Tecnojus - Centro Studi tecnico-giuridici è una libera associazione, volontaristica e senza scopo di lucro, che si propone di approfondire in chiave interdisciplinare le relazioni tra il sistema di regole, con relative interpretazioni giurisprudenziali, e le attività professionali (progettazione, direzione lavori, collaudo, consulenze tecniche, di parte o d'ufficio...), assumendo il seguente principio ispiratore:

"si assoggetta a regola delle finalità da perseguire"

Avvertenza: utilizziamo cookie tecnici di tipo statistico (Google Analytics) per avere informazioni in forma aggregata sul numero di accessi e sulle pagine visitate.
stiamo sviluppando
un progetto editoriale "tecnico-giuridico" chiamato:

TECNOJUS ACADEMY - aggiornamento professionale tecnico-giuridico

Data e luogo
Eventi singoli

Link

21/2/2023 webinar

Collegio e Fondazione dei Geometri e Geometri laureati della provincia di Vicenza: L.R. Veneto n. 19/2021 - Stato legittimo degli immobili – incostituzionalità – dettati normativi – effetti della sentenza – alcune riflessioni a contributo - 3^ edizione


 
Data e luogo
Eventi strutturati in percorsi

Link

OAPPC VERONA

dal 13/2/2023 al 17/4/2023

Ciclo seminari aggiornamento CSP e CSE 40 ore:

1 ciclo, 3 seminari, i soggetti della sicurezza

2 ciclo, 3 seminari, i principi e gli strumenti della sicurezza

3 ciclo, 4 seminari, approfondimenti

Eventi passati...


7/02/2023 Riflessione - spunti argomentativi di approfondimento

Carico urbanistico: tra definizione normativa e interpretazione "giuridica"

Leggo nella sentenza Consiglio di Stato Sez. VI n. 167 del 4 gennaio 2023, relativamente ad un cambio d'uso senza opere da verde a parcheggio di servizio di un hotel, in zona paesaggistica, che si tratta di una trasformazione urbanistica rilevante in quanto incidente sul carico urbanistico.

Nello specifico, la sentenza asserisce che (in grassetto evidenzio i punti che reputo "critici"):

Come rilevato dal TAR la destinazione a parcheggio di uno spazio verde, comporta, anche se attuata senza opere edilizie, una trasformazione del territorio urbanisticamente rilevante, in quanto determina un aumento del carico urbanistico, dato dal continuo passaggio, gli scarichi delle auto, e quindi il connesso disturbo alla fauna del bosco e alla proliferazione della vegetazione nei punti di passaggio. Il mutamento di destinazione d’uso in argomento integra, dunque, un cambio – di destinazione d’uso – tra categoria funzionali differenti, e per tale ragione necessitava di apposito titolo edilizio: si veda, tra le molte decisione, la recente pronuncia della Sezione di cui alla sentenza 04/03/2021, n.1857, secondo cui “Il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria.

Per "noi" tecnici, il carico urbanistico è riferito ai parametri di dimensionamento dei c.d. standard, quindi un parametro oggettivo risultante da "abitanti x standard= mq standard" per la funzione residenziale, da "superficie x % di superficie= mq standard" per le altre destinazioni.

Dire che il parcheggio determina un incremento del carico urbanistico, già di suo sarebbe, per "noi" tecnici, singolare, come singolari appaiono le sentenze nelle quali il carico urbanistico è associato ad una (indeterminabile/inoggettivabile) intensità d'uso delle urbanizzazioni, figuriamo adesso dove si parla di "continuo passaggio", di "scarichi delle auto" eccetera.

Personalmente, il carico urbanistico l'avevo sempre inteso come parametro collegato al contributo di costruzione, e cioè alla sua imposizione nel caso in cui l'ìintervento edilizio lo incrementi. Ora sembra riguardare anche la rilevanza o meno di una trasformazione urbanistico-edilizia ai fini del titolo abilitativo di subordinazione.

A questo punto, credo si ponga l'opportunità di una definizione giuridica di "parcheggio" o di "area di parcheggio", per capire se determina una categoria funzionale autonoma, nel qual caso occorre sapere il tipo, oppure se risulta categoria collegata alla destinazione che genera la domanda.

A mio parere, se un'area avente una determinata destinazione d'urbanistica (es. verde privato) risulta adibita a parcheggio a servizio di un edificio insorgente in una z.t.o. diversa, mi sembra più ragionevole ritenerlo un cambio d'uso corrispondente alla z.t.o. in cui sorge l'edificio, quindi si configurebbe un mutamento rilevante di destinazione d'uso della zona.

Arch. Romolo Balasso

© Riproduzione riservata

15/06/2022 Riflessione - spunti argomentativi di approfondimento

Regime giuridico e amministrativo degli intereventi "superbonus" - CILAS

Tra certezze ed incertezze la confusione regnerebbe sovrana
---
L'argomento "superbonus" credo sia stato e sia ancora terreno fertile di analisi e contro-analisi da parte di una moltitudine di soggetti, sia istituzionali che non, dove si è detto e si dice di tutto ed il contrario di tutto. Il risultato è scontato: tra certezze che non sono certezze ed incertezze che non sono incertezze, la confusione sembra regnare sovrana.

Ritengo sia impossibile conoscere il numero tra interpelli, circolari, risoluzioni, linee guida, dossier, speciali redazionali, articoli, pubblicazioni, convegni e chi più ne ha più ne metta, dovuti anche, verosimilmente, alla oramai consueta "qualità" dei testi normativi e ai continui interventi normativi sia pure ispirati al nobile fine di aggiustare tiri e/o di risolvere criticità.

Il nostro Centro Studi Tecnojus, pur presenziando a degli eventi convegnistici, ha evitato di inserire nel proprio sito valutazioni in argomento, anzi, da qualche tempo a questa parte ha voluto anche "ritirarsi" da quella caccia forsennata all'ultima sentenza e al commento interventista, a quel mordi e fuggi che non consente al lavoratore della conoscenza, e cioè al professionista intellettuale di professione regolamentata, di attingere elementi utili per le proprie "elaborazioni" intellettive.

Infatti, un conto è offrire all'uditorio spunti di riflessione e di approfondimento, altro conto invece è ammassare più o meno (dis)ordinatamente dati e valutazioni. Non avendo finalità commerciali non dobbiamo vendere ciò che chiede il mercato, preferimano rimanere un'isola che si rifà alle fonti classiche del sapere professionale. Del resto, ogni professionista le ha sempre attinte principalmente dallo studio, quindi dai libri, la cui redazione impegna nell'offrire una struttura argomentativa possibilmente "ordinata", la quale deve avere a monte una ricerca e a valle una stesura di tipo sistematico.

Ad ogni modo, dalle diverse email ricevute sulle più disparate richieste, non poche ci chiedono se "esistiamo" ancora, se siamo rimasti vittime della pandemia; ad alcuni (pochissimi) abbiamo risposto che abbiamo volutamente "rallentato" la presenza web, anche del nuovo progetto editoriale "Accademia", confidando in un ritorno alla "normalità" (che forse mai ritornerà).

Un "amico" ha osservato che il silenzio, però, contraddice il nostro intendo di offrire spunti di riflessioni e di approfondimento, critica effettivamente giusta che motiva questo primo scritto del 2022 su un argomento suggerito dal medesimo "amico" e posto nel titolo, recentemente affrontato dal sottoscritto in un convegno presso l'Ordine APPC di Verona.

Il tutto parte da una domanda: la CILAS è obbligatoria per gli interventi superbonus?

La domanda sarebbe la medesima per gli altri "titoli abilitativi": la CILA, la SCIA e il PdC sono obbligatori, nel senso sono tra loro "intercambiabili" così da ritenere che il titolo maggiore "copre" il minore e non viceversa?

Impegnandomi di ritornare più approfonditamente sull'argomento, per ora preferisco limitarmi alle seguenti riflessioni dalle quali, però, ognuno potrà essere in grado di "costruirsi" un proprio percorso di approfondimento e/o darsi una propria risposta:

1) innanzi tutto premetto che, dai miei studi, ho personalmente appreso che:

a) AEL, CILA, SCIA e PdC indicano fondamentalmente il regime giuridico degli interventi edilizi, e cioè, riprendendo l'argomentazione offerta dalla sentenza n. 309/2011 della Consulta, il regime "con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali". In effetti, la SCIA alternativa al permesso di costruire non è un regime giuridico, che rimane quello del permesso di costruire, bensì un regime amministrativo. Così anche il permesso di costruire in luogo della SCIA, come prevede il comma 7 dell'art. 22 del TUE, è un regime amministrativo di quello giuridico della SCIA ex artt. 22 e 37 del medesimo TUE;

b) la differenziazione normativa dei regimi giuridici e amministrativi risponde anche all'esigenza di semplificazione amministrativa lato PA, in ordine al lavoro pubblico e relativo costo (verosimilmente nel solco tracciato dal d.l.gs. n. 29/1993 relativo alla "razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", quale ulteriore sviluppo dei processi di riforma avviati con le leggi n. 142/1990 e n. 241/1990);
c) il diritto amministrativo si caratterizza per il principio di tipicità e nominatività degli atti amministrativi, pena la loro illegittimità, i quali regolano essenzialmente l'esercizio del potere autoritativo della P.A., ovvero la competenza e/o i confini del suo agire, della sua azione, pena l'illegittimità della stessa. Da tali assunti, si deduce, per esempio, che l'esercizio del potere autoritativo provvedimentale da parte della PA attraverso il permesso di costruire deve ritenersi legittimamente "esercitato" soltanto per gli interventi edilizi subordinati a tale regime e che la legge elenca specificatamente.

2) la CILAS si caratterizza:

a) per essere, al pari della "sorella" CILA, un regime giuridico e un regime amministrativo relativamente alle attività edilizie ad essa subordinate: per la CILA con criterio residuale rispetto a AEL, SCIA e PdC, per la CILAS per specifica elencazione e cioè interventi oggetto dell'art. 119 del decreto rilancio fatta esclusione di quelli comportanti demolizione e ricostruzione;

b) per non prevedere la dichiarazione dello stato legittimo dell'immobile oggetto di intervento "superbonus", questo nell'evidente fine di evitare l'affannoso ricorso alle istanze di accesso presso le PA, tanto che il legislatore, pur facendo salva la vigilanza sull'attività edilizia, ha ri-specificato le condizioni di decadenza dal beneficio fiscale, in deroga a quelle previste dall'art. 49 del TUE.

Arch. Romolo Balasso

© Riproduzione riservata

26/7/2021 Commento di Giurisprudenza - avv. Ambrogio Dal Bianco

Accertamento di conformità ex art. 36 TUE e dubbi di costituzionalità

Con ordinanza 8854/2021, il TAR Lazio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 DPR 380/2001 in materia di accertamento di conformità nella parte in cui prevede che, in caso di silenzio protratto per 60 giorni dalla presentazione della richiesta di sanatoria del privato, questa debba intendersi rigettata (cd silenzio rigetto).

Ritiene infatti il TAR che tale meccanismo si ponga in violazione dei principi di imparzialità (non avendo il privato modo di conoscere le ragioni di rigetto della propria istanza, in relazione magari alla domanda similare di altro soggetto); del principio di buon andamento (perché l’assenza del contraddittorio procedimentale non consente una definizione più agevole e meditata delle questioni, discendente dal confronto, anche all’esito di una più completa istruttoria); del principio di trasparenza (non essendo dato sapere perché l’Amministrazione ha assunto la determinazione di segno negativo e come sia maturato il suo convincimento).

Accanto a ciò, il riconnettere all’inerzia dell’Amministrazione sull’istanza di sanatoria un effetto di diniego introduce un elemento di incertezza nel rapporto tra cittadino e Soggetto pubblico, impedendo al primo di poter comprendere le ragioni del rigetto, e costringendolo a ricorrere ad una tutela giurisdizionale “al buio”; con aggravamento della propria posizione processuale e rischiando così di alimentare un contenzioso magari evitabile laddove il privato fosse a conoscenza delle ragioni ostative dell’accoglimento della propria domanda, con conseguente possibile nuova attività amministrativa.

Avv. Ambrogio Dal Bianco

© Riproduzione riservata

3/7/2021 Commento Tecnojus

Legge regionale Veneto n. 19 del 30 giugno - stato legittimo ante 1977

Sul BUR Veneto n. 88 del 2 luglio risulta pubblicata la legge regionale 30 giugno 2021, n. 19 avente ad oggetto "Semplificazioni in materia urbanistica ed edilizia per il rilancio del settore delle costruzioni e la promozione della rigenerazione urbana e del contenimento del consumo di suolo - "Veneto cantiere veloce"".

Diversi gli articoli di interesse per la materia edilizia disciplinata dal testo unico nazionale (DPR n. 380/2021), in particolare l'art. 2 della legge regionale relativamente all'art. 23 del TUE sulla SCIA alternativa al permesso di costruire, l'articolo 5 sulla destinazione d'uso rilevante di cui all'art. 23-ter del TUE e, infine, l'art. 7 riferito allo stato legittimo di cui all'art. 9-bis, comma 1-bis, TUE (introdotto con il decreto semplificazioni n. 76/2020).

Come ripeto spesso, leggere il pur lodevole tentativo di "semplificazioni in materia urbanistica ed edilizia" mi rende alquanto dubbioso e prevenuto, per il fatto che si tratta sovente di interventi legislativi non sistematici e frutto di "compromessi" (nell'ambito delle varie maggioranze politiche).

Il fatto che sia poi un tecnico a dover dichiarare/asseverare in funzione supplente di una PA senza avere la medesima autoreferenzialità e cause esimenti di responsabilità, mi ha sempre suggerito un'analisi critica dei provvedimenti al fine di individuare possibili "talloni d'Achille", il cui obiettivo non è assolutamente quello di "criticare negativamente" le leggi (pur sempre lodevoli nell'intento), bensì offrire alcune riflessioni da considerare negli esercizi professionali.

COMMENTO sul nuovo art. 93-bis della L.R. n. 61/1985

1. La nuova disposizione normativa
Con la legge regionale 30 giugno 2021, n. 19, tra le varie disposizioni è stato disposto l’inserimento dell’art. 93-bis, rubricato Stato legittimo dell’immobile - Tolleranze, nella legge di disciplina dell’attività edilizia regionale n. 61/1985:

“Art. 93 bis - Stato legittimo dell’immobile - Tolleranze.
1. ln attuazione dell'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della L. 10/1977 e dotati di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.

2. Lo stato legittimo di immobili realizzati in zone esterne ai centri abitati e alle zone di espansione previste da eventuali piani regolatori in epoca anteriore al 1° settembre 1967 è attestata dall’assetto dell'edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l'eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente.”.

Si ritiene opportuno ricordare che il Veneto non ha ancora una legge regionale informata ai principi fondamentali del testo unico edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, tanto che occorre considerare quanto disposto dall’art. 13 della legge regionale n. 16/2003:

Art. 13 – Disciplina transitoria dell’attività edilizia.
1. Fino all’entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina edilizia trovano applicazione le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni, nonché le disposizioni della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio” e successive modificazioni, che regolano la materia dell’edilizia in maniera differente dal testo unico e non siano in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico medesimo.

2. Commento generale

Il nuovo articolo rientra nella volontà del legislatore regionale di conseguire semplificazioni procedurali anche nella materia edilizia, riducendo oneri ed adempimenti al fine di agevolare la rigenerazione e l’efficientamento del patrimonio edilizio esistente.

In effetti, dalla relazione si apprende che si è inteso «dare attuazione dell’articolo 9 bis, comma 1 bis del TUE, introducendo un nuovo articolo 93 bis nella legge regionale n. 61 del 1985 in materia di stato legittimo degli immobili e tolleranze».

Contrariamente alla relazione e al testo della rubrica del nuovo art. 93 bis (Stato legittimo dell’immobile - Tolleranze), non si rinvengono disposizioni riguardanti le tolleranze. Del resto, queste ultime non risultano disciplinate dall’art. 9-bis, comma 1-bis del TUE bensì dall’art. 34-bis.

L’articolo in questione si compone di due commi per regolare due fattispecie differenti:

  • il primo comma relativo allo stato legittimo di immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977;
  • il secondo comma relativo allo stato legittimo di immobili realizzati in zone esterne ai centri abitati e alle zone di espansione previste da eventuali piani regolatori in epoca anteriore al 1° settembre 1967.

3. Commento relativo al primo comma

1. ln attuazione dell'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della L. 10/1977 e dotati di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.

Della norma colpisce il fatto che sembra introdurre un campo di applicazione specifico costituito da una sorta di profilo soggettivo degli immobili. Infatti il legislatore regionale è ricorso ad un’espressione caratterizzata dalla doppia negazione “immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali”.

La precisazione:

  • limiterebbe lo stato legittimo nella modalità indicata ai soli immobili in proprietà a soggetti diversi dagli "autori" degli abusi non costituenti variazioni essenziali;
  • escluderebbe, dunque, che lo stato legittimo nella modalità indicata riguardi immobili oggetto di variazioni non essenziali apportate dall'attuale proprietario.

Premesso che l’espressione “in disponibilità” pare doversi intendere riferita ad un soggetto titolare di un diritto reale diverso dalla proprietà, e che il concetto di "variazione essenziale" è stato introdotto nell'ordinamento giuridico con la legge n. 47/1985 (per cui si applica retroattivamente un concetto?) il legislatore regionale opererebbe una discriminazione riservando un trattamento privilegiato in senso positivo ai proprietari non autori di talune tipologie di abusi e in senso negativo a i proprietari dei medesimi abusi.

Così operando, però, forse dimentica che le sanzioni amministrative relative agli abusi, come ricorda consolidata e unanime giurisprudenza, non sono affatto punitive/afflittive, bensì ripristinatorie dell'antigiuridicità, e quindi sono volte ad eliminare l'offesa arrecata al bene giuridico tutelato (il territorio).

Forse darebbe meno problemi interpretativi se si fosse approvata una disposizione senza la sopraddetta precisazione:

1. ln attuazione dell'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di degli immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della L. 10/1977 e dotati di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.

Se l’intento legislativo, però, era ed è quello di escludere la disciplina dello stato legittimo degli immobili interessati da “variazioni essenziali” rispetto al titolo abilitativo rilasciato, forse era sufficiente un dettato del tipo:

1. ln attuazione dell'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di degli immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali non interessati da variazioni essenziali e risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della L. 10/1977 e dotati di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.

Oppure (e forse meglio):

1. ln attuazione dell'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, lo stato legittimo di degli immobili in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori di variazioni non essenziali risalenti ad epoca anteriore al 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della L. 10/1977 e dotati di certificato di abitabilità/agibilità, coincide con l’assetto dell'immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta esclusione delle modifiche costituenti variazioni essenziali rispetto al titolo abilitativo rilasciato e fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.

Per la Regione Veneto le “variazioni essenziali” ricorrono (cfr. art. 92, co. 3, LR n. 61/1985):

Si considerano variazioni essenziali dalla concessione edilizia o dalla relativa istanza, ove essa sia stata tacitamente assentita, gli interventi:

a) che comportino, con o senza opere a ciò preordinate e in contrasto con le destinazioni d' uso espressamente stabilite per singoli edifici o per le diverse zone territoriali omogenee, un mutamento sostanziale tra destinazioni residenziale, commerciale-direzionale, produttiva o agricola; si ha mutamento sostanziale quando esso riguarda almeno il 50% della superficie utile di calpestio della singola unità immobiliare e non comporta l’esercizio di attività alberghiera o comunque di attività radicalmente incompatibili con le caratteristiche della zona a causa della loro nocività o rumorosità;

b) che comportino un aumento della cubatura superiore a 1/5 del volume utile dell’edificio o un aumento dell’altezza superiore a 1/3, con esclusione delle variazioni che incidono solo sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative;

c) che comportino l’alterazione della sagoma della costruzione o la sua localizzazione nell’area di pertinenza, in modo da violare i limiti di distanza, anche a diversi livelli di altezza, recando sensibile pregiudizio alle esigenze della zona sotto il profilo igienico-sanitario, degli allineamenti previsti e dell’ordinata distribuzione dei volumi;

d) che comportino una ristrutturazione urbanistica ai sensi della lettera e) dell’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457, in luogo della ristrutturazione edilizia assentita ai sensi della lettera d) dell’art. 31 della legge stessa;

e) che comportino violazione delle norme tecniche relative alle costruzioni antisismiche.

Si ricorda in proposito che per l’art. 32, comma 3, del testo unico edilizia:

Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali.

Dunque, per la nuova norma regionale l’abitabilità/agibilità rilasciate “provano” lo stato legittimo dell’immobile soltanto degli immobili le cui modifiche apportate non configurino variazioni essenziali nei termini suddetti e qualora non eseguite dall’attuale proprietario.

Sulla disposizione regionale disciplinante le variazioni essenziali si ritengono necessarie delle specificazioni in considerazione che:

  • ricorre al “volume utile dell’edificio”, espressione non in linea con le definizioni uniformi di cui all’allegato A dell’Intesa 20 ottobre 2016 che la Regione Veneto ha voluto recepire;
  • la sagoma dell’edificio non costituisce più un aspetto rilevante per la disciplina urbanistico-edilizia eccezion fatta per gli immobili che trovano disciplina nel d.lgs. n. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio;
  • nell’ambito della disciplina delle distanze tra costruzioni potrebbero assumere rilevanza due aspetti:
    • il principio di prevenzione, per cui la minor distanza tra le costruzioni rispetto a quelle normativamente definite (art. 873 c.c. e art. 9 del dm 1444/68) potrebbero derivare da una minor distanza dal confine per assenza di costruzioni nel fondo finitimo (Cfr. Cass. Civ. SS.UU. n. 10318/2016);
    • la maggior distanza prevista dal dm 1444/68, di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, per la giurisprudenza si applica direttamente senza “aspettare” il PRG. Contrariamente alla rubrica del decreto stesso, secondo la quale i limiti inderogabili dallo stesso fissati sarebbero da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, è qualificata norma primaria inderogabile e direttamente precettiva. Il fatto che sia la giurisprudenza a stabilirlo, occorrerà accertare da quando la diretta precettività ha assunto rilevanza, posto che anche una “norma di diritto vivente” dovrebbe disporre per l’avvenire e non essere retroattiva.

Ad ogni modo, se l’obiettivo regionale è quello di semplificare e dare certezza a situazioni relative a periodi particolari di disciplina dell’attività edilizia, sembra ragionevole ritenere, come si ribadirà nelle conclusioni, che lo stato legittimo degli immobili debba considerare soltanto attività costruttive e/o di modifica riconducibili alle regole vigenti secondo il principio tempus regit actum (nazionali, regionali, comunali) e relativamente ai predeterminati parametri dalle stesse considerati (es. indici fondiari, altezze, distanze, destinazioni d’uso, superfici, ecc.).

Infine, il primo comma conclude facendo salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi.

Il termine “validi” si ritiene possa dar adito a diverse interpretazioni, nel senso che potrebbe imporre la verifica della sua validità=efficacia quantomeno:

  • della non ricorrenza dei termini decadenziali normativamente previsti, e così come interpretati dalla giurisprudenza (circa la necessità o meno di provvedimento di declaratoria ovvero di operatività ope legis). In effetti: con il nuovo art. 31 della legge n. 1150/42, sostituito dall’art. 10 della legge n. 765/67, stabilisce:
    • la licenza edilizia non può avere validità superiore ad un anno; qualora entro tale termine i lavori non siano stati iniziati l’interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza.
    • L’entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.
  • circa la sussistenza o meno della “conditio sine qua non” posta dal medesimo nuovo articolo 31:
    • La concessione della licenza è comunque e in ogni caso subordinata alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte dei Comuni dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio o all’impegno dei privati di procedere all’attuazione delle medesima contemporaneamente alle costruzioni oggetto della licenza.

Dunque, l’espressione regionale sembra suggerire un accertamento probatorio, da documentare “adeguatamente” al fine di evitare la sua confutazione (ma su questo aspetto rilevante la legge regionale è silente), circa la validità=non decadenza + esistenza opere di urbanizzazione primaria; se così sarà la sua interpretazione, non sembra si sia prodotto una semplificazione, anzi tutt’altro.

4. Commento relativo al secondo comma

2. Lo stato legittimo di immobili realizzati in zone esterne ai centri abitati e alle zone di espansione previste da eventuali piani regolatori in epoca anteriore al 1° settembre 1967 è attestata dall’assetto dell'edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l'eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente.

Il secondo comma pare riferirsi alla situazione desumibile a contrariis di quanto disposto dall’originale art. 31 della legge n. 1150/42 secondo il quale:

Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificare la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del Comune.

e cioè che la licenza di costruzione non era richiesta:

  • in generale (nuove costruzioni, ampliamenti e modifiche) esternamente ai centri abitati;
  • per le modifiche delle costruzioni esistenti nei centri abitati qualora non relative alla struttura o all’aspetto;

in quanto costituente, verosimilmente, attività edilizia libera.

Tra le questioni maggiori relative al periodo considerato dal secondo comma, quella relativa alla definizione di “centro abitato” è sicuramente la principale, per il fatto che la legge del 1942 non lo ha mai definito, né richiesto una sua perimetrazione come poi avvenuto con la legge n. 765/1967 (cfr. 17 - che inserito l’art. 41-quinquies, comma 1, lett. a): ... se trattasi di edifici ricadenti in centri abitati, i cui perimetri sono definiti entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge con deliberazione del Consiglio Comunale ...).

Riguardo la norma è pacifico ritenere che si sia voluto imporre agli interessati di documentare, vieppiù oggi per allora, l’assetto dell’edificio che risultava realizzato entro il 1 settembre 1967.

Tuttavia, tralasciando il possibile errore sintattico “Lo stato legittimo ... è attestata”, si ritiene obscura l’espressione “dall’assetto dell’edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato”, e cioè entro il 1 settembre 1967.

Infatti, non è dato di capire cosa dover intendere per:

  • assetto dell’edificio realizzato entro quella data;
  • adeguatamente documentato.

Riguardo alla seconda espressione non è dato conoscere quali elementi o fatti potranno essere assunti per adeguatamente documentare l’assetto realizzato entro quella data, e quindi quali elementi/fatti assumono valore probatorio, vieppiù in considerazione che non vengono ritenuti “validi” gli eventuali titoli abilitativi rilasciati a norma di legge.

Relativamente all’assetto dell’edificio si presume sia da intendere lo “stato” in cui versava l’immobile entro la data indicata.

Per “realizzato” si potrebbe intendere finito/completato, come di norma accade per edifici costruiti lontanamente dalla data indicata, oppure, specie per gli edifici sorti “sul limitare” del 1 settembre 1967, lo stato materialmente/fisicamente presente a quella data, il quale potrebbe essere “parziale” rispetto al programma edificatorio.

Ad esempio, un edificio potrebbe risultare realizzato al grezzo, senza divisori interni, oppure realizzato nel solo piano terra in luogo dei due o tre previsti, e via elencando.

Obscura lex appare anche l’inciso finale “non assumendo efficacia l'eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente”, per il fatto che la legge non specifica quale sia l’epoca precedente: precedente alla realizzazione o precedente al 1 settembre 1967?

Ragionevole ritenere che “l’epoca precedente” da considerare sia da riferire ad un’epoca ulteriormente precedente al 1 settembre 1967, e ciò nel presupposto che, di norma, la disciplina urbanistico-edilizia viene ricondotta ai seguenti periodi:

  • ante legge n. 1150/1942. Questo periodo si caratterizza per la vigenza della legge n. 2359/1865, laddove ammetteva la formazione di piani regolatori edilizi (art. 86), ovvero delle leggi comunali e provinciali che consentivano ai Comuni di dotarsi di regolamenti edilizi e dei medesimi piani, ovvero della normativa tecnica seguita al terremoto del 28.12.1908, la quale invitava i Comuni a disciplinare nei regolamenti edilizi norme tecniche di buona costruzione anche nelle zone non colpite dal terremoto, e a far data dal 1935, di poter richiedere l’autorizzazione per svolgere attività edilizia;
  • post entrata in vigore legge n. 1150/1942 nel testo originario, fino alla modifica sostanziale apportata dalla legge “ponte” n. 765/1967;
  • post entrata in vigore della legge n. 765/1967, ovvero 1 settembre 1967, che ha modificato la legge n. 1150/42, fino all’entrata in vigore della legge n. 10/1977;
  • post entrata in vigore della legge n. 10/1977 fino all’entrata in vigore della legge n. 47/1985 (che ha diversamente disciplinato le difformità, variazioni e varianti), periodo che si è caratterizzato dall’intervento delle leggi regionali a seguito del DPR n. 616/1977 che ha dato applicazione al decentramento (legge delega n. 382/1975). In questo periodo occorre altresì considerare i diversi regimi giuridici introdotti con la legge n. 457/1978 e la legge n. 94/1982, di conversione con modifiche del decreto-legge n. 9/1982 (c.d. decreto Nicolazzi);
  • post entrata in vigore della legge n. 47/1985. Da considerare i diversi regimi giuridici stabiliti da diverse disposizioni normative, anche nell’ambito dello stesso testo unico edilizia di cui al DPR n. 380/2001 che ha “sostituito” detta legge.

La disposizione normativa, dunque, ammesso che ciò rientri nel “potere-competenza” di una legge regionale nell’ambito di una materia oggetto di potestà legislativa concorrente (ex art. 117, comma 3, Costituzione), non sembra rendere inefficaci gli eventuali titoli abilitativi rilasciati in vigenza dell’art. 31 della legge n. 1150/1942 (testo originario entrata in vigore).

5. Criticità

Dal dibattito consiliare e da alcune notizie stampa, la criticità maggiore sembrerebbe costituita dall’incostituzionalità qualora le disposizioni mascherassero, surrettiziamente e sotto il profilo amministrativo, un condono edilizio e cioè una sanatoria sia formale che sostanziale non tipizzata dal legislatore nazionale.

Per altri versi, di dubbia legittimità potrebbe essere anche il subordinare lo stato legittimo definito al primo comma ai soli immobili che non siano in proprietà dell’autore dell’abuso, in ragione del fatto che le sanzioni relative agli abusi non hanno carattere personale e punitivo, bensì oggettivo e riconosciuto nell’offesa arrecata al bene giuridico protetto.

Parimenti di dubbia legittimità potrebbe essere la disposizione volta a rendere inefficace ogni titolo abilitativo “previgente” ad una certa epoca anche se stabilito da piani o regolamenti.

6. Conclusioni

I tentativi normativi regionali e locali di semplificazione sembrano destinati a fallire in tutti i casi in cui si interviene sulle disposizioni di principio, e ciò per l’evidente ragione che si rischia (fortemente) il contrasto con la prevalente ed inderogabile legislazione nazionale.

Prendere consapevolezza che potrebbero essere le interpretazioni date alle norme di principio il vero problema, forse suggerirebbe il seguire una strada diversa in grado di concentrarsi a produrre disposizioni di dettaglio consideranti i precetti normativi succedutesi nel tempo.

L’attività edilizia risulta differentemente disciplinata dalla normativa nazionale, regionale e comunale nell’An, nel Quid e/o nel Quomodo per quanto riguarda il profilo sostanziale, e l’assoggettamento o meno a controllo autoritativo di conformità, inizialmente previsto con il solo provvedimento della PA (licenza, concessione e autorizzazione, ora permesso) in seguito ed ora anche nel tipo procedimentale (dapprima DIA, ora CIL, CILA, SCIA e SCIA Alternativa).

Le disposizioni di dettaglio, pertanto, potrebbero concentrarsi a specificare detta disciplina nelle suddette tre componenti al fine di individuare ciò che nei vari periodi (o epoche) aveva rilevanza giuridica tale da qualificare una realizzazione contra legem, sia in termini sostanziali sia in termini formali.

Per dirla altrimenti, si ritiene che in assenza di una normativa di disciplina dell’An, del Quid e/o del Quomodo, ovvero in presenza di una specifica normativa in tal senso, molti aspetti costruttivi perderebbero rilevanza giuridica in termini di abusività, senza dimenticare il fondamentale ruolo delle tolleranze costruttive e degli errori materiali del progetto.

Il Commento rappresenta una libera opinione del sottoscritto, con riserva di modifiche ad una più attenta e articolata disamina.

Arch. Romolo Balasso

© Riproduzione riservata

15-16/6/2021 Commento Tecnojus

Decreto-legge 77/2021 - nuovo comma 13-ter dell'art. 119: luci e ombre

1. La nuova disposizione normativa

Il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazioni e snellimento delle procedure (G.U. serie generale n. 129 del 31-05-2021), con l’art. 33, comma 1, lettera c), ha disposto la sostituzione del comma 13-ter dell’articolo 119 decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 1977, n. 77 (c.d. superbonus).

Il comma 13-ter previgente:

Al fine di semplificare la presentazione dei titoli abitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari, di cui all’articolo 9-bis del testo unico di cui al DPR n. 380/2001, e i relativi accertamenti dello sportello unico per l’edilizia sono riferite esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi.

risulta ora sostituito dal seguente:

Gli interventi di cui al presente articolo, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell'immobile oggetto d'intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. La presentazione della CILA non richiede l'attestazione dello stato legittimo di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Per gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio fiscale previsto dall'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti casi:
a) mancata presentazione della CILA;
b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;
c) assenza dell'attestazione dei dati di cui al secondo periodo;
d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14. Resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento
.

Dunque, con il decreto-legge n. 77/2021 (c.d. decreto semplificazione bis) il legislatore è intervenuto a disciplinare sotto il profilo edilizio gli interventi edilizi agevolati fiscalmente, ammessi cioè alla detrazione fiscale e specificatamente elencati nel decreto rilancio/superbonus.

Questo significa che la neo disciplina, da un lato non può trovare applicazione fuori dal campo prestabilito, dall'altro lato che perderà efficacia con la decadenza dei benefici previsti dalla normativa che la prevede e contiene, per cui la sua efficacia sarebbe temporanea/transitoria.

2. Commento relativo al primo periodo

Gli interventi di cui al presente articolo, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA).

La nuova norma prevede che tutti gli interventi ammessi alla detrazione fiscale "costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)".

Si prevede dunque che:

  • costituiscano manutenzione straordinaria anche gli interventi appartenenti, in via ordinaria, ad altra categoria edilizia, e cioè gli interventi di ristrutturazione edilizia, esclusi quelli di demo-ricostruzione (non è dato capire se sono esclusi anche quelli di ripristino di edifici crollati o demoliti), gli interventi di restauro e risanamento conservativo e, a rigore, anche quelli di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione urbanistica posto che soltanto la nuova costruzione sarebbe categoria di intervento esclusa;
  • il ricorso alla CILA è ammesso anche nel caso in cui la manutenzione straordinaria dovesse qualificarsi "pesante", a fronte delle novelle apportate alla disciplina edilizia del testo unico dal decreto semplificazioni n. 76/2020 (poi legge n. 120/2020), la quale è stata subordinata a SCIA ex art. 22 TUE.

Con questa disposizione normativa il legislatore ha compiuto due azioni:

  1. la prima di qualificazione/classificazione degli interventi: costituiscono manutenzione straordinaria eccetto la demo-ricostruzione:
  2. la seconda stabilendo per essi un unico regime giuridico: gli interventi previsti dal decreto rilancio/superbonus rientrano nel regime giuridico della CILA, quindi sia in termini procedimentale che sanzionatorio.

Il fatto, però, che si dica "sono realizzabili", anziché "sono realizzati", darebbe ad intendere che il ricorso alla CILA sia eventuale, ossia facoltativo; quel "realizzabili", infatti, sembra equivalere a "possono essere realizzati".

Qualora fosse una facoltà, sotto il profilo edilizio si determinerebbe la questione del regime giuridico applicabile nel caso in cui l'interessato dovesse prediligere il titolo abilitativo di "ordinaria" subordinazione, ossia una SCIA (art. 22, TUE), una SCIA alternativa (art. 23, TUE) o permesso di costruire ordinario (art. 10, TUE) o facoltativo in luogo della SCIA (art. 22, co. 7, TUE).

Dovendo ragionevolmente ritenere che la scelta del regime giuridico di un intervento non è stata lasciata nelle facoltà del privato interessato, la norma in commento va intesa come scelta legislativa del regime giuridico di subordinazione degli interventi agevolati, anche nel caso fosse lasciata al privato la facoltà di tipo procedimentale.

Il fatto che la norma presenti delle difficoltà interpretative a causa del suo lessico, credo sia biasimabile soprattutto per le possibili conseguenze future. Personalmente trovo anche inappropriata, sotto il profilo concettuale e disciplinare, la preposizione "mediante", e ciò nel convincimento che la mancata appropriatezza (terminologica e concettuale) è tra le cause o concause principali (se non la principale) di molte problematiche interpretative ed applicative delle norme.

Forse, meglio sarebbe stato se si fosse scritto:

Gli interventi di cui al presente articolo costituiscono interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e sono subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA).

Riguardo al campo di applicazione, tuttavia, dal tenore complessivo dell'articolato sembrerebbe che la qualificazione a manutenzione straordinaria soggetta a CILA riguardi soltanto gli interventi elencati e finalizzati a beneficiare della detrazione fiscale, e cioè quelli per i quali viene poi attivata la procedura dell'agevolazione-detrazione.

Per meglio esprimere il convincimento: se un intervento agevolato qualificantesi ristrutturazione edilizia senza demo-ricostruzione costituisce manutenzione straordinaria soggetta a CILA, anche nel caso in cui fosse “pesante”, soltanto se per tale intervento viene richiesta l'agevolazione-detrazione fiscale. In caso contrario rimarrebbe intervento di ristrutturazione edilizia leggera o pesante e subordinato a SCIA o a PdC.

Logica suggerisce che la qualificazione e il regime giuridico della CILA non trovi applicazione nel caso in cui, per i medesimi interventi, non si attivasse la procedura di agevolazione-detrazione fiscale.

In tal caso, però, la sussistenza di una "conditio sine qua non" richiederebbe un meccanismo accertativo, vieppiù opportuno, se non necessario, ai fini dello stato legittimo futuro dell'immobile/unità immobiliare.

A tal fine, potrebbe rilevare l’allegazione della ricevuta ENEA di avvenuta trasmissione di cui all’art. 3, comma 3, del decreto asseverazioni del 6 agosto 2020, ovvero della ricevuta ENEA di avvenuta trasmissione di cui all’art. 6, comma 1, lettera g) del decreto requisiti tecnici del 6 agosto 2020. In quest’ultimo caso, però, siccome la trasmissione all’ENEA deve avvenire entro novanta giorni dalla fine dei lavori, si determinerebbe uno scollamento temporale con la tempistica edilizia, dato anche che, qualora dovuta, la richiesta della segnalazione certificata di agibilità va presentata entro 15 giorni dalla fine lavori (cfr. art. 24, co. 2).

Anche questo ulteriore profilo interpretativo rende biasimabile la novella normativa. Forse, meglio sarebbe stato se si fosse scritto:

Costituiscono interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e sono subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), gli interventi di cui al presente articolo oggetto della richiesta dell’agevolazione fiscale ammessa, le cui ricevute di trasmissione previste dall’art. 3, comma 3, del decreto ministeriale 6 agosto 2020 relativo alle asseverazioni e dall’art. 6, comma 1, lettera g) del decreto ministeriale 6 agosto 2020 relativo ai requisiti tecnici, sono trasmesse al comune entro cinque giorni dal loro rilascio per costituire parte integrante del procedimento edilizio.

3. Commento relativo al secondo periodo

Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell'immobile oggetto d'intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967.

Questo secondo periodo, prevede l’attestazione nella CILA di alcuni dati, ovvero:

  1. gli estremi del titolo abilitativo:
    • che ha previsto la costruzione dell'immobile oggetto d'intervento;
    • o che ne ha consentito la legittimazione;
  2. ovvero che la costruzione è stata completata in data anteriore al 1 settembre 1967.

Come noto, la presentazione delle pratiche edilizie, siano esse CIL, CILA, SCIA, PdC o SCIA alternativa, deve avvenire tramite modulistica unificata deliberata in Conferenza Unificata e poi dalle singole Regioni, per cui sarà da capire se i moduli dovranno essere integrati oppure contenere l’attestazione richiesta.

Del precetto rilevano tre profili di criticità, e cioè il fatto che:

  • non viene indicato il soggetto obbligato ad attestare. Nei moduli adottati in Conferenza unificata l’indicazione dei titoli abilitativi riguardanti l’immobile oggetto di intervento è posta come dichiarazione del segnalante/richiedente. Gli stessi moduli non prevedono l’opzione “ante 1967”, bensì di “remota costruzione”, tanto che, in assenza dei titoli abilitativi è richiesto di dichiarare la corrispondenza dello stato di fatto con il primo accatastamento;
  • sia diversamente richiesto, per quanto riguarda l’indicazione dei titoli abilitativi, il completamento della costruzione anteriormente al 1 settembre 1967. Prima dell’entrata in vigore della legge 765/1967, che ha disposto la sostituzione dell’art. 31 della legge n. 1150/42, era comunque richiesta la licenza di costruzione per l’esecuzione di talune attività nell’ambito dei centri abitati o nei comuni dotati di PRG.
  • sia richiesto di attestare il completamento della costruzione anteriormente al 1 settembre 1967, nonostante la predetta legge n. 765/67 non richiedesse la licenza edilizia per le attività edilizie in corso di esecuzione e non ancora ultimate alla data sua entrata in vigore. In ogni caso, non è dato capire cosa dover intendere per “completamento” e come provare tale stato. Giova in proposito ricordare che la legge sul condono edilizio (n. 47/1985) considerava le costruzioni ultimate al rustico, mentre per il testo unico edilizia, ai fini della validità del permesso di costruire, il termine dei lavori coincide con il completamento dell’opera tale da acquisire l’agibilità, da presentare entro 15 giorni dal fine lavori.

Forse, meglio sarebbe stato se si fosse scritto:

Nella relazione di cui all’articolo 6-bis, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono altresì attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell'immobile oggetto d'intervento o che ne ha legittimato la stessa, ovvero, nel caso in cui non fosse obbligatorio acquisire un titolo abilitativo edilizio, che l’anno di realizzazione o di inizio lavori è anteriore al 1 settembre 1967.

4. Commento relativo al terzo periodo

La presentazione della CILA non richiede l'attestazione dello stato legittimo di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

La presentazione delle pratiche edilizie, siano esse CIL, CILA, SCIA, PdC o SCIA alternativa, come noto, deve avvenire tramite modulistica unificata deliberata in Conferenza Unificata e poi dalle singole Regioni; per la maggior parte detta presentazione avviene tramite procedure telematiche del SUAP ed in particolare attraverso il portale impresainungiorno.gov.it, per cui occorrerà capire se il modulo CILA risulterà adeguato alla nuova disposizione.

In ogni caso si osserva che nel comma 1-bis dell’art. 9-bis del testo unico edilizia non si rinviene alcuna richiesta di attestazione dello stato legittimo, bensì una “definizione” di tale stato, ovvero i documenti probanti il medesimo:

1-bis. Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

La precisazione normativa in commento si ritiene di difficile comprensione nonostante la vox populi che ricorre nel web, secondo la quale il legislatore, con siffatta disposizione, avrebbe esonerato la verifica di legittimità dell’immobile o unità immobiliare oggetto di intervento.

In proposito si ritiene opportuno evidenziare una “costante ... affermazione” della Terza Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale “sarebbero idonee ad assumere rilievo penale anche mere condotte manutentive” in quanto “in tema di reati edilizi, qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio su cui si interviene sia stato costruito legittimamente” (cfr., da ultima, sentenza 8 ottobre 2020, n. 27993).

Se lo stato legittimo dell’immobile risulta essere conditio sine qua non della legittimità di qualsiasi intervento successivo (quantomeno sul piano sostanziale, se non anche formale), forse sarebbe stato opportuno se nella novella normativa non si fosse scritto nulla in proposito o si fosse scritto diversamente.

Di certo, per quanto la novella si possa ritenere straordinaria, si dubita alquanto che un intervento agevolato reso legittimo ex lege, a prescindere dallo stato di legittimità dell’immobile oggetto dell’intervento stesso, possa “bypassare” eventuali abusività non ancora represse, magari semplificandone la sanatoria o la fiscalizzazione (anche se a peso d’oro?).

5. Commento relativo al quarto periodo

Per gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio fiscale previsto dall'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti casi:

a) mancata presentazione della CILA;
b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;
c) assenza dell'attestazione dei dati di cui al secondo periodo;
d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14. Resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento.

La disposizione suddetta colpisce perché il legislatore scrive "la decadenza del beneficio fiscale previsto dall'articolo 49 opera esclusivamente ..." ciò in quanto porta ad intendere che l'art. 49 del TUE preveda il beneficio fiscale. Ovviamente non è così perché l'art. 49 disciplina la decadenza dal beneficio fiscale riconosciuto dalle norme vigenti.

Forse il legislatore voleva dire "la decadenza dal beneficio fiscale prevista dall'articolo 49 opera esclusivamente ...".

In ogni caso, si fatica capire se la suddetta disposizione:

  1. sostituisce tout-court le condizioni previste dall'art. 49 ai fini della decadenza dalle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti;
  2. oppure sostituisce dette condizioni soltanto nei casi di interventi "autorizzati" con CILA, generando così un "doppio" regime.

Il fatto che l'art. 49 consideri, tra le condizioni decadenziali, anche:

- un titolo successivamente annullato;

- interventi realizzati in contrasto con il titolo;

nel caso di CILA l'annullamento non sembra possibile in quanto "titolo" non provvedimentale; non si tratta infatti di un provvedimento amministrativo rilasciato dalla P.A. soggetto ad annullamento anche d’ufficio (pure la SCIA non è un provvedimento ai sensi dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990).

La “difformità” dalla CILA, inoltre, non risulta contemplata dal testo unico edilizia (art. 6-bis), tanto che ogni scostamento (giuridicamente rilevante) prodotto in fase esecutiva rispetto alle previsioni comunicate, sempreché l'intervento rimanga nel campo di subordinazione della CILA, configura un intervento (diverso) eseguito in assenza di CILA e come sanzionabile solo pecuniariamente ai sensi del comma 5, dell'art. 6-bis del TUE.

Ad ogni modo, non è dato di capire se le tolleranze costruttive di cui all'art. 34-bis (dimensionali e geometriche) siano da considerare o meno nelle “difformità”, anche considerando che per l'art. 49, il contrasto dal titolo rilevante giuridicamente ai fini della decadenza è soltanto quello dimensionale del 2% riferito a specifici parametri dimensionali.

Dal significato pratico oscuro si ritiene essere l'inciso del secondo periodo della lettera d): "resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento".

Anzi, riprendendo il commento precedente, se resta impregiudicata l’azione di vigilanza sull’attività edilizia, con l’eventuale accertamento di illegittimità dell’immobile per fatti precedenti l’intervento agevolato oggetto di CILA, nel su ricordato indirizzo giurisprudenziale, anche l’intervento agevolato di per sé legittimo su un fabbricato che non versi in stato legittimo diventerà gioco forza illegittimo.

Si tratta inoltre di una disposizione che sembra in contraddizione con quella precedente, laddove non richiede l'attestazione dello stato legittimo relativamente all'immobile e/o unità immobiliare oggetto di intervento agevolato subordinato a CILA.

Forse, meglio sarebbe stato se si fosse scritto:

La decadenza dal beneficio fiscale previsto dalla presente legge, oltre all’ipotesi prevista dal successivo comma 14, ricorre nei casi previsti dal primo comma dell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, i quali si configurano per:
a) mancata presentazione della CILA;
b) realizzazione dell’intervento in contrasto con la CILA, non costituendo contrasto il riscontro delle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del D.P.R: 6 giugno 2001, n. 380, le quali, se sussistenti, devono essere dichiarate dal tecnico abilitato nella comunicazione di fine lavori;
c) mancata attestazione dei dati di cui al secondo periodo del presente comma;

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

8/6/2021 abusi edilizi

Sulla "miriade" di piccoli abusi (insanabili) che "inchiodano" l'edilizia

Il 3 giugno u.s. leggo su Facebook di un "amico/a" un suo post che condivide quello del 2 giugno scritto da un avvocato, mio conoscente, col quale non ci frequentiamo da molto tempo ma che ritengo sia sempre come l'ho conosciuto e cioè molto competente e serio, e che ancora stimo.

Il suo post aveva (ed ha) un titolo emblematico "Superbonus e prese per i fondelli", il cui contenuto asserisce, in sintesi, che milioni di italiani con la casa "affetta" da piccole difformità dal punto di vista edilizio e urbanistico, magari risalenti anche a 50 anni fa, si ritrovano in difficoltà in caso di vendita o di interventi per accedere ai superbonus.

Secondo lui, ciò deriverebbe da una ipocrisia imperante e da un'ignoranza tecnica della classe politica che impediscono di risolvere il problema "abusi", "piccoli abusi".

Il post mi è sembrato uno sfogo dovuto, come scrive, verosimilmente alla processione di persone che si rivolge al suo ufficio inchiodate con i problemi generati da una miriade di piccoli abusi insanabili.

Personalmente, almeno dall'esperienza professionale maturata in ambito consulenziale (stragiudiziale e giudiziale, penale e civile), oltre che nel redigere le seconde edizioni dei volumi Abusi edilizi e Sanare gli abusi edilizi, penso che per una parte dei "piccoli abusi insanabili" sia effettivamente come dice lui, manchi cioè la volontà o esista la paura politica di risolverli, ma per altra parte, ritengo invece ci sia un problema di fondo: si "vedono" abusi dappertutto, specie nelle costruzioni "datate" (anni 70, 60, 50 ed anche oltre).

Per dirla diversamente e forse meglio, credo che molti di quelli che vengono "oggi" ritenuti abusi edilizi non lo siano per niente, per il fatto che si "leggono" le regole del passato con concetti (tecnico-giuridici) che non appartengono a quel tempo, oppure ricorrendo a concetti grossolani, senza fare i necessari "distinguo".

Per fare un esempio, se dovessimo valutare la sicurezza statica-sismica delle costruzioni con le norme tecniche per le costruzioni vigenti in un momento successivo di quello della loro realizzazione, e più in particolare quelle oggi vigenti, presumo che poche o nessuna delle "vecchie" costruzioni sia "sicura" pur risultando legittima.

Per parlare di abuso edilizio occorre il compimento di una violazione edilizia (per usare l'espressione coniata dal legislatore nell'art. 34-bis del testo unico che parla di tolleranze costruttive), e cioè una violazione di una (specifica) norma giuridica, ma non sempre accade questo.

Perchè ci sia violazione edilizia, infatti, risulta necessaria almeno una di queste condizioni:

  1. realizzazione di un'attività edilizia in assenza del prescritto titolo abilitativo edilizio, richiesto dalla normativa vigente al momento della sua esecuzione. Ma non tutte le attività edilizie richiedevano/richiedono il titolo abilitativo o il medesimo titolo abilitativo. A questo occorre aggiungere che nel tempo una stessa attività risulta subordinata a titoli abilitativi differenti quanto a regime giuridico;
  2. realizzazione di un'attività edilizia in difformità dal titolo abilitativo edilizio (quindi in assenza del titolo richiesto per attuare o per aver attuato delle modifiche). In questo caso, come dirò oltre, non tutte le modifiche determinavano e/o determinano una difformità=violazione edilizia;
  3. realizzazione di un'attività edilizia non rispondente/conforme alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni/previsioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi (queste ultime mi sembrano scarsamente approfondite, tanto che non capisco ancora se sono le "prescrizioni" o condizioni apposte, quale elemento accidentale, al provvedimento ammnistrativo, oppure se riguardano il quomodo concreto dell'edificazione dei parametri e delle prescrizioni contenuti nelle normative).

Il problema della "miriade" di piccoli o grandi abusi, credo possa dipendere molto dal fatto che si attribuisce rilevanza giuridica ad ogni attività edilizia e/o ad ogni modifica al progetto autorizzato e/o, ancora, agli errori di fatto/approssimazioni del progetto e/o dell'esecuzione (specie quando i due atti, progetto ed esecuzione, non disponevano delle strumentazioni attuali).

In questo modo non sarebbe il fatto costruttivo in sè ad avere rilevanza, in quanto non ce l'avrebbe in radice o non ce l'aveva al tempo della realizzazione, bensì la assume a seguito di un "giudizio" grossolano e frettoloso, nel quale si fa di tutta un'erba un fascio.

Del resto, se l'attività edilizia è stata regolata nell'an, nel quid e nel quomodo, e cioè nel se è ammessa, di quale tipo e in quale modo (come) deve essere eseguita, penso sia ragionevole dedurre che quelle "regole" sono state dettate per perseguire almeno uno scopo, un fine, e cioè la tutela dell'interesse generale (pubblico), dell'interesse urbanistico e via dicendo (quali la tutela del territorio, della sicurezza, dell'igiene e salubrità, del paesaggio, ecc.). Ritengo ragionevole ritenere che tra regola costruttiva e fine perseguito debba comunque esistere un nesso di causa/effetto, determinato o determinabile.

Per aversi violazione edilizia, a mio parere, è dunque necessario accertare le regole che dovevano trovare applicazione e che, invece, sono state violate (anche per una loro mancata considerazione), e cioè le regole che, per conseguire dette finalità, si sostanziano in prescrizioni/previsioni sul come deve/può essere la caratterizzazione planovolumetrica o tipologica della costruzione, oppure sul come deve/può essere la sua estetica (es. in termini di numero e posizionamento delle finestre in facciata), o ancora norme relative all'obbligo di prevedere una distribuzione di locali interni (anzichè un open space), o della posizione di divisori, porte interne e via elencando. Non reputo concepibile che la posizione delle porte, per continuare negli esempi, costituisca una tolleranza costruttiva (e quindi una non violazione edilizia) se quella loro posizione non trova riscontro in una norma volta a tutelare un particolare interesse/bene giuridico!

Possibilissimo che una finestra, per fare un ulteriore esempio, possa risultare eseguita in dimensioni e/o in posizione diverse da quelle indicate nel progetto, ma la "variante/variazione", per risultare giuridicamente rilevante e costituire violazione edilizia, credo richieda di essere ricondotta ad una specifica disposizione legislativa/regolamentare in tal senso, in quanto adottata, ripeto, per il fine pubblicistico che ha imposto di disciplinare (limitare) l'attività edilizia sotto tale aspetto.

Ancora per dirla altrimenti e forse meglio, ritengo che la rilevanza giuridica di un fatto costruttivo debba trovare riscontro in una norma legislativa o regolamentare protesa, anche in via di principio (oggi si direbbe in termini esigenziali-prestazionali), a tutelare un determinato bene giuridico o bene di interesse giuridico o valore (es. il decoro urbano o l'aspetto esteriore), senza per forza arrivare a dettagli descrittivi-oggettuali (es. per quanto concerne le forometrie, definire rapporti vuoti/pieno, metrica di facciata, dimensioni minime/massime dei fori, ecc.).

Quindi, difformità, totali o parziali, variazioni essenziali e varianti di vario genere non penso possano essere concetti totalmente astratti ed omnicomprensivi ma occorre riferirli ad una specifica norma (volta a tutelare un particolare aspetto costruttivo).

Su questi temi e problematiche ho redatto alcuni "Quaderni Tecnojus" (al momento sono due: uno sullo Stato legittimo l'altro sulle Tolleranze costruttive), i quali dovrebbero essere pubblicati a breve da una casa editrice; in caso contrario troverò il modo di pubblicarli altrimenti.

Come Centro Studi Tecnojus stiamo adottando anche un documento volto ad auspicare una redazione del "nuovo" testo unico edilizia in termini esigenziali-prestazionali, abbandonando il modello vigente, vieppiù molte volte rimaneggiato, perché anche i testi normativi hanno la loro fondamentale importanza, e nel caso dell'edilizia e dell'urbanistica ritengo sia necessaria una rigenerazione normativa (tanto per restare in tema!).

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

3/6/2021 decreto-legge n. 77/2021

Modificato (ancora) l'art. 119 del decreto rilancio (superbonus)

Dalle notizie stampa (online) sembrava arrivasse un decreto con novità eclatanti, soprattutto nella materia "edilizia" e più in particolare la fine della "doppia conformità".

Se questo sbandierato decreto è quello in commento, mi sembra di aver guardato un cartone di Willy coyote e Beep Beep (Bip Bip), le cui spettacolari e rovinose cadute del primo si concludono con un misero puff.

Ad ogni modo, il decreto-legge pubblicato in GU n. 129 del 31 maggio u.s., dal nome altisonante "Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure", per quanto concerne l'edilizia riserva solo l'art. 33 e limitatamente al superbonus di cui al decreto rilancio n. 34/2020.

Tuttavia, vi sono altre disposizioni di interesse, ovvero:

CAPO II Valutazione di impatto ambientale di competenza regionale
CAPO III Competenza in materia di VIA, monitoraggio e interpello ambientale
Capo IV Valutazione ambientale strategica
Capo VII Efficientamento energetico

nonché il pluri-modificato Codice "Cantone" (cfr. Titolo IV Contratti pubblici).

Per quanto riguarda il Superbonus, fondamentalmente, questo risulta essere stato "esteso" anche ad altre costruzioni (cfr. l'aggiunta del periodo al comma 4) ed è stato sostituito il comma 13-ter dell'art. 119, il quale

da

Al fine di semplificare la presentazione dei titoli abitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari, di cui all’articolo 9-bis del testo unico di cui al DPR n. 380/2001, e i relativi accertamenti dello sportello unico per l’edilizia sono riferite esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi.

a

Gli interventi di cui al presente articolo, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell'immobile oggetto d'intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. La presentazione della CILA non richiede l'attestazione dello stato legittimo di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Per gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio fiscale previsto dall'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti casi:
a) mancata presentazione della CILA;
b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;
c) assenza dell'attestazione dei dati di cui al secondo periodo;
d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14. Resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento
.

Sulla novella, che definirei ancora "oscura" negli aspetti applicativi pratici, dovremo attendere ancora qualche ulteriore indicazione (forse una nuova circolare congiunta?) per poter svolgere un approfondimento tecnico-giuridico.

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

22/4/2021 Sentenza Corte Costituzionale n. 77/2021

NO alla L.R. Veneto n. 50/2019 c.d. di "mini condono"

Con la sentenza depositata il 21 aprile (ieri), la Consulta ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale, come peraltro avevamo supposto (vedi post del 26 febbraio 2020), relative alla legge regionale Veneto n. 50/2019, nota come "mini condono".

Infatti In tema di condono edilizio, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum, ossia la decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario, quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria e infine l’individuazione delle volumetrie massime condonabili (sentenza n. 70 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 208 del 2019, n. 68 del 2018 e n. 73 del 2017).

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

1/4/2021 Sentenza Corte Costituzionale n. 54/2021

OK alla L.R. Veneto n. 51/2019 recupero sottotetti ma no SCIA

Con la sentenza depositata il 31 marzo (ieri), la Consulta ha ritenuto fondata, tra le varie questioni sollevate, solo quella riguardante il titolo abilitativo (come peraltro avevamo supposto nel nostro post del 26 febbraio 2020).

 

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

8/2/2021 Decreto-legge n. 76/2020 - legge n. 120/2020

Le tolleranze costruttive di cui all'art. 34-bis del TUE

Tra le novità maggiormente significative del decreto semplificazioni sono da includere le tolleranze costruttive/esecutive, la cui disciplina è data dal neo art. 34-bis del testo unico edilizia.

Si tratta di due "categorie" di tolleranze:

  1. tolleranze dimensionali di cui al comma 1: sono le tolleranze precedentemente espresse dall'art. 34, comma 2-ter, riferire alle parziali difformità, per cui ora i mancati rispetti (e non più "violazioni") di altezza, distacchi, cubatura e superficie coperta per singola unità immobiliare, se contenuti entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo non costituiscono violazione edilizia;
  2. tolleranze geometriche e di altro tipo di cui al comma 2; in questo caso, le tolleranze esecutive non costituenti violazione edilizia sono riferite alle irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.

Si tratta di tolleranze costruttive/esecutive non costituenti violazione edilizia che, ai fini dello stato legittimo degli immobili/unità immobiliari, devono essere dichiarati dal tecnico abilitato nelle modulistiche relative a nuove comunizazioni, segnalazioni o richieste di permessi di costruire (cfr. comma 3).

Dalle segnalazioni pervenuteci, le questioni maggiormente rilevanti sembrano essere:

  • quali altri parametri sono da ricomprendere nel comma 1, posto che la giurisprudenza avrebbe escluso la distanza tra costruzioni e la distanza delle costruzioni dai confini;
  • quali siano le irregolarità geometriche da considerare nelle tolleranze del comma 2, quali le modifiche alle finiture degli edifici, le opere interne e gli impianti;
  • quando si può ritenere sussistente la "minima entità";
  • quale disciplina urbanistico-edilizia occorre considerare nel caso di immobili/interventi risalenti nel tempo, ovvero se in tal caso occorre considerare la c.d. doppia conformità.

Sull'argomento stiamo preparando un webinar dedicato, ad ogni modo si possono anricipare alcune riflessioni:

  • parametro dovrebbe essere ogni valore misurabile che può essere confrontato, sia in termini lineari, di superficie e di volume, ovvero un rapporto tra valori; in via teorica dovrebbero rientrare anche le misure angolari (es, per pendenze, inclinazioni, ecc.);
  • per le irregolarità geometriche, invece, si dovrebbe fare riferimento a materie "affini", quali la meccanica, nell'ambito della quale rilevano: forma, posizione e orientamento;
  • per le finiture, soprattutto se interne agl edifici, si fatica a comprendere la loro inclusione in quanto, di norma, rientrano nell'ambito della manutenzione ordinaria che, come noto, costituisce attività edilizia libera;
  • la diversa collocazione delle opere interne, infine, potrebbe riguardare l'intera distribuzione interna delle singole unità abitative, in quanto non costituenti variazioni essenziali (cfr. art. 32, comma 2) e se relative alle opere non strutturali; in tal caso, infatti, non si ricaderebbe nella manutenzione straordinaria o nella ristrutturazione edilizia leggera, come già accadeva un tempo per le opere interne ex art. 26 della legge n. 47/1985 (qualora "non comportino modifiche della sagoma della costruzione, dei prospetti né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile");

Purtroppo, la "minima entità" non è un dato oggettivo, ovvero oggettivabile sotto il profilo tecnico, per cui sembra costituire un mero giudizio caratterizzato da discrezionalità, e come tale sindacabile dalla P.A. o dal Giudice. Ritengo sia uno degli aspetti più importanti che richiedono di avere un chiarimento istituzionale, visto che si richiede una dichiarazione del tecnico abilitato.

Non si può escludere, infine, che, in via prudenziale, la disciplina da considerare sia quella vigente nei due momenti (come fosse una sorta di sanatoria), ossia al momento della loro esecuzione e nel momento in cui viene dichiarata la sussistenza.

Maggiormente problematica, invece, potrebbe risultare l'ultima condizione (non pregiudicare l'agibilità), nel caso di immobili datati che ne siano privi, posto che al contrario, e cioè l'esistenza del certificato, il problema non dovrebbe sussistere (sempreché le modifiche risultavano presenti all'atto dell'agibilità), per il fatto che nel caso di immobili datati manca ancora il decreto di cui all'art. 24, comma 7-bis, inserito sempre dal decreto semplificazioni (e chissà quando arriverà).

Ad ogni modo, ritengo più che opportuno un "ripensamento" delle tolleranze in senso tecnico, posto che il progetto e le normative prescriventi misure, debbono ritenersi "dati nominali", per il fatto che ogni esecuzione sconta degli scostamenti dimensionali e geometrici per una serie di fattori ed errori (ben nota iin materia è la teoria degli errori), non ultimi quelli riguardanti la misurazione stessa.

Ricordo in proposito che la misurazione è un atto tecnico (i rilievi geometrici sono atti riservati a certe professioni) proprio perchè il risultato da ritenere vero è solo quello di un certo tipo (ossia considerando gli errori, eccetera).

In ambito tecnico, in buona sostanza, le tolleranze si pongono come necessità (per gli inevitabili errori realizzativi che si compiono osservando le regole dell'arte) e come opportunità di avere determinati valori delle stesse (per evitare dispendiose, inutili o scarsamente utili - rispetto alle tutele pubblicistiche - livelli di accuratezza e precisione esecutiva).

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

3/12/2020 Decreto-legge n. 76/2020 - legge n. 120/2020

Circolare ministeriale congiunta del 2 dicembre su edilizia

Sul sito del Ministro per la Pubblica Amministrazione è scaricabile la circolare congiunta con il MIT sul decreto semplificazioni n. 76/2020 per quanto riguarda le modifiche al testo unico edilizia.

Dal link sottostante si accede alla pagina nella quale è riportata e da dove si può scaricare.

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

2/12/2020 Considerazioni

Agibilità, titolo abilitativo edilizio e stato legittimo degli immobili

In questi giorni sono stato reso partecipe del fatto che si sta diffondendo presso le PA l'opportunità di adottare un regolamento "integrativo" di quello edilizio, se non una variante-adeguamento del regolamento edilizio stesso, per "regolare" lo stato legittimo degli immobili "datati" (ante 1977), dotati di certificato di abitabilità rilasciato su stato difforme dalla licenza edilizia rilasciata (post 1967).

Da quanto ho potuto constatare, una tale regolazione prende spunto da iniziative già adottate in alcuni comuni toscani, richiedenti il deposito dello stato legittimo (ved. estratto parziale di esempio, in particolare per il punto 2, lett. a))

Detti regolamenti, a quanto pare, considerano il certificato di abitabilità rilasciato con sopralluogo dell'Ufficio Tecnico Comunale, un provvedimento attestante la conformità urbanistico-edilizia di quanto realizzato qualora lo stato documentato all'atto del suo rilascio non corrispondeva al progetto autorizzato, all'unica condizione di non costituire totale difformità.

Queste iniziative comunali disciplinerebbero, di fatto, lo stato legittimo degli immobili per difformità ricomprese tra le tolleranze costruttive ex art. 34-bis del testo unico edilizia, commi 1 e 2 e la totale difformità (quindi, per parziali difformità e variazioni essenziali), in verosimile contrasto con il comma 1-bis dell'art. 9-bis del TUE.

Comunque sia, ritengo che così regolando si riproponga la questione del rapporto tra abitabilità e titolo abilitativo edilizio, il quale è così univocamente inteso dalla giurisprudenza amministrativa:

[Consiglio di Stato n. 316/2020] I certificati di agibilità hanno la funzione di accertare che l’edificio sia stato realizzato nel rispetto di norme tecniche quali la sicurezza, l’igiene, la salubrità (art. 24 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380). I titoli edilizi autorizzano la realizzazione delle opere.

A tale proposito, questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che: «il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l'art. 24 del Testo unico dell'edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio», con la conseguenza che «i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza» (Consiglio di Stato, V, 29 maggio 2018, n. 3212).

E' pur vero che sin dal RD n. 1265/1934 il rilascio dell'abitabilià/agibilità era condizionato alla conformità delle opere al progetto presentato/approvato, per cui, nel caso di rilascio del certificato su stato "palesemente" difforme dall'autorizzato sorgerebbero dubbi sulla legittimità del certificato stesso. Tuttavia la giurisprudenza sembra aver mantenuto una linea più "morbida", nel senso di "limitare" le conformità ai soli aspetti igienico-sanitari, oppure:

[Consiglio di Stato n. 3631/2020] Occorre peraltro rammentare che, ai sensi dell’art. 24 d.P.R. 380/2001:

- la richiesta di certificato di agibilità presuppone necessariamente la “conformità delle opere realizzate al progetto approvato”, dato che la richiesta deve essere corredata da una dichiarazione resa in tal senso dell’interessato;

- sussiste inevitabilmente un collegamento funzionale tra i due provvedimenti, atteso che il rilascio del certificato di agibilità presuppone la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo strumento urbanistico (cfr., sul punto, Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2018 n. 3212);

- va, dunque, negato il rilascio del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio rilasciato (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. V, 16 ottobre 2013 n. 5025) e conseguentemente va anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di costruire possano condizionare quelle del certificato di agibilità.

Tali conclusioni non sono infirmate dal fatto che il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che “i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza” (così, in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 13 marzo 2014 n. 1220).

Come ho avuto modo di approfondire nel mio libro sulla SCA, edito da Grafill in II edizione cartacea aggiornata a novembre 2020 (in libreria proprio in questi giorni), forse il percorso argomentativo di non considerare "difformità" rilevanti sotto il profilo urbansitico-edilizio, in pendenza di un certificato di agibilità rilasciato su un predeterminato stato difforme da quello autorizzato con il titolo abilitativo, per quanto riguarda gli immobili ante 1977, ritengo sia possibile (ed auspicabile) ma senza "entrare" in "scivolose" qualificazioni sulla natura degli atti.

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

11/11/2020 Iniziativa Tecnojus - Accademia Tecnojus

Nuova iniziativa: "mini webinar informativi

Il Centro Studi Tecnojus, nel dar vita al progetto editoriale "Accademia Tecnojus", a partire da oggi inizierà a pubblicare sul proprio canale Youtube con accessibilità dal presente sito, una serie di "mini-webinar" (di pochi minuti - massimo 15), per illustrare dettati normativi o sentenze, commenti, approfondimenti su singoli aspetti, risposte a quesiti.

Si tratta di video "tutorial" che saranno poi accessibili dal solo sito di Accademia Tecnojus, in quanto correlati con una normativa o un suo articolo.

Questo il video registrato di presentazione dell'inziativa.

Questo, invece, il primo webinar di illustrazione del decreto-legge semplificazioni n. 76/2020.

Buona visione

Arch. Romolo Balasso

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

10/11/2020 Commento Tecnojus

La ristrutturazione edilizia per la sentenza n. 70/2020 della Consulta

La disciplina della ristrutturazione edilizia così come vista dalla Corte Costituzionale (sentenza del 24 aprile 2020, n.70); quasi un’anticipazione del decreto semplificazione e della relativa legge di conversione.

La sentenza della Corte meglio precisata in epigrafe costituisce un punto di non ritorno rispetto alla disciplina del piano casa e ai concetti di demolizione e ricostruzione di interi edifici legittimi.

Lo scenario giurisprudenziale è importante anche per comprendere il successivo intervento normativo del decreto semplificazione che ha ben chiara la situazione che si è delineata in materia dopo l’intesa Stato regioni del 2009 che prevedeva la demolizione e ricostruzione con premialità, ma in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi.

Per comprenderne la portata occorre fare riferimento all’oggetto degli interventi ovvero alla cosiddetta ristrutturazione edilizia – categoria disciplinata in origine fin dal 1978 quando s’introdusse nell’ordinamento la definizione giuridica anche di altre categorie d’intervento edilizio tese a disciplinare la manutenzione ordinaria, straordinaria, il risanamento conservativo ed il restauro, la ristrutturazione urbanistica e quindi anche la ristrutturazione edilizia.

La categoria della ristrutturazione edilizia prevista dal T.U. n. 380/2001 (art. 3, comma 1, lett. d) ha subito diverse modifiche quanto al contenuto degli interventi comportando una sua diversa configurazione rispetto a quella prevista dall’art. 10 dello stesso T.U..

In estrema sintesi possiamo sostenere che, mentre l’art. 3 citato riguarda la cosiddetta ristrutturazione edilizia “leggera”, l’art. 10 riguarda quella definita “pesante”.

Per consentire una lettura più agevole rinvio al commento completo in formato file pdf che potete scaricare.

Avv. Pierfrancesco Zen

Vice Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

23/10/2020

Decreto "semplificazioni" e le modifiche al testo unico edilizia - questioni

Sia in un recente webinar partecipato presso l'Ordine architetti di Verona, sia presso il sito lavoripubblici.it di Grafill (digital learning), sia anche in diversi altri siti qualificati vengono evidenziate questioni interpretative sulle novelle normative apportate al testo unico edilizia (DPR n. 380/2001), soprattutto di taluni termini e locuzioni.

Per riportare quelle maggiormente ricorrenti, infatti, molti si interrogano sul significato che possono assumere:

  • le caratteristiche planivolumetriche riportate nella rivista definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, lettera d); soprattutto in relazione alla nozione di sagoma data dalle definizioni uniformi al RET (cfr. allegato A, voce 18, dove si dice che la sagoma è la conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra ...);
  • le caratteristiche tipologiche, sempre riportate nella medesima definizione di ristrutturazione edilizia ex art. 3, lett. d), mancando una definizione legale di "tipologia";
  • gli incrementi di volumetria, riportati anch'essi nell'ambito della stessa definizione di ristrutturazione edilizia, se sono da ritenere "inclusi" nella ristrutturazione qualora relativi ai casi indicati, a prescindere dall'entità/quantità, oppure se vi sono limiti quantitativi, oppure ancora se hanno il solo fine di non far perdere all'intervento su esistente la qualificazione di ristrutturazione edilizia;
  • i prospetti, citati sia nella definizione degli interventi di manutenzione straordinaria art. 3, lett. b), che in quelli di ristrutturazione edilizia art. 3, lett. d);
  • quale altezza e cubatura devono essere considerate al fine che non costituiscano violazione edilizia ai sensi dell'art. 34-bis, comma 1, nel caso in cui il loro mancato rispetto sia inferiore al 2 delle misure previste nel titolo abiltativo;
  • quale ogni altro parametro dovrà essere considerato, fermo restando che non si dispone di una definizione legale di "parametro" e non è dato capire, già nelle previsioni previgenti, come si possano riferire, come la superficie coperta, alle singole unità immobiliari;
  • le irregolarità geometriche di cui all'art. 34-bis, costituenti tolleranze esecutive qualora di "minima entità", concetto a sua volta indeterminato.

Si tratta di interrogativi che ripropongono, a mio parere, una questione di fondo, e cioè il rapporto tra la disciplina giuridica dell'edilizia/urbanistica e quella "tecnica", in considerazione che la prima ricorre necessariamente a nozioni "tecniche", non sempre uniformi, e perfino adottando definizioni legali "autonome".

Su questo aspetto sto sottoponendo al Centro Studi Tecnojus un approfondimento, al fine che diventi un atto del Centro Studi stesso da rendere poi disponibile attraverso i canali di Accademia Tecnojus e/o degli organismi istituzionali, professionali e categoriali con i quali abbiamo un accordo di partneship.

Stiamo infatti registrando dei "videopodcast" di pochi minuti (mini webinar asincroni da 5-10 minuti, massimo 15), per consentire un ascolto e una visione (di slide a supporto), relativamente ad approfondimenti e commenti normativi e/o giurisprudenziali ritenuti maggiormente significativi.

Colgo l'occasione per invitare i lettori di segnalare/indicare "casi", per ora attraverso il nostro indirizzo email info@tecnojus.it (visto che la piattaforma elaborata non è ancora disponibile, anche se manca poco - purtroppo l'autofinanziamento non consente risposte rapide).

Grazie

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

14/09/2020 Editoria

Nuovo volume dedicato alla SCA: segnalazione certificata di agibilità

Continua la collaborazione con la casa editrice GRAFILL Editoria Tecnica, dopo i volumi dedicati agli abusi edilizi e alla loro (eventuale) sanatoria, il nuovo lavoro riguarda la Segnalazione Certificata di Agibilità (SCA).

Si tratta di un argomento scarsamente oggetto di pubblicazioni specifiche, forse ritenendo esaustiva la disciplina normativa, e quindi senza necessità di poter disporre di approfondimenti. Tuttavia, il passaggio dal certificato di agibilità, rilasciato, in forma espressa o tacita, da parte della pubblica amministrazione, alla segnalazione certificata di agibilità, retta sull’asseverazione e le attestazioni del direttore dei lavori, o altro professionista abilitato, e cioè su un soggetto esterno alla P.A., potrebbe aver reso evidente una questione complessa e vasta, che solo apparentemente appare scontata. Questo convincimento si è palesato svolgendo approfondimenti sempre più specifici in chiave tecnico-giuridica, che ora si offrono al contraddittorio al fine principale di fornire al professionista un percorso di ricerca fatto di informazioni sintetiche ma esaustive per l’evasione dei propri obblighi.
Il volume, di conseguenza, è stato pensato come uno strumento operativo che consente al lettore di accedere alle informazioni essenziali lungo un asse temporale di evoluzione della disciplina, anche per contestualizzare eventuali operazioni peritali su fatti del passato. In modo particolare, si è pensato di offrire:

  • la ricognizione normativa statuale;
  • la disciplina specifica nel testo unico dell’edilizia mettendo in evidenza gli aspetti fondamentali;
  • lo svolgimento di vari approfondimenti, con nutriti riferimenti giurisprudenziali;
  • la proposizione di una metodologia, anche supportata da liste di controllo, per documentare le attività istruttorie, ispettive e asseverative del direttore dei lavori, ovvero del professionista tecnico.

Ogni capitolo è stato redatto pensandolo come autosufficiente, e ciò per non costringere il lettore a seguire un percorso obbligato di argomenti fra loro collegati.

Risulta disponibile dapprima in E-Book (già da luglio) ed poi anche in formato cartaceo (settembre-ottobre).

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

11/09/2020 Legislazione

Il decreto-legge "semplificazione" 16.7.2020, n. 76 è legge (con modifiche)

La Camera, con 214 sì, 149 no e 4 astenuti, ha approvato, in via definitiva, il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale (C. 2648). Il decreto è legge 11 settembre 2020, n. 120 (GU 14 settembre 2020, n. 228).

Con Accademia Tecnojus stiamo sviluppando un dossier relativo alla "semplificazioni edilizie" come base per eventi informativi/formativi (webinar, podcast-video, ...).

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

17/07/2020 Legislazione

In vigore da oggi il decreto-legge "semplificazioni" 16.7.2020, n. 76

Pubblicato ancora ieri in G.U. n. 178, Suppl. Ordinario n. 24, il decreto-legge in pari data, 16 lugliop 2020, n. 76 relativo a Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale.

Per quanto di interesse delle professioni tecniche, rileva in particolare il Titolo I:

  • Semplificazioni in materia di contratti pubblici (capo I):
    • art. 1, Procedure per l'incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all'aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia;
    • art. 2, Procedure per l'incentivazione degli investimenti pubblici in relazione all'aggiudicazione dei contratti pubblici sopra soglia;
    • art. 3, Verifiche antimafia e protocolli di legalità;
    • art. 4, Conclusione dei contratti pubblici e ricorsi giurisdizionali;
    • art. 5, Sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica;
    • art. 6, Collegio consultivo tecnico;
    • art. 7, Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche;
    • art. 8, Altre disposizoni urgenti in materia di contratti pubblici;
    • art. 9, Misure di accelerazione degli interventi infrastrutturali;
  • Semplificazione e altre misure in materia edilizia e per la ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici (capo II):
    • art. 10, Semplificazioni e altre misure in materia edilizia;
    • art. 11, Accelerazione e semplificazione della ricostruzione pubblica nelle aree colpite da eventi sismici.

Tuttavia, si ritiene assuma rilievo anche il titolo II, Semplificazioni procedimentali e responsabilità, in quanto si interviene:

  • sulla legge n. 241/1990, segnatamente all'art. 2, 3-bis, 5, 8, 10-bis, 16, 18, 21-octies e 29;
  • sull'agenda per la semplificazione, ricognizione e semplificazione dei procedimenti e modulistica standardizzata;
  • sulla responsabilità erariale;
  • sull'art. 323 CP, relativo al reato di abuso d'ufficio.

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

11/07/2020 Giurisprudenza Amministrativa

Il TAR chiarisce la differenza tra volume in senso urbanistico e paesaggitico

Sono intervenute tre sentenze TAR, due di giugno e una di luglio, a precisare la differenza concettuale tra volume rilevante a fini urbanistico-edilizi e volume rilevante a fini paesaggistici.

TAR Toscana, Fierenze, Sez. III, sentenza 16 giugno 2020:

1.5 In relazione a tale fattispecie va evidenziato che la regola che in materia urbanistica porta ad escludere i "volumi tecnici" dal calcolo della volumetria edificabile, non può essere invocata al fine di ampliare le eccezioni al divieto di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria che, a sua volta, tutela l'interesse alla percezione visiva dei volumi e, ciò, a prescindere dalla loro destinazione (Cons. Stato Sez. VI, 27/01/2020, n. 650).

1.6 E’, infatti, del tutto indifferente che l’intervento di sopraelevazione eseguito dalla ricorrente sia stato realizzato all'asserito fine di contenere impianti tecnologici e sia dunque riconducibile nel novero dei volumi tecnici poiché, è incontestato, che lo stesso intervento ha dato luogo alla creazione di un maggior volume, esterno al corpo di fabbrica dell’edificio e dunque visibile.

1.7 La realizzazione di tali opere non poteva comunque essere suscettibile di sanatoria, non rientrando tra le ipotesi consentite dall’art. 167, comma 4.

1.8 Come si è avuto modo di anticipare precedenti pronunce hanno confermato come la nozione di superficie e volume utile è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici.

1.9 Mentre nelle valutazioni di natura urbanistica, attraverso il volume utile, viene misurata la consistenza dei diritti edificatori, nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico.

2. Un volume irrilevante ai fini urbanistici potrebbe creare un ingombro intollerabile per il paesaggio, mentre, al contrario, un volume rilevante ai fini urbanistici potrebbe non avere alcun impatto sul paesaggio e, dunque, in assenza di danno per l'ambiente, non potrebbe costituire un presupposto ragionevole per l'applicazione di una misura ripristinatoria (T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 01/02/2018, n. 712).

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza 24 giugno 2020:

5.2. Secondo i ricorrenti il minimo aumento del volume interno e conseguentemente dell’altezza esterna non darebbe luogo ad un “volume utile” in senso paesaggistico, in quanto una maggiore altezza di 50/70 cm sul tetto di un edificio come quello di loro proprietà non influirebbe sul contesto ambientale, tenuto conto che la collocazione dell’immobile su un terreno degradante impedirebbe di percepire alcuna variazione paesaggistica significativa.

Sebbene appaia evidente che, nelle valutazioni di natura urbanistica, attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori (che sono consumati da alcune tipologie costruttive, ad esempio l’edificazione fuori terra, e non da altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici), mentre nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell’insieme paesistico (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 11 giugno 2019, n. 1319; altresì, T.A.R. Campania, Napoli, VII, 1° febbraio 2018, n. 712), va sottolineato come una tale distinzione non può condurre alla disapplicazione dell’art. 167, comma 4, lett. a, del D. Lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale “l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica (…) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”. Nella fattispecie de qua, a prescindere dall’aumento delle superfici utili – contestato dai ricorrenti –, vi è stato certamente un aumento del volume (percepibile), che non consente il rilascio di alcuna sanatoria. Nemmeno può assumere rilievo la ridotta entità dell’aumento e quindi la sua non immediata o addirittura difficile percepibilità visiva, non trattandosi di un dato oggettivo e tecnicamente verificabile, che determinerebbe conseguenze non preventivabili ove applicato come criterio di valutazione in materia di abusi paesaggistici.

Ciò appare coerente anche con le conclusioni cui è pervenuto il Ministero dei Beni Culturali con la circolare n. 33 del 26 giugno 2009, attraverso la quale si è sottolineato che “per volumi si intende qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto”. Anche la giurisprudenza, chiarendo la portata precettiva della citata circolare, ha rimarcato l’eccezionalità delle deroghe, visto che “il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno” (Consiglio di Stato, VI, 24 aprile 2017, n. 1907; più di recente, 27 gennaio 2020, n. 650; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 11 marzo 2020, n. 471).

TAR Lombardia, sez. II, sentenza 9 luglio 2020:

econdo i ricorrenti, la circostanza che il box non costituisca volume e sia escluso dal calcolo della superfici ai sensi delle N.T.A., avrebbe consentito una sanatoria postuma, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del D. Lgs. n. 42 del 2004 (relativa ai lavori “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”). Tuttavia da un punto di vista dell’ingombro fisico, il box ha certamente un proprio rilievo e quindi, se nelle valutazioni di natura urbanistica, attraverso il volume utile, viene misurata la consistenza dei diritti edificatori (che sono consumati da alcune tipologie costruttive, ad esempio l’edificazione fuori terra, e non da altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici), nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell’insieme paesistico (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 24 giugno 2020, n. 1172; 11 giugno 2019, n. 1319; altresì, T.A.R. Campania, Napoli, VII, 1° febbraio 2018, n. 712). Nella fattispecie de qua, vi è stato certamente un aumento della superficie e del volume (percepibili), che non consente il rilascio di alcuna sanatoria postuma. Nemmeno può assumere rilievo la ridotta dimensione del box e quindi la sua non immediata o addirittura difficile percepibilità visiva, non trattandosi di un dato oggettivo e tecnicamente verificabile, che determinerebbe conseguenze non preventivabili ove applicato come criterio di valutazione in materia di abusi paesaggistici. Ciò appare coerente anche con le conclusioni cui è pervenuto il Ministero dei Beni Culturali con la circolare n. 33 del 26 giugno 2009, attraverso la quale si è sottolineato che “per volumi si intende qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto”. Anche la giurisprudenza, chiarendo la portata precettiva della citata circolare, ha rimarcato l’eccezionalità delle deroghe, visto che “il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno” (Consiglio di Stato, VI, 24 aprile 2017, n. 1907; più di recente, 27 gennaio 2020, n. 650; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 24 giugno 2020, n. 1172; 11 marzo 2020, n. 471).

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

4/07/2020 Giurisprudenza Amministrativa

Giudicato civile ed obbligo delle P.A. di conformarsi in sede autorizzatoria

La sentenza della sesta Sezione del Consiglio di Stato pubblicata il 20 aprile 2020, relativa ad un caso vicentino, nasce a seguito della "bocciatura" del permesso di costruire, fondata anche sul diniego di autorizzazione paesaggistica da parte del MIBACT, relativamente alla richiesta avanzata dal CTU, su incarico del Giudice dell'esecuzione, finalizzato a dare attuazione al giudicato civile, di demolizione parziale di una costruzione per sconfinamento in altrui proprietà e inosservanza delle distanze legali.

A seguito del diniego opposto dal Comune, dalla Soprintendenza e dall'Unione montana, per ragioni urbanistico-edilizie e paesaggistiche, si determinava una situazione di contrasto col giudicato civile, la cui vicenda è approdata dapprima avanti il TAR (Veneto) e, infine, al Consiglio di Stato che così ha statuito:

Nel merito e per quanto qui d’interesse, detto giudicato civile accertò lo sconfinamento d’una porzione non certo piccola del fabbricato del sig. A. C. e altri sull’area di proprietà degli odierni appellanti, una piccola parte della quale ricade in zona soggetta a vincolo paesaggistico.

Restò quindi fermo l’obbligo del sig. A. C. ed altri d’eliminare il suo edificio costruito in parte qua sulla proprietà attorea, pur se a suo tempo munito di titolo edilizio, ma con salvezza dei diritti dei terzi (cfr. da ultimo Cass., II, 28 settembre 2018 n. 23543; id., 19 febbraio 2019 n. 4833; id., 26 febbraio 2019 n. 5605, sull’irrilevanza della regolarità urbanistica del fabbricato rispetto all’obbligo di ripristino in caso di mancato rispetto delle distanze).

Il Giudice dell’esecuzione civile, riguardo a ciò, incaricò il CTU (...) di procurarsi a sua volta i titoli (edilizio e autorizzativo) necessari per la parziale demolizione, il diniego di questi ultimi determinando il presente ed annoso contenzioso.

Ma alle Amministrazioni coinvolte sfuggì e sfugge tuttora un concetto giuridico che in realtà è, o dovrebbe esser, chiaro ed acquisito, appalesandosi uno pseudoproblema la differenza tra «vincolo di giudicato» ed obbligo della P.A. di conformarsi ai giudicati civili ai sensi dell’art. 4, II co. della l. 2248/1865, quando la tutela di diritti soggettivi intersechi o abbisogni dell’esercizio delle pubbliche potestà per trovare piena soddisfazione. Al più, si può forse dire che alla P.A. è preclusa l’integrazione del giudicato civile con questioni ad esso non attinenti, non già che si possa esimere dal conformarsi ad un giudicato ben preciso in sé ed ulteriormente specificato dal Giudice naturale dell’esecuzione di esso.

Prova ne sia quel che è accaduto nella specie: nelle liti tra privati proprietari di immobili confinanti, relative alla lesione del diritto di proprietà per violazione delle norme sulle distanze legali, queste sono inderogabili per tutti i soggetti di diritto e sono poste a tutela sia della posizione soggettiva del privato, sia di vari e sensibili interessi pubblici e generali (cfr. Cass., II, 16 marzo 2017 n. 6855), il cui equo buon governo è attribuito, a ciascun secondo le rispettive competenze, proprio al Comune e alle Autorità preposte al vincolo paesaggistico de quo.

Va ricordato quanto statuito da questo Consiglio (Cons. St., IV, 9 novembre 1987 n. 646), secondo cui il ricorso per il riconoscimento dell'obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato civile è esperibile, da parte dell'interessato, ogni volta che dalla pronuncia dell'AGO sia desumibile, anche indirettamente, una norma di comportamento, ancorché non tradotta in puntuale precetto. Sicché, in esecuzione del giudicato sarebbe anche esperibile l’azione di ottemperanza (al di là dell’azione ordinaria che censuri le modalità di esercizio della discrezionalità residua) e l’obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato, stabilito dall’art. 4 della l. 2248/1865 mira proprio ad evitare, in chiave di economia processuale, le lungaggini del contenzioso.

Occorre quindi definire ed enucleare la discrezionalità residua dell’Amministrazione titolare di poteri di controllo urbanistico edilizio e paesaggistico a fronte di un giudicato civile in materia di rispetto delle distanze fra costruzioni private, rammentando la giurisprudenza amministrativa che da tempo afferma l'illegittimità di un assoluto diniego del PDC richiesto al fine di procedere, nell'inerzia delle controparti che commisero l’illecito, a ripristinare le distanze violate, in esecuzione di un giudicato civile di riconoscimento di tale diritto.

Applicando siffatto principio, si può ritrarre l'ulteriore corollario per cui la portata oggettiva e soggettiva del giudicato, nell'imporre un'esecuzione materiale sino alla rimozione di quanto illecitamente realizzato, in realtà esclude la necessità giuridica del titolo edilizio o, almeno, rende quest’ultimo, la cui emanazione già in sé non è sorretta da funzioni discrezionali, vieppiù necessitato, eccezionale e soggetto ai soli limiti ex artt. 7, 8 e 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 o comunque soggetto a discrezionalità limitata a precisarne le modalità esecutive, non essendo discutibile l’an dell’esecuzione, anche in ossequio al principio di leale collaborazione fra i poteri giudiziario ed esecutivo.

Per vero, proprio la puntualità e la cogenza del giudicato a tutela del diritto dominicale attoreo esclude che la P.A. si sottragga al proprio obbligo ex lege di conformarsi al decisum dell’AGO e che, addirittura, ponga a carico della parte vittoriosa i profili tecnici, materiali e giuridici connessi al doveroso ripristino sul fabbricato illecito.

Non deve sfuggire che il Comune, qual titolare dei poteri di vigilanza edilizia ed Autorità emanante il PDC, non è certo corresponsabile dell’illecito dei controinteressati, ma ne ha finora tollerato, una volta acclarata la lesione dei diritti dei terzi determinatasi anche grazie al titolo rilasciato a questi ultimi, la persistenza a fronte della richiesta attorea del titolo occorrente agli appellanti di provvedere a tal ripristino personalmente (arg. ex Cons. St., IV, 12 maggio 2013 n. 1482; id., VI, n. 3664/2017, cit.).

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

24/06/2020 Giurisprudenza Costituzionale

Piano casa della Regione Veneto 14/2009 - deroga distanze dai confini

Pubblicata la sentenza n. 119 del 23 giugno 2020 della Corte Costituzionale, relativa all'impugnato art. 64 della L.R. n. 30/2016 di interpretazione autentica della L.R. n. 14/2009 relativamente alla deroga della distanza dai confini stabiliti dai reolamenti locali.

Come noto, il TAR Veneto riteneva la deroga regionale una ingerenza sulla esclusiva potestatà legislativa statale nella materia dell'ordinamento civile, nell'ambito della quale è notoriamente ricondotta la disciplina delle distanze legali tra costruzioni, in quanto le disposizioni locali andavano ad integrare quelle statali.

La Consulta ritiene le questioni sollevate infondate, adduncendo le seguenti argomentazioni principali:

5.– Orbene, nel ribadirsi il richiamato orientamento, deve sottolinearsi come la previsione di una competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile (art. 117, comma secondo, lettera l, Cost.) in tanto si giustifica in quanto con la stessa si intende assicurare che i rapporti interprivati siano disciplinati nell’intero territorio della Repubblica secondo criteri di identità. Una simile esigenza, se è ravvisabile con riguardo alla disciplina delle distanze quale stabilita nelle norme statali (codice civile, d.m. n. 1444 del 1968 e d.P.R. n. 380 del 2001), certamente non può essere invocata con riferimento alle discipline locali, che, per quanto integrative del codice civile, sono destinate ad operare in ristretti ambiti territoriali. In effetti, esse trovano il loro fondamento proprio nell’autonomia degli enti locali in un contesto normativo nel quale ancora non erano state introdotte, con la Costituzione repubblicana, le autonomie regionali.

Una volta riconosciuta alle Regioni la competenza concorrente in materia di governo del territorio, deve infatti escludersi che esse incontrino il limite dell’ordinamento civile tutte le volte in cui, ferma la disciplina statale delle distanze, ad essere modificate per effetto di leggi regionali siano le disposizioni dei regolamenti comunali o delle norme tecniche, la cui finalità è proprio quella di adattare la disciplina a specifiche esigenze territoriali, ma certamente non quella, propria delle norme di ordinamento civile, di stabilire criteri uniformi sull’intero territorio nazionale nei rapporti tra privati. Ne consegue che non può opporsi alla competenza regionale il limite dell’ordinamento civile quando oggetto di deroga siano – come per effetto della norma regionale ora in scrutinio – non le disposizioni statali sulle distanze, ma le norme integrative dei regolamenti locali.

Nel caso in esame, pertanto, la valutazione di legittimità dell’intervento legislativo regionale non va compiuta in riferimento al limite dell’ordinamento civile, in quanto si sposta, come si vedrà, sul piano del rapporto tra potestà legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio e autonomia degli enti locali.

6.– Tanto premesso, deve ritenersi che le previsioni in tema di distanze contenute nella disposizione censurata non ledano la materia di riserva statale: tale disposizione, infatti, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art. 9, comma 8, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, si è limitata, in ragione della forte oscillazione giurisprudenziale, a chiarire i margini di derogabilità delle distanze disposte dagli enti locali, in funzione degli interventi straordinari di rigenerazione del territorio edificato, senza tuttavia incidere sulle distanze di fonte statale.

La disposizione censurata, riferendosi alle misure previste dalla legge reg. Veneto n. 14 del 2009, mira a consentire, secondo l’impianto originale della legge stessa, gli interventi di rivitalizzazione del patrimonio edilizio esistente, e cioè a realizzare un obiettivo generale di interesse pubblico, perseguito con disposizioni incentivanti di carattere straordinario, limitate nel tempo e operanti per zone territoriali omogenee.

D’altra parte, come già rilevato, anche nella legislazione statale si è registrato un allentamento del regime delle distanze nelle zone omogenee totalmente o parzialmente edificate, al medesimo fine di perseguire obiettivi di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, fattore primario in una strategia di riduzione del consumo di suolo.

In raffronto a siffatta evoluzione dell’ordinamento statale, la norma regionale di interpretazione autentica qui censurata si rivela ancor più conservativa, poiché tiene per assolutamente cogenti le distanze minime di fonte statale – quindi i tre metri tra costruzioni ex art. 873 cod. civ. e i dieci metri tra pareti finestrate ex art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 –, mentre consente la deroga unicamente per le eventuali maggiori distanze di fonte comunale (nella specie, i cinque metri dal confine prescritti dalle norme tecniche del Comune di Altavilla Vicentina).

Nella normativa regionale autenticamente interpretata, che attiene alla materia del governo del territorio, non è dato riscontrare alcuna violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile, e quindi alcuna violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

7.– La correlazione alla materia del governo del territorio, come legittima la norma regionale di deroga alle distanze nel rapporto con la competenza esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile, così la legittima nel rapporto con le funzioni comunali di pianificazione territoriale.

Oltre a non violare l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riguardo all’esclusiva potestà legislativa dello Stato in materia civilistica, l’art. 64 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016 pertanto neppure viola gli artt. 5, 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118 Cost. riguardo all’autonomia regolamentare dei Comuni in materia pianificatoria.

7.1.– Nel nostro ordinamento, la funzione di pianificazione urbanistica è tradizionalmente rimessa all’autonomia dei Comuni, fin dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilità pubblica), né lo sviluppo dell’ordinamento regionale ordinario e la necessità di una pianificazione territoriale sovracomunale hanno travolto questo impianto fondamentale, pur tuttavia assoggettandolo a ineludibili esigenze di coordinamento tra differenti livelli ed istanze.

Si rimanda alla sentenza attraverso il sottostante link.

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

15/06/2020 Aggiornamento professionale

Fondazione Collegio Geometri Vicenza

Corso streamming sull'incarico professionale giovedì 18 giugno (ved. link sotto)

Conoscere le regole che presiedono l'incarico professionale, ovvero il rapporto obbligatorio tra professionista e cliente, diventa sempre più una necessità per il fatto che accrescono ruoli, funzioni e responsabilità professionali e giuridiche.

A prescindere dagli obblighi normativi, a seguito della riforma delle professioni regolamentate del 2012, il contratto è il "luogo" dove prendere consapevolezza di quanto il professionista deve al cliente anche in relazione a future responsabilità extracontrattuali e che, eventuali accordi con il cliente, potrebbero non essere una esimente.

L'evento, rivolto ai geometri e geometri laureati della provincia di Vicenza, affronterà gli argomenti con il supporto della giurisprudenza.

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

16/05/2020 Opere strutturali in zona sismica

In Gazzetta Ufficiale le linee guida interventi zone sismiche ex art. 94-bis

In Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 124 del 15 maggio 2020 è stato pubblicato il DM 30 maggio 2020 "Approvazione delle linee guida per l'individuazione, dal punto di vista strutturale, degli interventi di cui all'art. 94-bis, comma 1, del dereto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché delle varianti di carattere non sostanziale per le quali non occorre il preavviso di cui all'articolo 93".

Ora tocca alle Regioni adottare specifiche elencazioni di adeguamento alle linee guida in relazione ai sopraddetti interventi di cui all'art. 94-bis, introdotto nel TUE dal decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. decreto "sblocca cantieri"), convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55.

Giova ricordare che l'art. 94 del TUE prevede che l'autorizzazione scritta per l'inizio lavori in zone sismiche ad eccezione di quelle a bassa sismicità, per le quali occorre il solo preavviso scritto ex art. 93.

La Suprema Corte di Cassazione, terza Sezione penale, con ben due sentenze (n. 56040/2018 e n. 51600/2018) aveva ritenuto che solo le zone 4 devono ritenersi corrispondenti alle aree a bassa sismicità.

I giudici penali sono giunti a tale conclusione ritenendo che "alla luce della eliminazine del territorio non classificato e della previsione della facoltatività della prescrizione dell'obbligo della progettazione antisismica per le opere rientranti nella zona 4, pare evidente, in mancanza di altre definizioni normative, come le aree a bassa sismicità, di cui al combinato disposto degli artt. 83 e 94 d.P.R. 380/2001, debbao essere considerate solamente quelle rientranti nella zona 4, cioè quella di minor rischio sismico, per le quali è stato reso facoltativo l'obbligo di prescrivere la progettazione antismica".

Orbene, ai sensi del succitato decreto-legge 32/2019, ora art. 94-bis del TUE, la zona 1 è detta ad alta sismicità, la zona 2 a media sismicità e le zone 3 e 4 a bassa sismicità.

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

29/04/2020 Sicurezza cantieri

Riapertura cantieri nella fase 2 dell'emergenza sanitaria: condizioni

I cantieri edili potranno riaprire dal prossimo 4 maggio, a seguito del DPCM 26 aprile 2020, (cfr. allegato 2, codici Ateco 41, 42, 43 e 68), fino al prossimo 17 maggio 2020 (cfr. art. 10).

Per espressa previsione normativa, le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 6, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 7, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 8. La mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attivita' fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
Come noto, le imprese, che riprendono la loro attività a partire dal 4 maggio 2020, possono già svolgere tutte le attività propedeutiche alla riapertura a far data dal 27 aprile 2020.

Per espressa previsione del dpcm, occorrerà considerare il protocollo 14 marzo 2020, per le disposizioni generali, come integrato per i cantieri il 24 aprile 2020 (che costituisce l'allegato 7),

Sembra ragionevole che le disposizioni di emergenza sanitaria si riversano sulle attività di CSP e, soprattutto, dei CSE, ai quali, dunque, si raccomanda la massima attenzione.

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

17/3/2020 Giurisprudenza commentata

Rimessa all'Adunanza Plenaria interpretazione art. 38 TUE

L'articolo 38 del testo unico edilizia, D.P.R. n. 380/2001, si occupa degli interventi eseguiti in base a permesso annullato, disponendo, al comma 1, che qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria. Il comma 2, invece, stabilisce che l'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'art. 36.

La IV Sezione del Consiglio di Stato, con propria ordinanza del 11 marzo 2020, ha rimesso all'Adunanza Plenaria l'esame dei contrasti interpretativi rinvenuti in argomento, indicando i tre orientamenti presenti:

1) Un primo orientamento, che si è affermato nella più recente giurisprudenza della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato, dell’art. 38 sostiene un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore dell’abuso. Ritiene infatti, in sintesi estrema, che la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo, e quindi considera secondo logica l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva. Più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili del titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria; nel far ciò dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità: in tal senso la più recente C.d.S. sez. VI 19 luglio 2019 n.5089, e in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, C.d.S. sez. VI 28 novembre 2018 n.6753 e sez. VI 12 maggio 2014 n.2398.

2) Vi è poi un orientamento più restrittivo, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino; in altre parole, secondo tale orientamento, lo strumento in esame consente di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi non può operare con gli effetti di un condono: così in primo luogo la Corte costituzionale con la sentenza 11 giugno 2010 n.209, nonché nella giurisprudenza di questo Giudice le sentenze sez. VI 9 maggio 2016 n.1861 e per implicito sez. IV 16 marzo 2010 n.1535, ove si fa l’esempio pratico di un vizio formale consistito nella mancata predisposizione dello studio planivolumetrico previsto dalle norme tecniche di piano. Si ricorda poi per completezza che seguiva l’orientamento più restrittivo, se pure senza una motivazione approfondita, la costante giurisprudenza formatasi sull’art. 11 della l. 47/1985: fra le molte C.d.S. sez. VI 11 febbraio 2013 n.753, sez. V 22 maggio 2006 n.2960 e sez. V 12 ottobre 2001 n.5407.

3) Vi è infine un orientamento intermedio, che si discosta da quello restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”, ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria. In tal senso, sempre fra le molte, C.d.S. sez. VI 10 settembre 2015 n.4221, sez. VI 8 maggio 2014 n.2355 e sez. IV 17 settembre 2012 n.4923, ove si fa l’esempio pratico di un vizio sostanziale emendato, costituito dalla riduzione di altezza del fabbricato in modo da rispettare le norme tecniche di piano.

Romolo Balasso architetto

Presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

13/3/2020 Giurisprudenza commentata

Sentenza Consulta n. 30/2020: DM 1444/68 e parametro dell'altezza

Un’occasione mancata, ma sono salve la legge sul Piano Casa del Veneto e in particolare la modifica sull’altezza introdotta con L.R. 32/2013.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 30/2020, depositata il 21.02.2020 (accessibile dal link a fondo articolo), è stata accolta favorevolmente dalla maggior parte delle Amministrazioni Comunali del Veneto e, in particolare, dalla Regione. Infatti, un’eventuale pronuncia negativa avrebbe messo a repentaglio molte situazioni venutesi a creare nel Veneto con l’applicazione del Piano Casa, specie nel periodo intercorrente tra il 2013 e il 2019, cioè nel periodo successivo all’introduzione del comma 8bis dell’art. 9 della L.R. n. 14 del 2009 (cfr. L.R. del 29 novembre 2013, n. 32).

In realtà, a parere dello scrivente, tale sentenza costituisce un’occasione mancata nel senso che è stata persa la possibilità di pronunciarsi su un argomento “nuovo” e interessante (peraltro in linea con la questione del consumo del suolo di cui anche alla recente Legge Regionale n. 14/2019) quale risulta essere quello sulle altezze.

In queste pagine avevamo già commentato l’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, Sez. VI, domandandoci se era corretto che il parametro delle distanze soggiacesse ai criteri (e alla giurisprudenza formatasi in merito) riguardanti le distanze ed in particolare il D.M. 1444/1968.

La questione affrontata trascendeva il caso specifico del Comune di Castelfranco Veneto tanto da indurre sia l’ANCE Veneto che l’ANCI Veneto ad un intervento in causa (peraltro dichiarato inammissibile).

Se il bonus del 40%, previsto dal piano casa regionale, è stato fatto salvo, non si può dire che la pronuncia abbia fatto chiarezza sul modo di calcolarlo.

Dalla lettura della sentenza n. 944/2017 del TAR Veneto (da cui la vicenda prendeva le mosse) si comprendeva solo che gli interventi di ampliamento in base al Piano Casa, con modificazione delle altezze, sono ammissibili “fino al 40% dell’edificio esistente”. Come accennato nulla veniva spiegato sul modo di calcolo di questa percentuale che l’Amministrazione Comunale, previo parere della Regione Veneto, aveva inteso facente riferimento all’edificio dell’immobile più alto della zona (nella fattispecie, era quello dell’originario ricorrente al TAR contro la DIA presentata dall’impresa committente).

Ebbene, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni dell’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8bis della Legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14, sollevate, in riferimento, all’art. 117, II comma, lettera L), e III comma della Costituzione, sollevate dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con l’ordinanza 1 marzo 2019, iscritta n. 94 del Registro Ordinanze 2019.

Si è trattato di un modo per non affrontare nel merito i numerosi temi proposti sicché, ancora oggi, non vi è alcun pronunciamento della Corte Costituzionale in materia di altezze e, conseguentemente, non è dato sapere se il D.M. 1444 del 2 aprile 1968 costituisca, anche su questo tema, normativa inderogabile e prevalente come, invece, già espressamente (e in più occasioni) dichiarato dalla stessa Corte Costituzionale in materia di distanze.

Dopo un’ampia discussione riportata nel corpo della sentenza, il Giudice delle leggi ha accolto un’eccezione sollevata sostanzialmente da tutte le parti e, in particolare, dalla società ricorrente che aveva stigmatizzato l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza ai fini del thema decidendum.

Quindi, sintetizzando, la Corte ha considerato che il contenimento dell’intervento edilizio nei limiti di altezza di cui all’art. 8 del d.m. n. 1444 del 1968 non aveva costituito oggetto del giudizio di primo grado, né era stato devoluto, con i motivi di appello, alla cognizione del Consiglio di Stato.

L’eccezione così mossa è stata ritenuta fondata e la Corte, in modo piuttosto succinto, ha definito i motivi per i quali l’eccezione è stata accolta.

Invero, nell’ordinanza di rimessione il Consiglio di Stato rileva che il giudizio ha ad oggetto la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con la quale sono stati annullati gli atti inerenti all’iniziativa edificatoria della società Antares «limitatamente alla parte in cui il Comune di Castelfranco si è determinato erroneamente riguardo la verifica dell’altezza del costruendo edificio […] con riferimento alla corretta applicazione del comma 8-bis dell’art. 9 della legge regionale n. 14 del 2009».

Il rimettente, in particolare, evidenzia che, secondo la sentenza davanti ad esso impugnata, in base alla norma regionale la percentuale di aumento dell’altezza doveva calcolarsi sullo stesso edificio oggetto di ampliamento, e non sull’edificio circostante più alto, come invece ritenuto dal Comune che aveva autorizzato l’intervento.

Nel giudizio di primo grado si è dunque fatta questione della norma censurata limitatamente alla parte in cui la stessa consente «gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C […] sino ad un massimo del 40 per cento dell’altezza dell’edificio esistente»; proprio tale ultima locuzione – ovvero cosa debba intendersi per “edificio esistente” – ha costituito l’oggetto delle contrapposte posizioni espresse in giudizio, ed ha trovato una soluzione nella decisione poi oggetto di appello innanzi al Consiglio di Stato.

Le censure del rimettente non hanno ad oggetto il tema dell’individuazione dell’edificio esistente sul quale calcolare l’aumento in altezza, ma il fatto che tale aumento sia consentito «anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni».

E tuttavia, dalla lettura dell’ordinanza di rimessione non è dato inferire che fra gli aspetti controversi dell’intervento edilizio vi fosse anche il fatto che esso era stato autorizzato in deroga a tali limiti di altezza.

Il giudice a quo, infatti, non fornisce al riguardo alcuna specifica indicazione, limitandosi ad affermare che il giudizio ha ad oggetto il «rispetto delle altezze, nei termini derivanti dalla norma regionale in questione», e che i motivi di gravame «si basano sulla contestata applicazione della norma regionale»; ma, come si è osservato, i termini di tale contestata applicazione attengono ad un profilo della norma estraneo al perimetro delle censure.

Le questioni vanno dunque dichiarate inammissibili per carenza di motivazione in ordine alla rilevanza”.

Nel merito, la questione dovrà essere ripresa innanzi al Consiglio di Stato, anche alla luce della pronuncia in commento.

In punto di diritto, invece, l’operatore - con riferimento al tema dell’altezza - non è ancora in grado di ponderare il valore del D.M. 1444/1968 e ciò in relazione non solo alla normativa regionale del Piano Casa (in materia di altezze non c’è ancora un modus operandi chiaro) ma nemmeno in relazione ad eventuali interventi legislativi che dovessero esplicarsi su questo parametro edilizio che, come detto, risulta fondamentale (specie ora che si parla di consumo del suolo) e, ad avviso di chi scrive, sganciato dalla normativa sulle distanze (a tal proposito basterà ricordare che nella sezione V e VI, titolo II, del libro terzo - della proprietà - non vi è alcuna disposizione specifica in materia di altezze).

Estendere, come vorrebbe il Consiglio di Stato, l’interpretazione data in materia di distanze dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale alle altezze, è riduttivo e semplificatorio ma, soprattutto, non trova riscontro né nel dato letterale della norma né in quello sistematico del nostro Ordinamento.

La Corte avrebbe potuto accendere una luce sull’argomento ma - evidentemente - ha preferito non sbilanciarsi.

La circostanza ingenera incertezza e, sicuramente, condizionerà, nel futuro prossimo, tutti quegli interventi normativi (e interpretativi) che avranno ad oggetto il parametro dell’altezza, essenziale per determinare la riduzione del consumo del suolo.

avv. Pierfrancesco Zen

vice presidente Tecnojus

© Riproduzione riservata

6/3/2020 Giurisprudenza commentata

Appalti pubblici: termine per il soccorso istruttorio

Il TAR Veneto, con sentenza del 27 febbraio 2020, ha precisato la natura del termine di 10 giorni previsto dall'art. 83, comma IX, del Dlgs 50/2016 (Codice appalti) entro cui, in applicazione del cd soccorso istruttorio, devono essere integrate le carenze di elementi formali della domanda.

L'istituto del cd soccorso istruttorio consente infatti ai concorrenti di una gara pubblica, nel caso di carenza di elementi formali della domanda di partecipazione, di sanare tali carenze.

In particolare, in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolaritá essenziale degli elementi della domanda e del documento di gara unico europeo, con esclusione di quelle afferenti all'offerta economica e all'offerta tecnica, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere.

Il TAR Veneto ha dunque chiarito che il termine di 10 giorni previsto dall'art. 83, comma IX, del Dlgs 50/2016 entro cui, in applicazione del cd soccorso istruttorio, devono essere integrate le carenze di elementi formali della domanda costituisce solo il termine massimo che puó essere concesso per provvedere alle integrazioni documentali richieste dalla stazione appaltante, senza che la norma in questione preveda un termine minimo.

In ragione di ció, è rimessa alla valutazione discrezionale della stazione appaltante l'eventuale assegnazione di un termine inferiore, da determinarsi tenuto conto della consistenza degli adempimenti richiesti e delle esigenze della singola gara.

Nel caso di specie, in particolare, veniva in rilievo la mancata produzione della cauzione provvisoria al momento della presentazione della domanda, così come entro il termine (di due giorni) concesso in forza del soccorso istruttorio.

Il TAR Veneto ha dunque avuto modo di ribadire che la mancata presentazione della cauzione provvisoria unitamente all'offerta non costituisce causa di esclusione, ma comporta l'attivazione del soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante con invito al concorrente ad integrare la documentazione carente.

Tuttavia, se ciò è vero, è altrettanto vero che il soccorso istruttorio richiede che la cauzione presentata in sanatoria, come pure la dichiarazione di impegno alla prestazione di garanzia definitiva, siano comunque di data anteriore al termine per la presentazione delle domande di partecipazione; diversamente risulterebbe infatti violata la par condicio tra tutti i concorrenti.

avv. Ambrogio Dal Bianco

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

26/2/2020 Novità

La Presidenza del Consiglio dei Ministri impugna le leggi regionali venete

Dal comunicato stampa n. 30 del 21 febbraio 2020 pubblicato sul sito del Governo, risulta che il Consiglio dei Ministri ha deliberato di impugnare alcune leggi della Provincia di Trento, della Provincia di Bolzano, e due leggi regionali del Veneto di fine anno 2019, la n. 50 c.d. di mini-condono, e la n. 51 relativa al recupero dei sottotetti a fini abitativi.

Queste le "motivazioni":

4. la legge della Regione Veneto 50 del 23/12/2019, recante “Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme in materia di edificabilità dei suoli)”, in quanto la legge, prevedendo la regolarizzazione amministrativa di opere edilizie, si pone in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia di governo del territorio, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione;

5. la legge della Regione Veneto n. 51 del 23/12/2019, recante “Nuove disposizioni per il recupero dei sottotetti a fini abitativi”, in quanto alcune disposizioni riguardanti i parametri di altezza e luminosità degli ambienti si pongono in contrasto con i principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di "governo del territorio" e di "tutela della salute” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, violando altresì il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, e l’art. 32 della Costituzione, che riconosce la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; altre disposizioni riguardanti il permesso di costruire si pongono in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio e violano l’art. 117, terzo comma, della Costituzione; altre disposizioni infine, prevedendo interventi di rilevanza paesaggistica, violano l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione che attribuisce allo Stato la competenza in materia di paesaggio.

Se per la legge regionale n. 50/2019 il dubbio di legittimità costituzionale è, per così dire, "immediato", non così appare, invece, per la legge n. 51/2019, per cui occorrerà attendere le argomentazioni che saranno esposte nel ricorso.

Tuttavia, il fatto che sia indicata una violazione dei parametri igienico-sanitari, relativamente ai parametri di altezza (2,40) e luminosità (1/16), si deve osservare che si tratta di disposizioni "presenti" non soltanto nelle disposizioni regionali venete previgenti in materia (l.r. n. 12/1999), bensì anche in altre disposizioni regionali quali, ad esempio la l.r. n. 11/1998 dell'Emilia Romagna (cfr, art. 2); l.r. n. 5/2010 della Toscana (cfr. art. 3) dove l'altezza media interna netta è di 2,30; l.r. n. 13/2009 del Lazio (cfr. art. 3), in questo caso l'altezza viene indicata in ml 1,90; l.r. n. 15/2000 della Campania (cfr. art. 3), per la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo l'art. 6 (cfr. sentenza n. 11/2016) e l.r. n. 12/2005 della Lombardia (cfr. artt. 63 e 64) - queste ultime due leggi non prevedono alcuna deroga al rapporto aeroilluminate previsto dal d.m. 5/7/1975. L'unico dubbio riguarda il regime edilizio prescelto dal legislatore regionale (SCIA), se questa dovesse essere quella ordinaria ex art. 22 del TUE, in quanto al legislatore regionale non è dato intervenire sul regime giuridico degli interventi.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

21/2/2020 Novità giurisprudenziali

Dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sull'acquisizione sanante

Il 18 febbraio 2020 è stata pubblicata la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, alla quale è stato deferito un ricorso (con ordinanza della IV Sezione, relativamente alla costituzione di una servitù di passaggio, ai sensi dell'art. 42bis del testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità - il DPR n. 327/2001).

La IV Sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all'Adunanza Plenaria quattro quesiti, giudicandone la risoluzione necessaria per la definizione del giudizio. Precisamente:

a) se il giudicato civile, sull’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, precluda o meno l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio, col mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare;

b) se la formazione del giudicato interno - sulla statuizione del TAR per cui il giudicato civile consente l’attivazione di un ordinario procedimento espropriativo – imponga nella specie di affermare che sussiste anche il potere dell’Amministrazione di imporre la servitù di passaggio ex art. 42 bis, comma 6;

c) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista anche quando la sentenza (nella specie, del giudice civile) non abbia espressamente precluso l’esercizio dei poteri previsti dall’art. 42 bis per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto;

d) se la preclusione del ‘giudicato restitutorio’ sussista solo in relazione ai giudicati formatisi dopo la pubblicazione della sentenza della Adunanza Plenaria n. 2 del 2016, ovvero anche in relazione ai giudicati formatisi in precedenza.

Tali quattro quesiti (precisati al punto 23 dell’ordinanza) presuppongono un quesito “pregiudiziale” (implicitamente sottoposto a questa Adunanza Plenaria dai quesiti espressi e, comunque, oggetto del primo motivo di appello; sub lett. a) dell’esposizione in fatto).

L'Adunanza Plenaria ha ritenuto verificare innanzitutto l’applicabilità (o meno) dell’art. 42 bis DPR n. 327/2001 anche al di fuori dei casi in cui vi sia stato un procedimento espropriativo e questo non si sia concluso o si sia concluso con un provvedimento poi annullato dal giudice amministrativo.

In proposito, è stato ritenuto che l'art. 42 bis DPR 327/2001 costituisce norma di chiusura e trova applicazione In tutti i casi in cui l'Amministrazione abbia la disponibilità di un bene immobile altrui e lo abbia utilizzato per ragioni di pubblico interesse in assenza di titolo e ciò a prescindere dalla natura pubblicistica o privatistica delle circostanze e degli strumenti che hanno condotto alla occupazione sine titulo. In particolare, l'utilizzo da parte della P.A. di strumenti di carattere privatistico (contratto di compravendita, poi dichiarato nullo), non preclude l'operatività dell'istituto; né la presenza di un giudicato restitutorio impedisce la costituzione di una servitù a favore della P.A. ex articolo 42 bis, VI comma, rimanendo la proprietà in capo agli originari titolari.

avv. Ambrogio Dal Bianco

© Riproduzione riservata

14/2/2020 Novità editoriali

Sanare gli abusi edilizi

Grazie all'editore Grafill Editoria Tecnica è ora disponibile l'ultimo lavoro editoriale dedicato alle sanatorie ordinarie degli abusi edilizi, e quindi agli accertamenti di conformità ai sensi del testo unico edilizia e agli accertamenti di compatibilità ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Come indicato nella 4 di copertina:

Tra le esigenze dei professionisti tecnici, liberi professionisti (progettisti, esperti del giudice esecutivo, consulenti tecnici nei procedimenti giudiziali e stragiudiziali) e tecnici degli enti locali, assume rilevanza crescente la regolarizzazione degli abusi edilizi, anche in ragione della loro ampia e articolata nozione giuridica.

Infatti, la regolarità urbanistico-edilizia e paesaggistica è condizione indispensabile per poter eseguire legittimamente qualsiasi intervento successivo di per sé legittimo, e non diventare a sua volta abusivo.

La sanatoria ordinaria degli abusi edilizi (non per condono) è rigidamente disciplinata dalla normativa con l’istituto dell’accertamento di conformità, disciplina sulla quale interviene continuamente la giurisprudenza, nel suo non facile compito di ricondurre le fattispecie concrete alle fattispecie astratte in un dato contesto temporale, anche con interpretazioni che risentono della caratterizzazione delle giurisdizioni (Costituzionale, Amministrativa, Penale).

La non facile convivenza tra il diritto positivo (leggi nazionali, regionali e regolamenti comunali), che è stato ed è in continua evoluzione, e quello vivente, di matrice giurisprudenziale, il quale risente della specificità della giurisdizione, determina una situazione dove, pur nella comprensibile differenziazione valutativa, registra orientamenti mutevoli tanto che uno stesso fatto può essere diversamente apprezzato e apprezzabile, anche nel tempo, e cioè nel momento della sua realizzazione e in quello attuale.

Il volume offre una disamina sistematica, concisa ma esaustiva sulle sanatorie, esponendo i quadri normativi e concettuali essenziali, su basi giurisprudenziali, con una ricca sezione di approfondimenti per evidenziare possibili profili di criticità e soprattutto offrire spunti argomentativi da sviluppare nella pratica professionale.

Il testo è pensato come strumento di lavoro dal taglio necessariamente tecnico-giuridico e pratico.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

27/12/2019 VENETO - tre nuove leggi (n. 49, n. 50 e n. 51del 23/12/2019)

Recupero sottotetti, regolarizzazione piccoli abusi, modifica l.r. 14/2019

Sul Bollettino Ufficiale della regionale Veneto n. 150 del 27 dicembre 2019, risultano pubblicate tre leggi regionali in materia edilizia-urbanistica:

  • legge regionale n. 49 del 23 dicembre 2019: Modifica alla legge regionale 4 aprile 2019 n. 14 "Veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio"";
  • legge regionale n. 50 del 23 dicembre 2019: Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme in materia di edificabilità dei suoli":
  • legge regionale n. 51 del 23 dicembre 2019: Nuove disposizioni per il recupero dei sottotetti a fini abitativi.

La prima legge regionale si limita a posticipare al 20 settembre 2020 la scadenza prevista dall'art. 17, comma 7, per l'adeguamento dei comuni alla legge sul contenimento del consumo di suolo e allo schema di Regolamento edilizio tipo (RET).

La terza legge regionale, invece, innova, abrogandola, la precedente legge regionale n. 12/1999 sul recupero dei sottotetti, in quanto "politica" congruente con il contenimento del consumo di suolo, sottotetti esistenti al 6 aprile 2019.

La legge regionale maggiormente significativa appare essere, indubbiamente, la n. 50/2019, già soprannominata "minicondono", che consente la regolarizzazione amministrativa delle parziali difformità edilizie risalenti nel tempo.

Considerando la legge regionale n. 61/1985, ed in particolare l'art. 92 relativo alle variazioni essenziali, gli abusi oggetto di regolarizzazione sono quelli in parziale difformità dal titolo abilitativo, compreso aumenti di volumi e di superfici.

La legge nulla dice riguardo alla conformità delle opere rispetto ai due momenti richiesti dalla legislazione nazionale di principio (c.d. doppia conformità), per cui sembrerebbe ammettere a "regolarizzazione" opere a prescindere dalla predetta doppia conformità.

Se effettivamente così, la legge regionale in questione potrebbe disciplinare un "nuovo condono edilizio", fatto, questo, che potrebbe avere delle ripercussioni in termini di legittimità.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

12/10/2019 VENETO - Commenti

I titoli abilitativi agli interventi edilizi assurgono a principio fondamentale

Durante i vari corsi di aggiornamento professionale sugli "abusi edilizi" svolti in questo anno, si è constatata l'incertezza sui titoli abilitativi edilizi, soprattutto nell'ambito delle disposizioni comunali, nelle quali alcuni interventi vengono ricondotti ad un regime diverso da quello stabilito nel testo unico edilizia.

Sembra esista una sorta di gerarchia cautelativa, nel senso che la richiesta del permesso di costruire viene ritenuta rassicurante perchè titolo abilitativo "maggiore", poi a scalare la SCIA e quindi la CILA. A questo si aggiungono i casi in cui una ritenuta (asserita) "esiguità" di un intervento, valutata anch'essa a "scalare", diventa ragione per incardinarlo nel titolo abilitativo "inferiore" (rispetto al permesso di costruire), sempre a "scalare" (Quindi SCIA o CILA).

In merito si deve ribadire che il sistema dei titoli abilitativi edilizi è stabilito, in osservanza dei principi di tipicità e nominatività, dal legislatore statale con il testo unico edilizia, il cui assetto vigente è quello determinatosi a seguito del d.lgs. n. 222/2016.

Infatti:

  • il Giudice Costituzionale, nel censurare diverse leggi regionali, non manca di ricordare che:
    • È giurisprudenza pacifica che, nell’ambito della materia concorrente «governo del territorio», prevista dal comma in questione, i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale (sentenze n. 259 del 2014, n. 139 e n. 102 del 2013, n. 303 del 2003), e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per la SCIA che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi (sentenze n. 121 del 2014, n. 188 e n. 164 del 2012) [Sentenza n. 49/2016];
    • ... le Regioni non possono «differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a CIL e CILA» (sentenza n. 231 del 2016). L’«omogeneità funzionale della comunicazione preventiva […] rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA) deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive – al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi – la natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio», in quanto volto a garantire l’interesse unitario ad un corretto uso del territorio (sentenza n. 231 del 2016) [Sentenza n. 68/2018].
  • il Giudice di legittimità, di par suo, ricorda che:
    • Il quadro complessivo ... risulta semplificato in quanto articolato su cinque ipotesi: interventi in attività edilizia libera, senza necessità di adempimenti; interventi in attività edilizia libera, il cui avvio è subordinato alla presentazione della CILA; interventi assoggettati al regime della SCIA, in taluni casi anche in alternativa al permesso di costruire; interventi assoggettati a permesso di costruire, in taluni casi accompagnato da una convenzione; interventi per i quali è possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla SCIA.
    • Il nuovo art. 6-bis del TUE disciplina invece gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). La figura in precedenza circoscritta ai soli interventi di manutenzione straordinaria non riguardanti parti strutturali dell’edificio e alle modifiche interne di carattere edilizio su fabbricati ad uso produttivo, assurge a modello procedurale residuale, applicabile agli interventi non ricompresi negli elenchi di cui agli articoli 6, 10 e 22 del testo unico.
    • Correlativamente, lo spazio applicativo della SCIA è stato riconfigurato e sottoposto ad una rigida tipizzazione. Il primo comma dell’art. 22 del TUE, prevede ora che siano avviabili previa segnalazione, i seguenti interventi: manutenzione straordinaria riguardante anche le parti strutturali dell’edificio; restauro e risanamento conservativo riguardanti le parti strutturali dell’edificio; ristrutturazione edilizia “leggera” (diversi da quelli di ristrutturazione edilizia “pesante”, che continuano ad essere sottoposti al regime del permesso di costruire).
    • È importante sottolineare come, a seguito della riforma, tra gli interventi assoggettati a CILA sono ora ricompresi anche il restauro e il risanamento conservativo, ove non riguardanti le parti strutturali dell’edificio.[Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 7 marzo 2019].

Dunque, fatti salvi i casi legislativamente previsti in cui è ammessa l'alternatività di taluni titoli legittimanti (es. il permesso di costruire anzichè SCIA - cfr. art. 22, comma 7 - o la SCIA alternativa al permesso di costruire - cfr. art. 23), Regioni e Comuni non possono liberamente scegliere i regimi di subordinazione degli interventi edilizi stabiliti dal testo unico edilizia.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

6/8/2019 VENETO - legge regionale25 luglio 2019, n. 29

Lavori in copertura e dispositivi di sicurezza: novellato l'art. 79-bis lr 61/85

Con la legge regionale n. 29/2019, in vigore dal 31 luglio, la Regione Veneto sostituisce l'art. 79-bis della propria legge regionale n. 61/1985, relativamente alle "misure preventive e protettive da predisporre negli edifici per l'accesso, il transito e l'esecuzione dei lavori di manutenzione sulle coperture in condizioni di sicurezza".

Per l'applicazione della disposizione occorre attendere la pubblicazione degli indirizzi, direttive ed istruzioni tecniche per la realizzazione delle predette misure.

La novella di maggior rilievo è data dal "campo di applicazione", infatti:

  • testo previgente: interventi edilizi che riguardano nuove costruzioni o edifici esistenti;
  • testo vigente: interventi edilizi che riguardano nuove costruzioni o interventi strutturali su coperture di edifici esistenti, in caso di installazione di impianti tecnologici che necessitano di interventi di manutenzione programmata (è tale quella regolamentata da norme di legge, norme di buona tecnica o manuali di uso e manutenzione rilasciati dal costruttore).

Si ritiene opportuno ricordare che nell'ambito della disciplina dei cantieri temporanei o mobili di cui al d.lgs. n. 81/2008 laddove risulta obbligatoria la redazione del fascicolo adattato alle caratteristiche dell'opera, occorre che questo preveda le misure preventive e protettive in dotazione all'opera, ovvero ausiliarie, per lo svolgimento di successivi lavori in condizioni di sicurezza, ed in particolare per i lavori di manutenzione.

I lavori in quota per manutenzione, qualunque questa sia, per tipologia e durata, richiedono di essere svolti sempre in condizioni di sicurezza; nel caso di affidamento ad una impresa, questa deve redigere il POS, per cui la legge impone una programmazione e progettazione della sicurezza.

Diversamente, l'affidamento di lavori a lavoratori autonomi, fatto salvo l'obbligo di verifica, da parte del committente, dell'idoneità tecnico-professionale, non risultano obbligati a documentare lo svolgimento dei lavori in sicurezza per il caso concreto, in particolare modo per "piccoli" lavori di breve durata.

Tuttavia, la predispozione di sistemi di ancoraggio per DPI anticaduta potrebbe diventare un rischio da considerare se detti dispositivi non dovessero essere oggetto di manutenzione e, soprattutto, di verifiche volte ad assicurare la loro efficacia nel tempo, in modo da offrire il necessario affidamento agli utilizzatori.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

20/6/2019 legge 14 giugno 2019, n. 55

G.U. n. 140 del 17/6/2019: il decreto-legge 32/2019 è legge

Il decreto-legge n. 32/2019, c.d. "sblocca cantieri", è stato convertito in legge, con modificazioni, a far data dal 18 giugno.

Come noto, il testo legislativo contiene sia disposizioni modificative e/o integrative di altri testi sia disposizioni "autonome", che occorrerà considerare "separatamente".

Testi normativi di interesse per i quali risultano dettate disposizioni di modifica/integrazione:

  • d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici);
  • d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico edilizia).

Testi normativi di interesse per i quali risultano dettate disposizioni "autonome":

  • d.m. 1 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967).

Per quanto concerne il testo unico edilizia, le modifiche integrazioni riguardano:

  • parte prima, art. 2-bis (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati), inserimento commi 1-bis e 1-ter;
  • parte seconda, modifiche agli artt. 59, 65, 67, 93, ed inserimento art. 94-bis (opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica, costruzioni in zona sismica).

Relativamente al d.m. 1444/68, la legge di conversione stabilisce:

(b-bis) le disposizioni di cui all'articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9.

Il predetto primo comma, n. 3, del d.m. n. 1444/68 riguarda:

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

23/4/2019 decreto-legge 18 aprile 2019

In G.U. n. 92 del 18/4/2019 il decreto "sblocca cantieri" - in vigore dal 19/4

Il 18 aprile scorso è stato pubblicato il decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, c.d. "sblocca cantieri", avente ad oggetto "Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici".

Con il suddetto provvedimento (cfr. artt. 1 e 2) non è stato "modificato" il solo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), bensì anche (cfr. art. 3 e 5) il testo unico edilizia (d.p.r. n. 380/2001).

Con l'art. 3 del decreto-legge si sono disposte modifiche-integrazioni agli artt. 65, 67 e 93 del TUE, con l'aggiunta dell'art. 94-bis, quali disposizioni in materia di semplificazione della disciplina degli interventi strutturali in zone sismiche (parte seconda del testo unico edilizia).

La modifica-integrazione del TUE disposta con l'art. 5 del decreto-legge, invece, è ricondotta alle "norme in materia di rigenerazione urbana", ovvero "Al fine di concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suolo e a favorire la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, nonché a promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti, nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione, ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l'adeguamento sismico del patrimonio edilizio esistente, anche con interventi di demolizione e ricostruzione".

Detta finalità è stata perseguita, a seguito di aclune modifiche al comma 1, con l'introduzione dei commi 1-bis e 1-ter all'articolo 2-bis "Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati".

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

5/3/2019 Consiglio di Stato, ord. n. 1431 del 1/3/2019

L.R. Veneto deroghe alle altezze nelle costruzioni: legittimità costituzionale?

La Regione Veneto aveva introdotto (con l.r. n. 32/2013) nella propria legge sul piano casa (n. 1/2009), all'art. 9, il comma 8-bis:

“Al fine di consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato ed in coerenza con l'obiettivo prioritario di ridurre o annullare il consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi liberi, in attuazione dell'articolo 2-bis del D.P.R. n. 380/2001 gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, realizzati ai sensi della presente legge, sono consentiti anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni, sino ad un massimo del 40 per cento dell'altezza dell'edificio esistente”

La questione, sorta con l'annullamento da parte del TAR Veneto (n. 944/2017) dei provvedimenti comunali (caso Castelfranco, difeso dall'avv. Zen, vice presidente Tecnojus), riguardante un progetto di demolizione e ricostruzione con ampliamento premiale c.d. piano-casa, è riferita alle possibilità di deroga tout-court del d.m. 1444/1968, articolo 8, relativo alle altezza, fuori da logiche pianificatorie.

Per il Consiglio di Stato:

La deroga alla disciplina dei parametri in tema di densità, di altezze e di distanze, realizzata dagli strumenti urbanistici deve quindi ritenersi legittima sempre che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati e sia fondata su previsioni planovolumetriche che evidenzino, cioè, una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario (artt. 8 lett. B nel caso di specie e 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968).

3.4 Alla luce delle considerazioni svolte, appare non coerente, rispetto alle indicazioni interpretative offerte dalla giurisprudenza costituzionale e ribadite dal disposto di cui all'art 2 bis t.u. edilizia, il mancato riferimento della norma impugnata a quella tipologia di atti menzionati nel testo del d.m. n. 1444 del 1968 richiamato, cui va riconosciuta la possibilità di derogare al regime delle altezze e delle distanze.

Inoltre, la stessa giurisprudenza costituzionale ha stabilito, con riferimento alle distanze sebbene con una considerazione che pare potersi estendere anche qui alle altezze stante l’analogia del testo del d.m. e la generalità della previsione letterale dell’art. 2 bis (ben più ampia della mera rubrica), che la deroga alle distanze minime potrà essere contenuta, oltre che in piani particolareggiati o di lottizzazione, in ogni strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della sostanza e delle finalità, purché caratterizzato da una progettazione dettagliata e definita degli interventi (sentenza n. 6 del 2013).

Ne consegue che devono ritenersi ammissibili le deroghe predisposte nel contesto dei piani urbanistici attuativi, in quanto strumenti funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio, secondo quanto richiesto, al fine di attivare le deroghe in esame, dall'art 2-bis del TUE, in linea con l'interpretazione nel tempo tracciata da questa Corte (ex multis, sentenze nn. 231, 189, 185 e 178 del 2016 e n. 134 del 2014).

3.5 Peraltro, tali peculiari elementi presupposti della deroga non si rivengono del testo della norma regionale in contestazione.

Il riferimento agli ampliamenti ed alle ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, nell’espressione utilizzata dal legislatore regionale veneto al comma 9 bis in oggetto, appare infatti in contrasto con lo stringente contenuto che dovrebbe assumere una previsione siffatta, risultando destinata a legittimare deroghe al di fuori di una adeguata pianificazione urbanistica.

L'assenza di precise indicazioni, in coerenza con quanto già evidenziato dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, non consente di attribuire agli interventi in questione un perimetro di azione necessariamente coerente con l'esigenza di garantire omogeneità di assetto a determinate zone del territorio; infatti, la dizione della norma si presta, sul piano semantico, a legittimare (come avvenuto nel caso di specie) anche interventi diretti a singoli edifici, in aperto contrasto con le indicazioni interpretative offerte in precedenza.

In tale ottica appare pertanto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma censurata, in quanto legittima deroghe alla disciplina delle altezze dei fabbricati al di fuori dell'ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, afronte dle principio contenuto nell’art. 2 bis cit., ed in violazione del limite dell'ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

3.6 In materia va altresì richiamata, a fini di completezza e di estensione dei principi predetti allo specifico tema delle altezze, la valenza generale del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 che, essendo stato emanato su delega dell'art. 41 quinquies, l. 17 agosto 1942 n. 1150, inserito dall'art. 17, l. 6 agosto 1967 n. 765, ha efficacia e valore di legge, sicché sono comunque inderogabili le sue disposizioni in tema di limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5732). Le relative disposizioni in tema di distanze tra costruzioni non vincolano solo i Comuni, tenuti ad adeguarvisi nell'approvazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti, ma sono immediatamente operanti nei confronti dei proprietari frontisti; tale conclusione vale, analogamente, per le altezze, poiché scopo delle norme regolamentari concernenti l'altezza degli edifici non è soltanto la tutela dell'igiene pubblica, ma, insieme, quella del decoro e dell'indirizzo urbanistico dell'abitato (cfr. in termini ad es. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931).

Analogamente la giurisprudenza è da tempo orientata in modo univoco ad affermare che il decreto ministeriale in questione (ascrivibile secondo una preminente teoria all'atipica categoria dei regolamenti delegati o liberi) ha efficacia di legge, cosicché le sue disposizioni, anche in tema di limiti inderogabili di altezza dei fabbricati, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, alle quali si sostituiscono per inserzione automatica, con conseguente loro diretta operatività nei rapporti tra privati (cfr. a partire da Cass ss.uu. 1 luglio 1997 n. 5889, nonché ad es. Cass., sez. II, 14 marzo 2012, n. 4076 e Cass., sez. un., 7 luglio 2011, n. 14953).

A fronte della riconosciuta valenza del d.m. 1444, confermata dalla consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze 114\2012, 282\2016, 185\2016, 178\2016, 41\2017), gli spazi di derogabilità appaiono ammissibili, in capo al legislatore regionale, nei limiti dettati dal legislatore statale, dotato di competenza in tema appunto di principi fondamentali in materia di governo del territorio; orbene, nel caso di specie il legislatore regionale appare aver oltrepassato detti limiti, nella parte in cui consente le indicate deroghe al di fuori dell’ammesso ambito di “definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.

4. Sussistendo tutti i presupposti per sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87, la questione, quale sopra sollevata, deve essere devoluta alla Corte Costituzionale, cui gli atti del presente giudizio vanno pertanto immediatamente trasmessi, previa sospensione del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 8 bis della legge regionale del Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), in riferimento all’art. 117, secondo comma lett l) e terzo comma, della Costituzione, nei sensi e nei termini di cui al punto 3.2 della parte motiva della presente ordinanza.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

28/02/2019 News

Nuova voce di "urbanistica" in enciclopedia Treccani del prof. Urbani

Sul sito della rivista giuridica di urbanistica dello studio del prof. avv. Paolo Urbani (Pusania), è data notizia della pubblicazione online (2019) nell'enciclopedia Treccani, della voce "urbanistica" scritta dal prof. Paolo Urbani.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

22/02/2019 novità editoriali

Regime delle distanze in edilizia

In febbraio ha trovato pubblicazione la 7 edizione del libro "Il regime delle distanze in edilizia". Questa nuova edizione del volume prosegue nell’obiettivo di tenere (doverosamente) aggiornato uno strumento di lavoro, qual è stato inteso, concepito e redatto il volume stesso, inerente un argomento che continua ad essere oggetto di controversie e/o registrare contrasti sia a livello normativo (tra fonti) sia a livello applicativo (ambito civilistico ed ambito amministrativo). Infatti, non c’è anno (oramai) in cui non vi siano provvedimenti normativi diretti o incidenti sulla disciplina delle distanze e, in particolare, in cui non vi siano espressioni giurisprudenziali tanto sulle normative (regionali, in particolare), oggetto di valutazione della Corte Costituzionale, quanto su questioni di legittimità, oggetto di valutazione della Suprema Corte di Cassazione civile e/o del Consiglio di Stato.

Gli aggiornamenti apportati si riferiscono da un lato ad annotazioni conseguenti a giurisprudenza recente, dall’altro a dare evidenza alle questioni emerse, o segnalate dai lettori, e ritenute maggiormente significative quali, ad esempio:

• il regime delle altezze nell’ambito della disciplina delle distanze legali;
• criteri di misurazione (cap. 6) dopo il regolamento edilizio tipo e considerazioni in merito;
• più in generale, gli effetti del regolamento edilizio tipo sul regime delle distanze, a seguito delle definizioni uniformi;
• la questione 2% di cui all’art. 34, comma 2-ter, del testo unico edilizia che riguarda anche generici “distacchi”;
• considerazioni sulle distanze in ZTO (Zone Territoriali Omogenee) per le nuove costruzioni, anche alla luce di recente giurisprudenza.

Dunque, prosegue l’impegno di mantenere sempre vivo un testo con un taglio pratico e professionale, offrendo tutti i concetti essenziali e fondamentali della materia, oltre a qualsiasi altro contenuto utile ad accrescere quel patrimonio di conoscenze e saperi propri delle professioni tecniche e delle professioni giuridiche, verosimilmente chiamate a fornire alla committenza e alla collettività “servizi” professionali con un sempre maggiore valore aggiunto.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

29/01/2019 News

Sanzioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro

La circolare n. 2/2019 del 14 gennaio 2019 dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), chiarisce gli aumenti apportati in materia sanzionatoria, in particolare quelli relativi alle inosservanze del d.lgs. n. 81/2008, per le quali è stato disposto un "aumento" del 10%.

La maggiorazione suddetta, al pari delle altre, tuttavia, sono raddoppiate laddove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative penali per i medesimi illeciti.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

04/01/2019 novità editoriali

ABUSI EDILIZI

In dicembre 2018 è stato pubblicato da GRAFILL Editoria Tecnica il nuovo volume dedicato agli ABUSI EDILIZI, disponibile sia in edizione cartacea che ebook, con CD allegato.

In epigrafe ho citato Salvatore Quasimodo, Thanatos Athanatos, ottava lirica in La vita non è un sogno (Là oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi vigila la potenza delle foglie, vero il fiume che preme sulle rive) per rappresentare quello che evoca in me l'argomento abusi edilizi: una richiesta incessante di risposte ad una moltitudine di domande, in quella sorta di eterna ricerca di una verità (o di una conoscenza), pur nella consapevolezza che la certezza, forse, riposa altrove.

Infatti, l'edilizia, così come declinata nell'ordinamento giuridico, è notoriamente una materia di par suo complessa, anzi, tra norme nazionali, norme regionali/provinciali ed europee, unite alle variegate espressioni giurisprudenziali (costituzionali, penali, amministrative), sembra sconfinata nell'infruttifera e dannosa complicazione (una selva oscura, o quasi).

A questa complessità-complicazione della materia occorre inoltre considerare i differenti approcci disciplinari riconducibili alle diverse forme di esercizio di una stessa professione e alla pluralità di professioni che se ne occupano: così i tecnici possono essere liberi professionisti oppure dipendenti pubblici o privati, a questi si aggiungono i giuristi, e cioè giudici e magistrati nelle varie giurisdizioni, avvocati, e loro ausiliari tecnici e di polizia giudiziaria.

Da questo convincimento, grazie all'Editore, si è pensato e dato vita ad un volume che contenga, esaustivamente ma senza rinunciare ad una sintesi operativa, gli "strumenti concettuali" essenziali, con un'attenzione particolare alle attività di:

  • progettista delle conformità;
  • direttore dei lavori delle conformità e delle regole dell'arte;
  • collaudatore;
  • consulente tecnico e perito.

Per raggiungere lo scopo, l'opera è stata strutturata in cinque aree logiche poste tra loro in relazione e connessione:

  • il sistema delle tutela pubblicistiche, e cioè la ragione d'essere (finalità) delle normative;
  • i controlli e la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia;
  • gli abusi edilizi;
  • le sanzioni;
  • le sanatorie.

L'impegno profuso è stato notevole, sotto il profilo personale mi auguro di poter contribuire ad aggiungere qualche utilità in termini di conoscenza e di operatività sull'argomento.

Romolo Balasso

per Tecnojus e Accademia Tecnojus

© Riproduzione riservata

 

AVVERTENZA: il presente sito non è una testata giornalistica né altro prodotto editoriale professionale bensì il sito di servizio del Centro Studi per le proprie attività. Per altri usi "esterni" si invita a leggere la policy e il disclaimer. Il sito è curato da: Romolo Balasso architetto