le opere da realizzare fossero poste in essere in condizioni di sicurezza, nel rispetto della normativa antinfortunistica, restando in ogni caso garante della salvaguardia dell'incolumità di chi (nella fattispecie l'appaltatore-vittima) prestava nel suo interesse attività lavorativa.

Ne è responsabile, se non ha adottato tutte le misure antinfortunistiche, il proprietario dello stabile che ha commissionato i lavori non a una ditta specializzata ma a un operaio.
Lo ha affermato la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 36581 del 21 settembre 2009, ha accolto con rinvio il ricorso della Procura di Bari che si opponeva all'assoluzione di un 82enne pugliese che aveva commissionato a un operaio (dipendente in mobilità di una impresa) la ristrutturazione della sua casa.

Debora Alberici

fonte: Sito Telediritto - portale giuridico umbro

S.C. di Cass. Pen., sez. III, sentenza 7 luglio 2009, n. 29545

Sicurezza lavoro: attenuanti di cui all'art. 303 d.lgs. 81/2008

Con la decisione in esame la Suprema Corte si pronuncia, per la prima volta dall’entrata in vigore del nuovo D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sulla nuova attenuante introdotta dall’art. 303 la quale, in particolare, espressamente prevede che la pena per i reati previsti dal medesimo decreto e puniti con la pena dell’arresto, anche in via alternativa, è ridotta di un terzo per il contravventore che, entro i termini di cui all’art. 491 cod. proc. pen., si adopera per la rimozione delle irregolarità riscontrate dagli organi di vigilanza e delle eventuali conseguenze dannose del reato.

In particolare, la Corte ha affermato non solo che l’adempimento delle prescrizioni antinfortunistiche a seguito di invito alla regolarizzazione da parte dell’organo di vigilanza “vale come attenuante”, ma anche che detta attenuante è applicabile anche ai fatti pregressi in quanto norma più favorevole al reo.

fonte: Sito della Corte di Cassazione

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Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 18-5-2009, n. 11417

Rischio elettivo - nozione - imprudenza del lavoro non è una esimente

"Costituisce orientamento interpretativo acquisito di questa Suprema Corte che il rischio elettivo, quale limite all'indennizzabilità degli infortuni sul lavoro, è ravvisabile, per richiamare una definizione sintetica ricorrente, solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l'apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (cfr. ad es. Cass. n. 15047/2007; Cass. n. 15312/2001; Cass. n. 8269/1997; Cass. n. 6088/1995).

Più in particolare, per configurare il rischio elettivo secondo la definizione descritta, viene richiesto

a) che il lavoratore ponga in essere un atto non solo volontario, ma anche abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive;

b) che il comportamento del lavoratore sia motivato da impulsi meramente personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive;

c) che l'evento conseguente all'azione del lavoratore non abbia alcun nesso di derivazione con l'attività lavorativa.

Nel concorso di tali situazioni, che qualificano in termini di abnormità la causa iniziale della serie produttiva dell'evento infortunistico, il rischio elettivo si distingue, quindi, dall'atto colpevole del lavoratore, e cioè dall'atto volontario posto in essere con imprudenza, negligenza o imperizia, ma che, motivato, comunque, da finalità produttive, non vale ad interrompere il nesso fra l'infortunio e l'attività lavorativa e non ne esclude, pertanto, la indennizzabilità.

A tale indirizzo interpretativo non si è attenuta la decisione impugnata, la quale ha omesso di considerare che l'infortunio si è realizzato a fronte di un comportamento del lavoratore che, sebbene imprudente, era, comunque, ricollegabile alle finalità aziendali, essendo l'infortunio avvenuto nell'espletamento dell'attività lavorativa ed in conseguenza di una scelta (quale quella di percorrere, fra i due sentieri di accesso all'azienda, quello più scosceso), che, sebbene non necessitata, ed anzi evitabile, non risultava del tutto estranea alle finalità lavorative e non corrispondeva solo ad esigenze meramente personali."

 

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 24 aprile 2009, n. 2579

Parere pro veritate di tecnico di parte nel processo amministrativo.

Il Consiglio di Stato, sez. IV, affronta, incidentalmente, con la sentenza in oggetto la questione relativa al "valore giuridico" del parere pro veritate richiesto dalla al progettista del PRG in occasione di rilascio del titolo abilitativo edilizio poi impuganto dal confinante.

Per i Giudici di Palazzo Spada

"La sentenza del TAR è censurabile sotto molteplici profili, evidenziati nell’atto d’appello. In primo luogo perché si è affidata, sul piano probatorio, all’esclusivo “parere pro veritate” redatto da un professionista di parte, privo pertanto dei fondamentali requisiti di imparzialità che debbono possedere le consulenze degli ausiliari del giudice. Soccorre, al riguardo, l’insegnamento giurisprudenziale secondo il quale le perizie giurate depositate da una parte non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, ad essa potendosi solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice, della quale pertanto egli, da un lato, non è obbligato in nessun caso a tenere conto e, per converso,ove ritenga di farvi riferimento, deve motivarne adeguatamente la forza probatoria che intende assegnarle (cfr., Cass., sez. II, 19 maggio 1997, n. 4437).

L’impossibilità di dare alle perizie o consulenze di parte una specifica – e nella specie unica – valenza probatoria – vale anche per quelle provenienti dalla P. A., ove nell’ambito del relativo procedimento di formazione non sia stata assicurata la partecipazione del privato.

La Corte costituzionale, infatti, ha compreso nel concetto di "procedimento", nel quale si deve realizzare il diritto di difesa, anche l’accertamento assimilabile, nella sostanza, ad una perizia, fonte, sì, di convincimento del giudice, ma ove essa sia stata redatta con le garanzie del contradditorio (Corte costituzionale, 28 luglio 1983, n. 248 in tema di analisi operate dal laboratorio provinciale di igiene e profilassi; sent. n. 86/1968 per gli atti di polizia giudiziaria; sent. n. 149/1969 in materia di repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario).

4– L’affidamento esclusivo mostrato dai giudici di primo grado verso il “parere pro veritate” redatto dal tecnico di parte appare poi ulteriormente viziato dalla circostanza che le conclusioni contenute in quell’atto non sono state poste a confronto con le perizie di parte avversa o, almeno, di tale confronto non è stata data alcuna motivazione. Sotto tale profilo la sentenza non solo è dichiaratamente carente, poiché nella stessa esposizione in fatto si era dato atto che in data 4.10 2005 il ricorrente aveva depositato in giudizio perizia giurata a firma dell’ing. Domenico Scognamiglio e che tale produzione era stata ribadita, con allegati, in data 28.10.05.

Un corretto e coerente modo di procedere nel giudizio avrebbe imposto che nella motivazione si fosse data contezza del contenuto di tale perizia esponendo i motivi per cui essa non appariva condivisibile."

Questione altezze e distanze

La sentenza stabilisce inoltre "In punto di diritto va ribadito il principio generale secondo cui il computo del limite di altezza, entro il quale è consentita l`edificazione, va effettuato prendendo come parametro l`originario piano di campagna, cioè il livello naturale del terreno di sedime e non la quota del terreno sistemato; principio derogabile da normative regolamentari espresse (Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 1986, n. 147; cfr. Cassazione penale, sez. III, 11 luglio 1978).

Quindi il principio di diritto affermato dal TAR è errato perché invertito rispetto al giusto orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le norme urbanistiche locali possono consentire (e non vietare) il ricorso a criteri derogatori, diversi da quello naturale.

Nella specie le norme urbanistiche locali non contengono eccezioni al ricordato principio."

fonte: Sito del Consiglio di Stato

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TAR Veneto 30-4-2009 edificabilità in zona agricola ai sensi L.R. 11/04

Sentenza breve segnalata da Daniele-Iselle

L’art. 48 comma 7-ter della legge regionale n° 11 del 2004 stabilisce che nelle more dell’approvazione del primo PAT e PI sono consentiti gli interventi di cui al comma 5 dell’art. 44 della legge regionale n° 11 del 2004.

Il sopra indicato comma 5 stabilisce che è sempre consentito l’ampliamento di case di abitazione fino ad un limite massimo di 800 metri cubi comprensivi dell’esistente, purchè eseguiti nel rispetto integrale della tipologia originaria.

La ricorrente invoca tale norma al fine di ottenere l’ampliamento richiesto e censura le NTA introdotte dal comune di Cortina che subordinano la possibilità di realizzare l’ampliamento all’esigenza dell’azienda agricola e purchè l’intervento sia richiesto da imprenditori agricoli aventi i requisiti soggettivi elencati dal comma 2 dell’art. 44 della legge regionale n° 11 del 2004.

In realtà il comma 5 dell’art. 44 della legge regionale n° 11 del 2004 si inserisce all’interno della norma che prescrive che nella zona agricola sono ammessi, in attuazione di quanto previsto dal PAT e dal PI, esclusivamente interventi edilizi in funzione dell’attività agricola. Tali interventi sono consentiti, sulla base di un piano aziendale, esclusivamente all’imprenditore agricolo titolare di un’azienda agricola (art. 44 commi 1 e 2 della legge regionale n° 11 del 2004).

La ricorrente, non avendo i requisiti soggettivi previsti, né avendo dimostrato che l’ampliamento è funzionale all’attività agricola, non lo può ottenere.

Le NTA del PRG del Comune di Cortina non si pongono in contrasto con l’art. 44 comma 5 e con l’art. 48 comma 7-ter della legge regionale n° 11 del 2004.

Tali norme non prevedono deroghe ai requisiti previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 44 della legge regionale n° 11 del 2004 per poter effettuare interventi in zona agricola.

L’avverbio “sempre” di cui al comma 5 dell’art. 44 della legge regionale n° 11 del 2004 indica che il PAT e il PI non possono inibire la possibilità di ampliare in zona agricola la casa di abitazione fino a 800 metri cubi, fermi comunque restando i requisiti previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 44 della legge regionale n° 11 del 2004 per poter effettuare interventi in zona agricola.

2. Non sussiste violazione dell’art. 50 della legge regionale n° 61 del 1985 perché si tratta di norma tecnica di adeguamento agli art. 44 comma 5 e 48 comma 7-ter della legge regionale n° 11 del 2004. Non sono stati introdotti indici di edificabilità, nuove definizioni, nuove modalità di calcolo degli indici e dei parametri urbanistici, nuove destinazioni d’uso o modalità d’attuazione.

fonte: TAR Veneto

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Consiglio di Stato - Adunanza Plenaria sentenza 23 aprile 2009

L'adunanza Plenaria è stata chiamata a rispondere sui seguenti quesiti:

se una costruzione, la cui area di sedime coincide con il mappale su cui insiste (655), per essere stata censita nel 1858, possa essere considerata costruzione preesistente, la cui volumetria debba essere computata in quella assentibile secondo l’indice di densità fondiaria in vigore.

se in presenza di una disciplina urbanistica che assegna una precisa valenza alle aree di pertinenza delle costruzioni esistenti, solo se queste risultano da atti di asservimento, o, in assenza, se identificate dalla licenza edilizia, tale disciplina possa essere introdotta, per via giurisprudenziale, anche per edifici che sono stati realizzati prima dell’introduzione di limiti legali alla proprietà privata, cioè quando l’attività edilizia era una mera estrinsecazione del diritto di proprietà

La sentenza è interessante perchè, nell'affrontare le problematiche dell'asservimento dei fondi ed altre questioni, compie una meticolosa ricostruzione normativa e concettuale che sarà oggetto di un approfondimento Tecnojus.


fonte: Consiglio di Stato

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TAR Emilia Romagna - Parma - 7-4-2009: ingiunzione demolizione abuso

Se è vero che la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), fa sì che l’ingiunzione demolitoria sia praticamente un atto dovuto (anche con riguardo all’effetto derivato della paventata acquisizione gratuita delle opere al patrimonio comunale), ed è sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, tuttavia il lungo lasso di tempo trascorso deve essere considerato al fine di verificare se si sia ingenerata, causa appunto il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta, una posizione di affidamento nel privato ( cfr. Cons. Stato, V, 8 gennaio 2002 n. 3443; 19 marzo 1999, n. 286; 5 marzo 2001, n. 1244; C.G.A.R.S. 23 aprile 2001, n. 183).

Sussiste pertanto l’obbligo di fornire adeguata motivazione quando il provvedimento sanzionatorio intervenga, come nella specie, a distanza di molti anni dall'ultimazione dell'opera e il lungo lasso di tempo intercorso per inerzia dell'Amministrazione abbia creato un qualche affidamento nel privato (Cfr. T.A.R. Lazio sez, II 27 aprile 2005 n. 3120; Cons. Stato, Sez. V, 11 febbraio 1999 n. 144, 25 giugno 2002 n. 3443 e TAR Piemonte 18 dicembre 2002 n. 2059).


fonte: Ambientediritto.it

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Consiglio di Stato - sentenza Sez. VI, 9 febbraio 2009

Natura giuridica della D.I.A. - dietrofront di Palazzo Spada

La sentenza (n. 717) ritorna consapevolmente sulla vexta quaestio in oggetto, eprimendo un parere contrario a quello emesso dallo stesso consesso ma sez. IV, 25-101-08 n. 5811: la DIA non è un provvedimento implicito della P.A. bensì un atto di un soggetto privato, talchè al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell’amministrato che è legittimato ad agire in via autonoma valutando l’esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore.


fonte: Sito Consiglio di Stato

Massima

Sentenze Giustizia Amministrativa gennaio 2009

CdS sez. IV sent. n. 440 del 26-1-09 su differnza tra la nozione di "veduta" e quella di "luce"
CdS sez. IV sent. n. 443 del 26-1-09 su comptenza dei geometri per progetti di varainte urbanistiche, anche se dipendenti comunali
CdS sez, IV sent. n. 393 del 26-1-09 su nozione di ultimazione dei lavori nelle pratiche di condono edilizio.
CdS sez. V sent. n. 367 del 26-1-09 su decorrenza del termine per l'impugnazione del titolo abilitativo, con particolare riferimento violazioni distanze tra fabbricati.
TAR Veneto sent. n. 86 su principi cui deve attenersi la P.A. su domanda di rilascio titolo abilitativo dopo annullamento di precedente diniego.
TAR Veneto sent. n. 278 su edificabilità zone agricole art. 4 e 7 L.R. 24/85
TAR Veneto sent. n. 282 su zonizzazione acustica legge 447/95

 

fonte: Sito del Consiglio di Stato

Link al sito del Consiglio di Stato

C.d.S., sez. IV - 15-01-2009: segnalazione abusi e obbligo a provvedere

La sentenza (n. 177) affronta la questione circa la sussistenza o meno dell'obbligo del Comune di provvedere sull'istanza da parte del vicino che segnala abusi edilizi.

Sotto il profilo tecnico-giuridico il ricorso appella una sentenza TAR con cui un privato confinante impugna il silenzio serbato dal Comune predetto a fronte della sua istanza volta a sollecitare l’esercizio dei poteri sanzionatori per presunti abusi edilizi posti in essere dalla loro vicina.

Il Consiglio di Stato così risponde:

Ed invero, il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto – in linea con la consolidata giurisprudenza in subiecta materia – l’insussistenza di un obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza con la quale veniva sollecitato l’esercizio dei suoi poteri sanzionatori in materia edilizia, laddove questi ultimi trovassero fondamento in provvedimenti concessori o autorizzatori ormai inoppugnabili; pertanto, il ricorso di primo grado è stato dichiarato meritevole di accoglimento soltanto per l’adibizione dei locali de quibus a palestra e sala da ballo, mutamento di destinazione d’uso che non trovava apparente fondamento in alcuno dei provvedimenti amministrativi ex adverso prodotti.

....

Infatti, oggetto del presente contenzioso non è certo la sussistenza o meno degli abusi affermati dagli appellanti, ma unicamente la sussistenza o meno di un obbligo del Comune di riscontrare l’istanza con la quale essi hanno segnalato l’esistenza degli abusi medesimi, chiedendo l’attivazione dei relativi poteri sanzionatori.


fonte: Sito Consiglio di Stato

Massima

Cass. Civ. 16-01-2009: Distanze legali - norme integrative c.c. - condizioni

In tema di distanze legali, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità; la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che disciplinano solo l'altezza in sè degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano esclusivamente il valore economico della proprietà; dei vicini; ne consegue che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela consistente nel risarcimento del danno.

fonte: Sito Corte di Cassazione

Testo sentenza dal sito della Cassazione (pdf)

Cass. Pen. 20-01-2009: DIA non applicabile su manufatti abusivi

La sentenza n. 2112 della III sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, ritorna sul tema confermando l'indirizzo giurisprudenziale assunto: la DIA relativa a lavori di per sè legittimi da realizzare su manufatti abusivi ovvero per i quali non sia ancora intervenuta la sanatoria o condono edilizio non è perseguibile.

Per fabbricati abusivi pare doversi intendere qualsiasi forma di non "regolarità" amministrativa del fabbricato oggetto di intervento, posta l'evidenza di non perseguibilità della denuncia di inizio attività su un fabbricato totalmente abusivo.

In questi casi il progettista deve prestare la massima attenzione sia in relazione a quanto va ad asseverare che in ordine alla prestazione in erogazione, sotto il profilo obbligazionario.

Testo sentenza su Lexambiente (pdf)

TAR Veneto 3-11-2008: titoli legittimanti l'istanza/rilascio del permesso

La sentenza affronta la questione relativa ai soggetti legittimanti la richiesta e il rilascio del permesso di costruire (nella fattispecie da parte di uno degli usufruttuari in quota indivisa) ....

Commento

Cass. Pen.: sentenze significative di ottobre

Ad ottobre la Corte Suprema di Cassazione Penale è intervenuta sui seguenti argomenti:

 

sentenza n. 40045 su inizio lavori
sentenza n. 40018 su opere precarie
sentenza n. 38432 su validità ed efficacia titolo abilitativo edilizio
sentenza n. 38408 su concetto di sagoma - modificazione
sentenza n. 38044 su valore probatorio mappe catastali
sentenza n. 35578 su recinzioni e muri e concessioni in precario
sentenza n. 37460 su pertinenza e ampliamento
sentenza n. 37250 su responsabilità del direttore dei lavori

Il link consente di scariacare la sentenza pubblicata su www.lexambiente.it recensita alla data sotto riportata, per cui è possibile che il link produca un errore qualora il gestore del predetto sito modifichi le impostazioni. Per i commenti delle sopracitate sentenze, invece, sarà inviata rassegnaNEWS specifica ai soli professionisti iscritti (gratuitamente) al servizio.

fonte: Lexambiente.it

 

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