Cass. Pen., sez. III, sentenza 3 ottobre 2011, n. 35749

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inderogabilità distanze tra fabbricati - ammesse solo deroghe di rango statale
di romolo balasso architetto

La sentenza in commento rileva per la posizione assunta dalla Giustizia Penale in materia di distanze tra fabbricati. Anche la Suprema Corte ribadisce:

Il carattere inderogabile delle disposizioni di legge relative alla distanza tra edifici. In materia di distanze tra fabbricati, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 232 del 2005 aveva definito il principio inderogabile, desumibile dall'art. 873 c.c. e dall'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, la regola relativa al fatto che la distanza minima deve essere determinata unicamente dalla legge statale, che può consentire deroghe con normative locali, purchè siffatte deroghe "siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio".

Più di recente, la Consulta, con l'ordinanza n. 173 del 2011, ha stabilito l'impossibilità per la normativa regionale di derogare alla disciplina delle distanze minime prevista dalla normativa nazionale in quanto tale materia rientra tra le competenze legislative esclusive dello Stato, precisando che le leggi regionali possono derogare solo ai parametri degli indici urbanistici ed edilizi contenuti nei regolamenti edilizi locali o nei piani regolatori comunali; di conseguenza non è derogabile sotto questo profilo lo strumento urbanistico quando questo rimanda o riproduce norme di rango superiore, come la legge urbanistica nazionale ed il già citato DM n. 1444 del 1968.

Del resto anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 2/11/2010, n. 7731) ha affermato che le distanze tra le costruzioni sono predeterminate dal codice civile con carattere cogente, in via generale ed astratta, "in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza", a prescindere da norme diverse, eventualmente incluse negli strumenti urbanistici locali.

La sentenza in commento, inoltre, affronta il tema delle varianti ai titoli abilitativi, confermando che:

Il permesso in variante (che propone modificazioni qualitative o quantitative che possono anche riguardare il perimetro, la superficie coperta, la volumetria e le stesse distanze dalle proprietà vicine dell'opera da realizzare) rimane collegato ed in rapporto di complementarietà e di accessorietà con il permesso di costruire originario.

Nè risulta possibile nel caso di specie frazionare nel tempo l'attività edilizia di realizzazione del fabbricato in aderenza, essendo la stessa stata iniziata a seguito dell'originario permesso, per cui non pare possibile accedere alla tesi formulata nell'ordinanza impugnata circa la natura autonoma del permesso in variante n. 56 del 2010, essendo condivisibili i dubbi sulla legittimità di tale titolo espressi dal pubblico ministero ricorrente.

...

Del resto la giurisprudenza ha da tempo precisato che la realizzazione di un immobile in aderenza ad altro limitrofo, invece che localizzandolo alla dovuta distanza prevista tra le costruzioni, (distanza che non può essere inferiore, ex art. 873 c.c., a tre metri) è una variazione essenziale (vedi Sez. 3, n. 4083 del 24/11/1995, Marra, Rv. 203943).

Pertanto la Cassazione Penale conferma la diversa natura che possono avere le varianti ai permessi di costruire:

  • provvedimenti autonomi;
  • provvedimenti complementari e accessori.

 

data documento:
25-10-2011
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