tecnici e giuristi insieme: approfondimenti tecnico-giuridici sistematici

Professione - Giurisprudenza

TAR Abruzzo, Pescara, Sez. 1, 4 giugno 2012

Direttore dei lavori del permesso di costruire: posizione di garanzia

La sentenza conferma che:

Quanto alla censura sopra indicata alla lettera a), va osservato che l’art. 29 del T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) ha previsto, in via generale, che il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore sono responsabili, unitamente al direttore dei lavori, ai fini e per gli effetti delle norme in esso contenute, della conformità delle opere al permesso ed alle modalità esecutive in esso stabilite.

Tale norma dispone, in particolare, che tali soggetti siano tenuti al pagamento anche delle sanzioni pecuniarie, “salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”. Il secondo comma di tale articolo dispone, in particolare, che “il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire … fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve, inoltre, rinunziare all'incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente”.

Ora, interpretando tale normativa, la giurisprudenza, specie quella penale, ha già avuto modo di chiarire che il direttore dei lavori ha una posizione di garanzia in merito alla regolare esecuzione dei lavori ed ha, pertanto, l’obbligo di esercitare un’attiva vigilanza sulle opere realizzate, per cui - esclusi i casi in cui abbia puntualmente svolto l’attività prevista dal predetto II comma - è responsabile anche delle violazioni edilizie commesse in sua assenza, in quanto questi deve sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica (così, da ultimo, Cass. Pen., sez. III, 17 giugno 2000, n. 34602, e 20 gennaio 2009, n. 14504).

 

Consiglio di Stato, sez. IV, 17 maggio 2012

Liquidazione spese CTU nel processo amministrativo e ripartizione di tali competenze delle parti

La sentenza asserisce che:

3.Quanto all’appello proposto dall’amministrazione comunale, esso è infondato alla stregua della condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato sez. V 23 giugno 2011 n. 3807) secondo cui “ è legittimo il provvedimento del giudice amministrativo che, nell'ambito di una pronuncia di compensazione per giusti motivi delle spese giudiziali, dispone la ripartizione tra le parti per quote uguali anche delle spese liquidate in favore del consulente tecnico d'ufficio atteso che il CTU, in quanto strumento di ausilio al giudice nella valutazione degli elementi che comportino specifiche conoscenze, deve ritenersi resa nell'interesse generale della giustizia e, quindi, correlativamente nell'interesse comune delle parti; ciò non toglie, peraltro, che il giudice può del pari legittimamente porre per intero a carico della parte soccombente le spese della consulenza , pur operando la compensazione delle spese giudiziali, ove abbia accertato la fondatezza delle doglianze della parte ricorrente circa l'operato dell'Amministrazione in ordine alle valutazioni oggetto di consulenza /verifica atteso che, diversamente opinando, alla parte ricorrente verrebbe ingiustamente ed irragionevolmente addossato un onere per il fatto di aver inteso perseguire il bene della vita, risultato poi, proprio grazie alla consulenza, effettivamente negato in modo ingiusto ed illegittimo dall'Amministrazione direttamente e dalla parte resistente indirettamente.”. Tale affermazione, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, appare perfettamente sovrapponibile a quella resa sin da epoca risalente dalla giurisprudenza di legittimità civile (Cassazione civile sez. I, 08 luglio 1996 n. 6199) secondo cui “poiché la prestazione del consulente tecnico d'ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è resa, l'obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla soccombenza ; la sussistenza di tale obbligazione solidale, inoltre, è indipendente sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell'ausiliare è stata effettuata, sia dal procedimento utilizzato dall'ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli”.

Il principio enunciato si inquadra, costituendone corollario, nel più ampio convincimento a più riprese espresso dalla pacifica giurisprudenza civile secondo il quale “la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull'opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile, sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576)

Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate.” (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).

 

Cassazione SS.UU. Penali, 23 marzo 2012

Art. 348 C.P. - esercizio abusivo di professione

Sul sito della Suprema Corte di Cassazione si trova pubblicata e così massimata la sentenza delle Sezioni Unite Penali:

Con la decisione in esame la Corte, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, ha affermato i seguenti principi:
a) «Concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato»;

La medesima sentenza evidenzia che:

La norma incriminatrice dell'art. 348 cod. pen., che punisce chi “abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”, trova la propria ratio nella necessità di tutelare l'interesse generale, di pertinenza della pubblica amministrazione, a che determinate professioni, richiedenti particolari requisiti di probità e competenza tecnica, vengano esercitate soltanto da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge (in tal senso, testualmente, Sez. 6, n. 1207 del 15/11/1982, dep. 1985, Rossi, Rv. 167698). Il titolare dell'interesse protetto è, quindi, soltanto lo Stato, e l'eventuale consenso del privato destinatario della prestazione professionale abusiva non può avere valore scriminante.

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 marzo 2012

Natura e rapporto tra Ordine territoriale e Consiglio Nazionale

La sentenza, relativa al mancato accogliemento dell'iscrizione all'Albo ingegneri di un professionista (geologo) che ha trovato iscrizione come "Chartered Engineer" al Register dell’Engineering Council (in inghilterra), evidenzia che:

In proposito, a quanto già chiarito dal giudice di prime cure, può aggiungersi che non occorre possedere un potere di controllo sulla validità dei titoli richiesti per l’iscrizione all’Albo per essere legittimati ad una domanda di annullamento, ma è sufficiente la sussistenza di un interesse legittimo e di un interesse a ricorrere. Il primo è senz’altro sostanziato dall’interesse dell’Ordine, quale ente esponenziale della categoria degli iscritti e custode del relativo Albo, alla salvaguardia dei professionisti ai quali è rigorosamente richiesta una specifica formazione accademica, dalla concorrenza di professionisti che quella formazione asseritamente non hanno. In proposito non appaiono efficaci le considerazioni circa la mancanza di un potere istituzionale di controllo sulla validità dei titoli e del loro riconoscimento: proprio perché tale interesse non è presidiato da un potere di controllo specifico e travalica le competenze proprie in tema di procedimento di iscrizione all’Albo, esso può qualificarsi legittimo ed essere giudizialmente tutelato, alla stregua di quanto consentito per qualsiasi ente o associazione in relazione agli interessi dei propri associati.

Quanto ai rapporti tra Consiglio nazionale degli ingegneri e Consigli locali dell’Ordine, non sembra, anche a voler condividere la tesi della parziale sovrapponibilità degli interessi rappresentati, che la legittimazione dell’uno possa escludere quella degli altri, dovendosi piuttosto avere riguardo alla dimensione dell’interesse ed all’attualità della sua lesione; sicchè mentre il Consiglio locale vede radicare il proprio interesse solo ove e quando l’istante, chiedendo l’iscrizione all’Albo, contestualizzi la sua pretesa, il Consiglio Nazionale, rappresentando la categoria per gli aspetti e profili di rilievo più generale, ed essendo pertanto depositario di interessi categoriali suscettibili di essere lesi già all’atto del riconoscimento del titolo, è invece in grado di anticipare già a tale momento la domanda di tutela.

Questione diversa è se l’aver espresso, il Consiglio Nazionale, un parere favorevole nell’ambito di un procedimento istruito a mezzo di conferenza di servizi precluda al Consiglio locale l’impugnativa. Invero, se il principio di non contraddittorietà dell’azione e quello di strumentalità e non abuso del processo amministrativo inducono a negare ingresso, nel processo, all’azione di un ente che neghi la validità e correttezza al proprio orientamento consultivo espresso nell’ambito del pregresso procedimento amministrativo, è parimenti vero che ciò non è sufficiente ad elidere la consistenza sostanziale dell’interesse e ad inibire la tutelabilità delle correlative posizioni giuridiche, ove queste siano attivate da altri soggetti dell’ordinamento, portatori del medesimo ma più circoscritto interesse od anche di interessi più marcatamente individuali, i quali dissentano dall’espressione del parere e perciò sospettino dell’illegittimità dell’atto finale. L’errore nel parere non è cioè un fattore di elisione della posizione di interesse tutelata dall’ordinamento, ma è soltanto una circostanza che preclude al soggetto che lo ha commesso di utilizzare il processo per rimediarvi. Ciò non toglie che altri soggetti portatori di quell’interesse ne possano invocare la tutela adducendo la sussistenza dell’errore o comunque pretendendo di non essere da questo pregiudicati nelle proprie possibilità difensive.

 

C.d.S, Sez. IV, 10 gennaio 2012

Interesse ad impugnare un provvedimento della P.A.

La sentenza conferma un orientamento pressochè unitario:

Sarebbe infatti del tutto inutile, ai fini giuridici, prendere in esame una domanda giudiziale se nella fattispecie prospettata non si rinvenga affermata una lesione della posizione giuridica vantata nei confronti della controparte, ovvero se il provvedimento chiesto al giudice sia inadeguato o inidoneo a rimuovere la lesione.
In definitiva, come chiarito dalla migliore dottrina processualcivilistica, <<l’interesse ad agire è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunciata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante l’applicazione del diritto, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto>> (cfr., altresì, Cass. Civ., Sez. III, n. 12241/98).
Nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato (cfr. C.d.S., Sez. IV, n. 1210/97).
Anche nel sistema giurisdizionale amministrativo, infatti, sarebbe del tutto inutile eliminare un provvedimento o modificarlo nel senso richiesto dal ricorrente, se questi non possa trarne alcun beneficio concreto in relazione alla sua posizione legittimante.
Ai fini dell’ammissibilità del ricorso, occorre pertanto, che sussista piena corrispondenza tra interesse sostanziale dedotto in giudizio, lesione prospettata e provvedimento richiesto.
A contrario, il ricorso è inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente (che ne “legittima” l’instaurazione del giudizio).
Inoltre, l’interesse al ricorso, in quanto condizione dell’azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 475/92).

 

Cass. Civ. sentenza 27 gennaio 2010, n. 1741

Professione: incarico da soggetto privato e da P.A.

la sentenza sopra citata evidenzia che:

Come questa Corte ha avuto modo di affermare, “presupposto essenziale ed imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. La prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un simile rapporto, grava sull'attore e compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità” (Cass., n. 2345 del 1999; Cass., n. 1244 del 2000).

Costituisce principio altrettanto saldo nella giurisprudenza di questa Corte, quello per cui “il contratto con il quale l'amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta, onde è da escludersi che la sussistenza di un siffatto requisito formale possa essere ricavata allunale, ad esempio attraverso la produzione di altri documenti che non costituiscono il contratto, ma lo presuppongono. Pertanto, la produzione del contratto stesso costituisce onere probatorio della parte che basa su di esso la propria domanda, per cui il giudice, al fine di valutarne la fondatezza, ben può rilevare la mancanza del contratto in questione, senza che tale mancanza debba essere eccepita dalla controparte” (Cass., n. 1929 del 2004; Cass., n. 24826 del 2005; v. anche Cass., n. 8023 del 2000).


Cass. Civ. sentenza 11 giugno 2010 n. 14085

Professione: attività/prestazioni regolamentate e non

la sentenza sopra citata evidenzia che:

l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, da luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, sicchè il professionista non iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. Peraltro, al fine di stabilire se ricorra la nullità prevista dall'art. 2231 c.c., occorre verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l'esercizio della professione subordinato per legge all'iscrizione in apposito albo o ad abitazione.

 


Al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale l'assistenza in giudizio, cfr. Cass. 12840/2006), vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi gli oneri amministrativi o tributari).

Consiglio di Stato, sentenza 12-3-2010 n. 1457

Competenze professionali: loro valutazione in sede di permesso

Il Consiglio di Stato interviene su un argomento molto delicato riferito al fatto che un Comune aveva sospeso la domanda di rilascio del titolo abilitativo per incompetenza professionale del progettista.

Ancorchè riguardante la giurisdizione competente a decidere la controversi, la sentenza consente di ricavare diversi aspetti argomentativi, che saranno ripresi in specifico e successivo approfondimento; si ritiene riportare per estratto la parte conclusiva della sentenza:

"Dal complessivo, seppur sintetico quadro giurisprudenziale sopra riportato emerge come in tutte queste ipotesi, di analogo contenuto a quella in causa, si controverte di concreti poteri valutativi e accertativi delle capacità e competenze dei professionisti chiamati dai loro committenti a svolgere attività libero professionale nel quadro di un procedimento amministrativo teso al rilascio di titoli concessori o abilitativi edilizi, nell’ambito del quale la disciplina delle professioni ed il conseguente regime giuridico viene in rilievo solo a fini incidentali e strumentali all’adozione dell’atto finale.

Opinandosi diversamente, come ha fatto il TAR, dovrebbe concludersi per la sussistenza sempre e comunque della giurisdizione ordinaria per tutti i numerosi procedimenti amministrativi in cui non si faccia questione diretta di diritti soggettivi (quelli all’esercizio professionale) ma nei quali la valutazione e configurazione di quei diritti sia preordinata soltanto al corretto esercizio di potestà amministrativa. Non a caso l’articolo 8 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 ha devoluto alla cognizione del G. A. ogni “ questione relativa a diritti “, necessaria per pronunciarsi sulla questione principale."

 

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