TAR Veneto, sezione 2, sentenza 3 dicembre 2010, n. 6320

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L.R. Veneto 11/04, art. 30: annullamento dei provvedimenti comunali e poteri sostitutivi esercitabili dalla Provincia in caso di non conformità alla disciplina urbanistico-edilizia
di romolo balasso architetto

La sentenza TAR riguarda l'articolo 30 della l.r. 11/2004, avente ad oggetto "annullamento dei provvedimenti comunali e poteri sostitutivi" che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi, o comunque in contrasto con la normativa urbnaistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.

La normativa regionale, come noto, asserisce che tali provvedimenti (permessi di costruire e DIA da art. 22, comma 3 - c.d. superDIA) "possono essere annullati dalla provincia", senza precisare i casi di promovimento e l'obbligatorietà o meno di provvedere da parte della Provincia stessa.

Il caso:

a) dei privati segnalano alla Provincia una presunta illegittimità di un titolo abilitativo edilizio;

b) la Provincia, con proprio decreto dirigenziale, dispone l’archiviazione del procedimento.

c) infatti, "dopo aver analizzato il contenuto dell’esposto e le giustificazioni dell’Amministrazione comunale, il provvedimento conclude che non sussistono né i presupposti d’illegittimità né ragioni di pubblico interesse per avviare la procedura di annullamento".

d) In particolare, il decreto rappresenta che “il potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi da parte della Regione (e nella Regione Veneto delegato alla Provincia ai sensi dell’art. 30 l.r.11/2004) va esercitato considerando che tale Ente è titolare dei soli poteri di vigilanza e controllo ma privo della facoltà di sostituirsi al Comune nella diretta gestione del territorio e nell’adottare determinate scelte, e quindi è tenuto a valutare la rilevanza di eventuali illegittimità e la sussistenza dell’interesse pubblico con riferimento esclusivo all'interesse alla conservazione della situazione esistente”: nella fattispecie, non erano stati riscontrati particolari interessi di rilievo pubblico alla rimozione della situazione preesistente;

e) i "denuncianti" hanno impugnato avanti al Tar adito tale decreto di archiviazione.

La sentenza del TAR affronta due questioni:

  1. la legittimazione dei ricorrenti. Sul punto il TAR asserisce:
    • l’esercizio del potere provinciale in materia è ampiamente discrezionale, e dalla norma non deriva al terzo denunziante una posizione, tale per cui l’Amministrazione abbia l’obbligo, ex art. 2 l. 241/90, di avviare un procedimento per l’eventuale annullamento e di dar poi conto all’interessato del relativo esito: in altre parole, la Provincia, come può avviare d’ufficio il procedimento, può anche archiviare senz’altro la segnalazione, e non è tenuta nemmeno a verificarne la fondatezza.

      Ove però il procedimento sia volontariamente avviato, ciò attribuisce uno specifico rilievo alla posizione dell’esponente – nel caso, gli interessati hanno potuto addirittura controdedurre alle osservazioni del Comune – collocandolo così in una posizione differenziata e qualificata, che lo legittima ad impugnare la decisione conclusiva di non procedere all’annullamento, come in specie.

  2. sulla fondatezza del ricorso contro il decreto di archiviazione. In merito il TAR valuta come "palesemente infondato" sulla seguente argomentazione:
  • il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento d’archiviazione, non può divenire un artificio, attraverso il quale impugnare il provvedimento edilizio comunale, che non è stato tempestivamente gravato ed è divenuto dunque definitivo: non si può dare ingresso a vizi propri di quest’ultimo, salvo che ciò non si traduca in un vizio di travisamento o di carenza di motivazione del decreto provinciale
  • va ribadito che le determinazioni provinciali in materia costituiscono atti ampiamente discrezionali, e la pur accertata illegittimità del provvedimento comunale non impone l’esercizio del relativo potere, poiché le condizioni che giustificano l'annullamento d'ufficio sono due: “la prima, la non conformità delle opere con le prescrizioni del p.r.g., del piano di fabbricazione e del regolamento edilizio, da verificarsi in riferimento sia con la disciplina urbanistica - edilizia vigente al momento del rilascio delle concessioni sia con la condizione di fatto in cui si trova l'immobile; la seconda, la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto all'annullamento del quale deve essere data una congrua motivazione sempre sul profilo urbanistico edilizio” (C.d.S. sez. IV, 12 luglio 2001, n. 3900).

Un elemento della sentenza incuriosisce (e, forse, fa riflettere):

Secondo i due esponenti, per poter ottenere la relativa approvazione la proprietaria avrebbe preliminarmente alterato lo stato dei luoghi e segnatamente il piano di campagna: il titolo sarebbe stato così rilasciato in base ad una falsa rappresentazione della realtà, consentendo un aumento di volumetria non conciliabile con il piano regolatore generale.

per il TAR, dopo aver dimostrato che la conformità sussisterebbe e che non vi erano in atti elementi da provare una diversa e preliminare rappresentazione/alterazione dei luoghi, conclude asserendo che:

Ora, come si vede, la concessione edilizia non confligge per tale con la normativa urbanistica. Sarebbe semmai la situazione di fatto rappresentata nella relativa domanda, ad essere diversa da quella reale: per cui non si può affermare che il titolo, in quanto tale, autorizzi interventi difformi dalla disciplina urbanistica.

...

È evidente che, se anche la concessione fosse stata effettivamente rilasciata in base ad un’erronea valutazione della situazione di fatto, ciò non costituirebbe un precedente dannoso, né comunque l’intervento verrebbe ad incidere su interessi riferibili alla collettività o, almeno, ad un significativo ed indeterminato novero di soggetti.

data documento:
14-12-2010
file: sentenza
fonte: