TAR Veneto, sezione 2, sentenza 1 febbraio 2011, n. 185

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Distanze muretti di contenimento - scarpate - DM 1444/68 natura
di romolo balasso architetto

Preliminarmente il Collegio sottolinea che, per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10 gennaio 2006, n. 145; Cons. St., Sez. IV, 24 aprile 2009, n.2579; Cons. St, Sez. V, 28 giugno 2000, n.3637).

2.2. Nella fattispecie oggetto di giudizio assume centrale rilevanza, dunque, la verifica in ordine alla preesistenza di un dislivello naturale tale da rendere necessaria la realizzazione del muro allo scopo di contenimento del terreno, onde evitare pericoli di frane e smottamenti.

2.3 Dalla documentazione versata in atti e dalle allegazioni sia dell’amministrazione resistente sia dei controinteressati non emergono elementi idonei a sostenere che il muro, abusivamente edificato, avesse la funzione di contenere un terreno già in origine esistente e ceduo.

A tal fine, infatti, non risulta affatto significativa la circostanza che tra le proprietà interessate esista una differenza di quota di 1,40 metri; ciò in quanto, in assenza di ulteriori allegazioni idonee ad evidenziare la rilevanza di tale dato in rapporto ad altri elementi, tra i quali anche alla pendenza ed all’andamento del terreno – che era onere degli interessati produrre – non può ritenersi provata l’esistenza sia della preesistenza della massa di terreno sia delle caratteristiche dimensionali di tale massa.

In base alla citata giurisprudenza, infatti, il terrapieno ed il muro di contenimento rilevano quali nuove costruzioni non solo nel caso il cui il dislivello sia stato prodotto artificialmente ma pure quando il dislivello già esistente sia stato aumentato.

Neanche soccorre, in senso contrario, la documentazione fotografica prodotta dalla quale emerge che il muro, dell’altezza di metri 1,77 e sormontato da rete metallica, è stato realizzato in aderenza ad un preesistente zoccolo in muratura avente un’altezza di soli 0,30mt. e che i terreni circostanti non presentano significativi dislivelli.

Sussistono, anzi, elementi idonei ad essere apprezzati al fine proprio di escludere la preesistenza di un dislivello naturale.

Nel verbale redatto dalla polizia locale di Rovigo in data 20 dicembre 2007 in esito al sopralluogo eseguito, infatti, si afferma testualmente che “l’opera muraria così eseguita funge da mura di contenimento del terreno il cui livello, nell’area cortiliva indicata in oggetto, è stato rialzato mediatamente di circa mt. 1,00”.

Non è un caso, peraltro, che proprio l’amministrazione comunale, nella comunicazione di avvio del procedimento volto all’accertamento dell’abuso edilizio, non ha mancato di chiedere chiarimenti in relazione al rialzamento artificiale del terreno.

2.4 L’opera, dunque, rileva quale nuova costruzione con conseguente applicazione delle disposizioni in materia di distanze, tra le quali, in primis, quelle di cui al d.m. n. 1444 del 1968.

Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 - là dove all'art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra privati. E da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 1.11.2004 n. 21899) che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata (cfr. Cons. St., sez. V, e novembre 2010 n. 7731; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 16 ottobre 2009, n. 1742).

Più in generale, va posto in rilievo che l'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, là dove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine (cfr. T.A.R. Toscana, Sez. III, 4.12.2001 n. 1734, T.A.R. Liguria Sez. I, 12.2.2004 n. 145). Pertanto, le distanze tra costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della relativa disciplina (cfr. Cons. St., Sez. IV, 5.12.2005 n. 6909).

Alla luce di quanto esposto, dunque, anche a prescindere dalla circostanza che nella fattispecie in esame sono stati erroneamente ritenuti sussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 5 lett. L delle N.T.A. del P.R.G. di Rovigo – risultando per tabulas che il corpo di fabbrica emerge dal piano di campagna originario per oltre 0,80 mt., in specie ove si consideri che l’opera de qua deve essere considerata unitariamente senza possibilità di distinguere la parte cementizia da quella in rete metallica, essendo quest’ultima strettamente compenetrata alla prima in modo da costituire un tutt’uno – del tutto illegittimamente l’amministrazione ha ritenuto non applicabile la disciplina dettata dall’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444.

2.5 Va ulteriormente osservato, infine, che in tema di distanza fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela". Questo vuol dire che il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata.

Più specificamente, per consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, “le controversie tra proprietari di fabbricati vicini aventi ad oggetto questioni relative all'osservanza di norme che prescrivano distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo anche a tale materia applicabile il principio secondo il quale nei rapporti tra privati non si pone una questione di giurisdizione, essendo la posizione di interesse legittimo prospettabile solo in rapporto all'esercizio del potere della pubblica amministrazione che, invece, in tali controversie non è parte in causa. Né a tal fine rileva l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, atteso che il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto soggettivo, può incidentalmente accertare l'eventuale illegittimità della concessione edilizia medesima, onde disapplicarla; mentre la giurisdizione del giudice amministrativo è al riguardo configurabile allorché la controversia sia insorta tra il privato e la pubblica amministrazione, per avere il primo impugnato detta concessione al fine di ottenerne l'annullamento nei confronti della seconda" (cfr., ex multis, Cass., SS.UU., 1 luglio 2002 n. 9555).

Consegue da ciò, quindi, che sussistono nel nostro ordinamento ipotesi di doppia tutela in relazione a possibili violazioni della disciplina vigente in materia di distacco delle costruzioni dai confini del fondo ovvero da altre costruzioni, a seconda che si agisca nei riguardi del confinante ovvero nei confronti dell'Amministrazione Comunale che ha rilasciato il titolo edilizio, ben potendo le azioni stesse coesistere e ben potendo il titolare dell'interesse qualificato alla legittimità dell'azione amministrativa ottenere, comunque, in sede di giurisdizione amministrativa l'annullamento ope iudicis del titolo edilizio reputato illegittimo anche a prescindere dalla sua eventuale disapplicazione da parte del giudice ordinario concomitantemente adito (cfr. TAR Veneto Sez II, 17.6.2005 n. 2504)

 

data documento:
7-2-2011
file: sentenze

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