TAR Veneto, sezione 2, sentenze n. 1268/2010 e n. 5242/2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Annullamento in autotutela del permesso di costruire - presupposti e condizioni - diritti dei terzi e ctu nei riti civili
di romolo balasso architetto

Con due sentenze, una del 2 aprile e l'altra del 30 settembre, il TAR del Veneto è tornato ad affrontare il tema dell'annullamento c.d. d'ufficio del permesso di costruire.

Il primo caso riguarda un annullamento parziale di un permesso di costruire del 2005, disposto con un provvedimento del 2009 facendo riferimento ad una CTU svolta nel giudizio civile, insorto tra proprietari di fondi finitimi per regolare il confine di proprietà, quindi la titolarità di una porzione di terreno sul quale è stato realizzato (parte) dell'intervento permesso, motivato da "parziale difetto di titolarità del sedime ...evidenziando anche la errata rappresentazione dei luoghi circa l'andamento della linea confinaria.".

Il secondo caso, invece, riguarda due provvedimenti di parziale annullamento in autotutela dei titoli edificatori rilasciati nel 1999 e nel 2000, riferite ad una ristrutturazione edilizia di edificio datato ubicato in centro storico, segnatamente con ordinanze del 2004 e del 2007, la prima per "sopraelevazione arbitraria dell'edificio mediante non conforme rappresentazione dello stato dei luoghi, limitatamente al dislivello di m 0,15", la seconda in rettifica della prima in quanto il dislivello è di m. 0,269 anzichè 0,15.

1 caso:

Il comune, si legge in sentenza, ha proceduto all'annullamento parziale del permesso di costruire in quanto illegittimo nella parte in cui autorizza l'edificazione in un'area sulla quale non sussiste titolarità reale, ritenendo che l'affidamento della titolare del permesso di costruire non possa trovare tutela in presenza di una falsa rappresentazione della realtà, sia nell'ambito della titolarità del lotto, che della sua configurazione, sussistendo un interesse pubblico peculiare non recedente rispetto a quello del privato concessionario dell'edificio.

La mancanza di titolarità di un'esigua area è stata ricavata da una CTU relativa ad una causa civile in corso tra le due proprietà confinanti, e da accertamenti propri compiuti dall'ufficio tecnico.

La motivazione, tuttavia, nonostante gli "accertamenti istruttori" è stata ritenuta inadeguata "in relazione alle previsioni di cui al ripetuto art. 21 nonies, per cui l'annullamento d'ufficio di un provvedimento, se effettuato entro un termine ragionevole, è legittimo quando sussistano ragioni di interesse pubblico, e tenendo comunque conto 'degli interessi dei destinatari e dei controinteressati'".

L'interesse pubblico peculiare non recedente individuato dal comune è stata la falsa rappresentazione della realtà per quanto riguarda la configurazione del lotto di terreno, questione non definita in sede civile (mancando la sentenza al momento dei provvedimenti comunali), per cui "come l'intera questione civile sul confine di proprietà è tuttora incerta, lo è altrettanto la malafede dell'interessata, il cui elemento soggettivo l'Amministrazione del resto ha desunto da elementi non specificati nel provvedimento, pur essendo una siffatta valutazione di particolare delicatezza, tanto più trattandosi di un confine assai tormentato."

Sul punto dell'elemento soggettivo inerente la falsità, il TAR osserva che "le due proprietà, almeno per la massima parte, si trovano, infatti, su piani diversi, e vi sono eretti manufatti e divisori, i quali possono aver determinato errori scusabili, soprattutto in chi, come la M...., ne è divenuta proprietaria in tempi relativamente recenti".

La vicenda, continua il TAR, "com'è evidente, attiene d'altronde ad un conflitto tra proprietari, per una modesta superficie controversa: una questione dove l'interesse pubblico è apparentemente nullo, e che avrebbe dovuto lasciare sostanzialmente indifferente l'Ente territoriale, nonostante le pressioni che il controinteressato ha evidentemente esercitato, per risolvere a suo favore una controversia fuori dalla sede propria, che è quella del giudizio civile".

Commento

Il TAR Veneto sembra mettere l'accento sulla delicatezza di certe questioni, quelle che possono comportare uno sconfinamento di competenza dell'Ente territoriale, soprattutto in quelle realtà dove le pressioni dei cittadini possono risultare pregiudizievoli dell'operato pubblico, stante la labilità del rapporto che sussiste tra questioni edilizio-urbanistiche di rango pubblicistico e quelle di rango privatistico.

Gli aspetti evidenziati dal TAR, a mio avviso, sono due:

  • il Comune deve stare attento a non "mischiare" aspetti amministrativi ed aspetti civilistici (sottratti alla sua competenza), vieppiù dove questi ultimi non risultano definiti in sede giudiziaria perchè ancora in itinere (la CTU potrebbe essere eccepita nel contenzioso o in appello). In situazioni come queste la sentenza sembra dettare un monito: il Comune dovrebbe prestare la massima attenzione nell'accertare un elemento (il confine) che risulta oggettivamente controverso (per la situazione dei luoghi) al punto da costituire l'oggetto di una causa civile.
  • il Comune deve ben motivare la "falsità" nella rappresentazione progettuale che assume a fondamento del proprio operato, in quanto la falsità è concetto giuridico distinto dall'errore, vieppiù laddove questo potrebbe essere addirittura qualificato come "scusabile". Sul punto ritengo che il Comune non sia il soggetto competente a decidere la sussistenza di una falsità in atti; a mio parere dovrebbe astenersi nel qualificare il fatto in relazione ai delitti che lo stesso potrebbe configurare. Qualora il Comune fosse in grado di esperire accertamenti, anche complessi e di natura topografica, dovrebbe limitarsi a riscontrare la difformità tra quanto dallo stesso accertato e quanto rappresentato in atti, difformità che, nei limiti e nei modi consentiti ed ammessi dall'ordinamento, può assumere a motivo dei propri provvedimenti amministrativi. Se il fatto concreta la presenza di una notizia di reato, ovvero quando sussiste il c.d. fumus commissi delicti, il pubblico ufficiale si dovrebbe limitare, in quanto obbligato, a farne avviso all'Autorità Giudiziaria (cfr. art. 331 e segg. del Codice di Procedura Penale).

2 caso

Il secondo caso ripete nella sostanza il primo, dove l'elemento controverso risulta l'altezza del fabbricato anzichè la linea di confine.

A mio avviso la sentenza n. 5242 ha pregio di mettere in evidenza alcuni principi sussistenti in materia di annullamento in autotutela:

Principi

In materia di annullamento in autotutela di propri provvedimenti, l'Ente non deve riguardare la giurisprudenza (ancorchè dominante) antecedente la novella apportata all'articolo 21 nonies della legge 241/90 nell'anno 2005.

Con la legge 15/2005, infatti, il legislatore ha, per la prima volta, dettato norme in tema di autotutela amministrativa, recependo i principi giurisprudenziali e la prassi amministrativa formatasi in assenza di una disciplina normativa.

Tra questi, la regola secondo la quale il provvedimento di annullamento in autotutela costituisce manifestazione della discrezionalità dell'Amministrazione, nel senso che essa non è obbligata a ritirare gli atti illegittimi o inopportuni in quanto tali, ma deve valutare, di volta in volta, se esista un interesse pubblico alla loro eliminazione diverso dal semplice ristabilimento della legalità violata.

Siffatto interesse pubblico non viene esplicitato a priori dalla norma, ma deve essere ricavato dalla stessa Amministrazione, caso per caso, attraverso un'attività di "comparazione tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità e gli interessi dei destinatari del provvedimento e dei controinteressati"; il tutto, tenendo nella debita considerazione anche la circostanza che il provvedimento da annullare possa aver prodotti effetti favorevoli, valutandone la rilevanza, e che sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo (fattore di stabilizzazione) dal momento della sua emissione.

Tali elementi, infatti, integrano la nozione di "stabilità della situazione venutasi a creare per effetto del provvedimento favorevole" e rappresentano, in quanto tali, un limite all'esercizio del potere di autoannullamento. Pertanto, nella comparazione tra le esigenze sottese a un intempestivo e pregiudizievole annullamento in autotutela dell'atto e quelle sottese alla conservazione di quest'ultimo, l'Amministrazione, in forza del citato art. 21 nonies, è tenuta a optare per la soluzione che meglio contemperi la necessità del ripristino della legittimità e la salvezza degli altri interessi concorrenti.

Come recentemente affermato da questa Sezione, il vigente art. 21 nonies esclude che si possa procedere all'annullamento d'ufficio in difetto di tutti i requisiti ivi individuati.

Gli annullamenti, pertanto, devono dar conto di un interesse pubblico concreto e attuale in grado di prevalere sulla stabilità della situazione venutasi a creare per effetto dei provvedimenti favorevoli in considerazione del lungo lasso di tempo decorso dal completamento delle opere, del notevole grado di incertezza in ordine alle esatte misure ... dall'eseguità delle differenze riscontrabili tra misure autorizzate e misure realizzate/riscontrate.

data documento:
15-11-2010
file: sentenze

fonte: