Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 28 febbraio 2011, n. 1271

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Illegittimo ritardo della P.A. nel rilasciare il titolo abilitativo edilizio (in variante): risarcisce i danni concretamente provati
di romolo balasso architetto

La sentenza affronta l'annosa questione del risarcimento dei danni da ritardo colposo della P.A. tracciando gli elementi fondamentali.

Questi gli aspetti di rilievo:

Dalla sentenza pare che g li elementi da considerare siano:

  • il ritardo (costituente l'omissione)
  • l'elemento soggettivo (condotta colposa della p.a.)
  • il pregiudizio economico concretamente patito e provato in atti dall'interessato
  • il nesso di causalità tra il pregiudizio con la condotta omissiva

Per il Consiglio di Stato, premettendo che le "modalità organizzative della p.a. ... in alcun modo può incidere sul rispetto dei termini del procedimento, posti a garanzia del privato e della certezza dei tempi dell’azione amministrativa, essendo compito della p.a. predisporre misure organizzative idonee a consentire il rispetto di termini normativamente previsti" asserisce:

L’accertamento della sussistenza di un ritardo di due anni nel rilascio del permesso di costruire in variante e l’imputabilità del ritardo al Comune non risolvono tutte le problematiche della presente controversia, che attiene al risarcimento del danno subito dal ricorrente a causa di tale ritardo.

Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.

Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito nel caso di specie dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in variante.

In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).

Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. “bene della vita” e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio del permesso di costruire in variante.

Si deve, quindi, passare a verificare gli elementi probatori in ordine all’esistenza del danno e al rapporto di causalità con il menzionato ritardo.

Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, nè può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute).

La stessa richiamata giurisprudenza ha anche precisato che l'onere probatorio può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l'apporto tecnico del consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio di prova della sussistenza e quantificazione del danno.

data documento:
3-3-2011
file: sentenza CdS
fonte:
Consiglio di Stato