TAR Veneto, sezione 2, sentenza 1 febbraio 2011, n. 188

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Permesso di costruire rilasciato dal commissario ad acta - natura giuridica - ammissibilità dell'annullamento in autotutela da parte del Comune
di romolo balasso architetto

Il fatto.

Un'amministrazione comunale non determina su una domanda di titolo abilitativo edilizio presentata (il 6 agosto 2008) da un interessato (in variante ad uno già rilasciato - per modifiche della destinazione d'uso). Presumibilmente tale silenzio è dovuto al fatto che nelle more del procedimento di rilascio veniva accertato (il 10 febbraio 2009) un'esecuzione dei lavoro non conforme al permesso rilasciato, avviando il relativo procedimento.

A questo punto interviene l'accoglimento del ricorso amministrativo nel frattempo proposto dall'istante avverso il silenzio amministrativo. L'inottemperanza della decisione ha determinato la nomina del commissario ad acata che ha rilasciato il permesso di costruire.

In seguito a tale rilascio il Comune ha avviato il procedimento per l'annullamento d'ufficio del permesso di costruire rilasciato dal Commissario ad Acta, conclusosi con provvedimento di Consiglio Comunale, impugnato dalla parte interessata.

Con il primo mezzo di gravame è stata dedotta la carenza assoluta di potere in capo all’amministrazione comunale; riproponendo un noto orientamento, avallato anche da parte della giurisprudenza, la difesa della ricorrente ha sostenuto che, essendo il commissario ad acta un ausiliario del giudice, l’unica iniziativa che l’amministrazione avrebbe potuto assumere avrebbe dovuto essere quella dell’incidente di esecuzione da proporre innanzi all’autorità giurisdizionale.

Il TAR, con articolata argomentazione, così ha deciso:

2.1. Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la carenza assoluta di potere in capo all’amministrazione comunale.

Richiamando un noto orientamento, avallato anche da parte della giurisprudenza, la difesa della ricorrente ha sostenuto che, essendo il commissario ad acta un ausiliario del giudice, l’unica iniziativa che l’amministrazione avrebbe potuto assumere avrebbe dovuto essere quella dell’incidente di esecuzione, da proporre innanzi all’autorità giurisdizionale:sicché l’amministrazione non avrebbe in radice il potere d’annullare in autotutela i provvedimenti del commissario ad acta.

2.2. La censura è fondata.

Come noto, con riferimento alla natura giuridica del commissario ad acta sono state prospettate tre tesi: organo straordinario ausiliario del giudice; organo straordinario dell’amministrazione; organo misto, per alcuni spetti ausiliario dell’amministrazione e per altri del giudice.

La tematica è stata più volte approfondita dal giudice d’appello che, in specie con la sentenza della IV sezione, n. 3602 del 25 giugno 2007 – della quale di seguito di riportano i passaggi più significativi – pur non prendendo posizione a favore dell’una o dell’altra tesi, ha operato una ricostruzione chiara e completa delle varie opzioni interpretative.

Preliminarmente, il Consiglio di Stato evidenzia che “se per il commissario ad acta nominato in sede di ottemperanza per l'esecuzione del giudicato, prevale la tesi secondo cui si tratta di un organo ausiliario del giudice (tesi che ha ricevuto anche l'importante avallo dell'Adunanza plenaria n. 23 del 1978), il dibattito è, invece, tutt'ora aperto per quella speciale figura di commissario ad acta nominato per porre rimedio alla persistente inerzia dell'Amministrazione”.

In questo caso, infatti, secondo la tesi preferibile, non si ha un vero e proprio giudizio di ottemperanza, tant'è che l’ art. 21 bis della l. n. 1034 del 1971 – attualmente sostituito dagli artt. 31 e 117 c.p.a. – non rinviava alle norme sul giudizio di ottemperanza, ma si limitava a prevedere la nomina di un commissario ad acta. Si ha, più propriamente, una ottemperanza "anomala" o "speciale", dove la specialità risiede nella circostanza che si prescinde dal passaggio in giudicato della sentenza, e, soprattutto si ammette l'intervento del commissario nell'ambito del medesimo processo, senza più bisogno di un ricorso ad hoc, essendo sufficiente una semplice istanza al giudice che ha dichiarato l'illegittimità del silenzio (Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3602).

Anzi, proprio prendendo atto della unitarietà che ormai lega la fase di cognizione sull'inadempimento dell'amministrazione e la successiva fase esecutiva, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la possibilità, se l'interessato ne fa richiesta, di disporre in via contestuale l'ordine di provvedere e la nomina del commissario ad acta, il quale, opererà non subito, ma solo nell’ipotesi in cui si protragga l'inerzia dell'Amministrazione (ibidem).

2.3. Ma, come evidenziato nella suddetta pronuncia del giudice d’appello, “la specialità di questa forma di ottemperanza deriva anche dal fatto che il commissario ad acta nominato nell’ambito del rito sul silenzio, può assumere un ruolo del tutto inedito, in quanto la sua attività può non essere volta al completamento ed all'attuazione del dictum giudiziale recante direttive conformative dell'attività amministrativa, ma può atteggiarsi come attività di pura sostituzione, in un ambito di piena discrezionalità, non collegata alla decisione se non per quanto attiene al presupposto dell'accertamento della prolungata inerzia dell'amministrazione”.

Ed infatti, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 80/2005 all'art. 2 della legge n. 241/1990, il giudice amministrativo, chiamato a giudicare sul ricorso contro il silenzio-rifiuto della p.a., può limitarsi a dichiarare l'esistenza dell'obbligo di provvedere, senza svolgere però alcuna valutazione in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale dell'istante. Questo può accadere o perché il ricorrente non chiede il giudizio sulla fondatezza della pretesa, o perché il giudice ritiene, a torto o a ragione, che non vi siano i presupposti per esercitare tale sindacato, perché il provvedimento richiesto dal privato involge valutazioni discrezionali dell'Amministrazione.

Non a caso, l'art. 31 c.p.a. – con ulteriori specificazioni rispetto alla previsione contenuta nell’art. 2 legge n. 241/1990 nella sua formulazione precedente alle modifiche introdotte ed alle abrogazioni disposte dal decreto legislativo n. 104 del 2010 – prevede che il giudice "può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione"; il sindacato sul rapporto è, dunque, una eventualità, e non una componente necessaria della sentenza sul silenzio.

Ed allora, in tutti i casi in cui il giudice amministrativo si sia limitato soltanto a dichiarare l'obbligo di provvedere, senza vincolare in alcun modo la successiva attività amministrativa, il commissario ad acta, nominato in caso di persistente inerzia della p.a., viene a disporre di uno spazio di libertà sicuramente sconosciuto all'analoga figura nominata in sede di esecuzione al giudicato. Non vi è, infatti, una vera e propria sentenza di ottemperanza, ma un semplice atto di nomina, con cui il giudice non dice all'amministrazione come deve provvedere, ma demanda tutto all'organo amministrativo straordinario che è il commissario.

Si ha qui, allora, un commissario che assomiglia più ad un organo dell'Amministrazione che ad un ausiliario del giudice.

Come evidenziato nella suddetta pronuncia del Consiglio di Stato, “se quella appena prospettata è una plausibile ricostruzione del dato positivo, è tuttavia senz'altro possibile, come la migliore dottrina non ha mancato di evidenziare, una diversa ricostruzione, secondo cui il previsto atto di nomina del commissario ad acta nell’ambito della pronuncia resa sul ricorso proposto avverso il silenzio sarebbe una vera e propria sentenza di ottemperanza in cui il giudice detta anche le direttive per l'operato dell'Amministrazione. Ricostruita la norma, in questi termini, si avrebbe almeno nella fase esecutiva del giudizio, un vero e proprio giudizio di merito e il commissario dovrebbe essere qualificato come ausiliario del giudice, o, al più, come un organo misto” (Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3602).

2.4. In tale quadro si inseriscono le innovazioni apportate dal codice del processo amministrativo, approvato con il d.lgs. n. 104 del 2010.

Ed invero, nell’ampio dibattito sviluppatosi sul nuovo testo normativo, non è mancato chi ha ritenuto di trarre elementi a sostegno della tesi che sostiene la natura di ausiliario del giudice del commissario ad acta nominato ai sensi dell’art. 117 c.p.a. dalla previsione contenuta nell’art. 21 c.p.a. che annovera espressamente la figura del commissario ad acta tra gli ausiliari del giudice, a prescindere dal procedimento nell’ambito del quale questo viene nominato.

Il Collegio non ritiene tale argomento decisivo; si osserva, infatti, che l’art. 21 sopra citato si riferisce alle fattispecie nelle quali il giudice amministrativo “deve sostituirsi all’amministrazione” sicché, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, posto che il commissario nominato ai sensi dell’art. 117 c.p.a. (a differenza di quello nominato in sede di ottemperanza) sostituisce l’amministrazione e non il giudice – non avendo la pronuncia sul silenzio, almeno di regola, alcun contenuto specifico al quale dare ottemperanza, ulteriore rispetto all’obbligo di provvedere – la previsione dovrebbe essere esclusivamente riferita alle fattispecie di cui agli artt. 34, comma 1, lett. e) e 114 c.p.a..

2.5. Il Collegio sottolinea, tuttavia, che è proprio dall’art. 117 c.p.a. che si trae un argomento risolutivo per sostenere tale qualificazione, secondo la disciplina attualmente in vigore.

Il IV comma del citato art. 117 stabilisce che il “giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario”.

La norma non circoscrive a soggetti specifici la legittimazione ad adire il giudice per la soluzione di tali questioni, così riconoscendola implicitamente anche all’Amministrazione interessata dall’azione sostitutiva del commissario.

Peraltro, una volta acquisito che l’incidente di esecuzione costituisce lo strumento comune per far valere gli ipotetici vizi dei provvedimenti commissariali, ciò esclude, all’evidenza, la possibilità per l’amministrazione di esercitare poteri di annullamento in autotutela avverso il provvedimento adottato dal commissario ad acta.

2.6. È vero che, in specie, il Comune resistente ha assunto la propria determinazione prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo: il Collegio ritiene, tuttavia, che già allora, a prescindere dalla tesi ritenuta preferibile in ordine alla natura giuridica del commissario ad acta, la possibilità per l’amministrazione di procedere all’annullamento in autotutela dei provvedimenti adottati dal commissario ad acta fosse comunque esclusa.

E, invero, a seguito della perdurante inerzia dell’amministrazione e dell’adozione del provvedimento da parte del commissario ad acta, organo straordinario attributario di una competenza specifica, si determina una definitiva perdita dei poteri rimanendo precluso alla amministrazione ogni margine di ulteriore intervento.

Il principio, già affermato dalla giurisprudenza con esclusivo riferimento ai provvedimenti adottati dal commissario ad acta nominato in sede di ottemperanza per l'esecuzione del giudicato, deve ritenersi applicabile anche nella fattispecie in esame, nella quale l’amministrazione resistente ha annullato d’ufficio il provvedimento adottato dal commissario nominato con la pronuncia di accoglimento del ricorso avverso il silenzio proposto dalla società ricorrente.

Tale conclusione è sorretta in primo luogo dalla natura straordinaria dell’organo che ha adottato l’atto (il commissario ad acta) e dalla disciplina contenuta nell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 che, come noto, prescrive che l’annullamento d’ufficio compete all’amministrazione che ha emanato l’atto o a quella espressamente autorizzata a farlo in base ad una norma di legge, la cui ratio deve essere individuata anche nella tutela del principio di competenza.

2.7. Soccorre, inoltre, una ulteriore considerazione.

Nell’evoluzione del sistema della tutela giurisdizionale i principi di pienezza ed effettività hanno assunto una crescente centralità, costituendo non solo la radice comune delle innovazioni attuate in specie nell’ultimo decennio ma anche fondamentali criteri che l’interprete e, in primis, il giudice, è tenuto a considerare.

Non vi è dubbio che tali principi e la stessa razionalità del sistema finirebbero con l’essere frustrati da una opzione interpretativa difforme da quella prospettata che consentisse all’amministrazione – com’è accaduto nella fattispecie in esame nella quale l’annullamento d’ufficio del provvedimento adottato dal commissario ad acta è intervenuto dopo mesi di inerzia ed a distanza di soli tredici giorni dall’adozione dell’atto annullato – di sostanzialmente vanificare la tutela riconosciuta con la pronuncia giurisdizionale sul silenzio, onerando l’interessato, del tutto ingiustificatamente, della proposizione di un nuovo ricorso avverso il provvedimento di annullamento d’ufficio.

L’amministrazione, peraltro, non è sfornita di mezzi di tutela; la p.a., infatti, potrà agire proponendo ricorso avverso la determinazione assunta dal commissario ovvero attraverso l’incidente di esecuzione, a seconda che, rispettivamente, si aderisca alla tesi della natura del commissario ad acta quale organo straordinario dell’amministrazione oppure a quella dell’organo ausiliario del giudice.

3. Alla luce di quanto esposto emerge l’illegittimità del provvedimento gravato: quanto alle ulteriori censure dedotte, il Collegio procede ad assorbimento, non potendo derivare alla ricorrente alcuna utilità ulteriore rispetto a quella già conseguita dell’annullamento in esito alle considerazioni sopra svolte.

data documento:
9-02-2011
file: sentenza

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