Cass. Civ., sez. II, sentenza 32 settembre 2010, n. 20038

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Costruzioni a distanza non regolamentare rispetto al confine: successione delle norme nel tempo - onere probatorio delle parti - principio della prevenzione - concetto di "cortina continua"
di romolo balasso architetto

La sentenza della seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha deciso un ricorso avente ad oggetto la costruzione, a distanza non regolamentare rispetto al confine di proprietà ed al fabbricato preesistente insorgente sul lotto finitimo (anno 1994).

Controparte replicava la regolarità dell'edificazione in quanto all'epoca della costruzione era applicabile l'art. 41 quinquies della legge 1150/42 (comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione - edificazione a scopo residenziale - distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire).

La decisione della Suprema Corte

Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte, in tema di distanze fra costruzioni ed in ipotesi di successione di norme nel tempo, ritiene, in linea di principio, che sono d’immediata applicazione, le disposizioni più restrittive sopravvenute, ciò in quanto gli strumenti urbanistici locali, sono essenzialmente diretti alla tutela dell’interesse pubblico nel campo urbanistico, trascendendo quindi, l’interesse dei singoli privati. Ne consegue che, ove sopravvenga una nuova regolamentazione, le nuove costruzioni devono ad essa adeguarsi, anche se l’autorizzazione a costruire fosse legittima sulla base della previgente normativa. Tuttavia il predetto principio trova limite, in caso di maggiore restrittività della nuova normativa, nel caso in cui fosse già avvenuto esercizio dello “jus aedificandi”, con la concreta attuazione dell’opera, poichè in questa ipotesi la nuova disciplina non può spiegare efficacia retroattiva, nè vulnerare situazioni pregresse e già consolidate (Cass. n. 11633 del 29/07/2003; Cass. 3.2.1998 n. 1047).

Va altresì segnalato quel indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in subiecta materia, lo “jus superveniensche contenga prescrizioni più restrittive non trova applicazione per le costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possono considerarsi già sorte a seguito della realizzazione delle cd. strutture organiche, che costituiscono il punto di riferimento per la misurazione delle distanze legali.
(Cass. 7160 del 24/06/2008; Cass. n. 2626 del 18.3.1987).

Ciò premesso, non può essere condiviso l’orientamento seguito dalla Corte territoriale, che ponendosi in contrasto con il cennato, prevalente indirizzo giurisprudenziale, facendo esclusivamente leva sul solo dato fattuale della data di ultimazione delle opere (in data (OMISSIS)), ha ritenuto applicabili nella fattispecie, le norme più restrittive in tema di distanze legali, contenute nel PRG del Comune di Tezze sul Brenta, entrate in vigore prima del completamento del fabbricato. Nessuna precisazione il giudice dell’appello ha ritenuto di dover fare sul reale stato della costruzione (se fosse stata, in ipotesi, completata o meno nei suoi elementi essenziali ovvero nelle sue “strutture organiche”) nel momento in cui la nuova normativa era sopraggiunta, considerato peraltro che quest’ultimo dato non era affatto pacifico ed è oggetto del successivo motivo di gravame che andiamo ad esaminare.

è stato più volte ribadito che, nel caso in cui il convenuto, contro il quale sia stato domandato il ripristino della distanza legale tra le costruzioni, opponga di aver eseguito la propria costruzione prima dell’entrata in vigore della norma di cui l’attore lamenta la violazione, tale deduzione non configura un’eccezione in senso proprio, ma si risolve nella mera negazione della sussistenza di una condizione dell’azione “ex adverso” proposta; conseguentemente – secondo i principi regolanti la ripartizione dell’onere probatorio – la sussistenza di tale condizione, e cioè l’illegittimità dell’opera in relazione alle norme vigenti al tempo della sua esecuzione, dev’essere dimostrata dall’attore (Cass. n. 3692 del 27.03.1993; Cass. Sez. 2, n. 8661 del 25/06/2001; Cass. n. 14782 del 24/06/2009; Cass. n. 22780 del 03/12/2004).

pertanto: l’onere probatorio in ordine alla data di realizzazione dell’immobile ricadeva sulla parte deducente

Per edifici a cortina continua nel comune linguaggio tecnico, s’intendono manufatti perfettamente adiacenti che si presentano uniti da un unico rivestimento murario.

Ciò posto, non appare corretto, alla luce delle argomentazioni svolte, il richiamo della Corte di merito alla norma suindicata del PRG (art. 17), prevista – come sottolineato dal ricorrente – solo per i nuclei residenziali esistenti, e di completamento (zona C/1B) ed estesa per relationem alle zone che ci interessano.

La ratio legis è quella di consentire di costruire senza il rispetto delle distanze dai confini e in contiguità però solo “… quando ci sono unità immobiliari addossate per un lungo tratto rettilineo le une alle altre, come avviene nei centri storici e nelle contrade con una fila di case ininterrotta, una appresso all’altra, ma con qualche interstizio libero: in questi casi (sarebbe) inutile lasciare dei tratti non edificati per il rispetto della distanza dal confine, essendo invece logico e possibile costruire in contiguità”.

Nella fattispecie, alla luce della motivazione della sentenza, sembrerebbero mancare tali presupposti di fatto per cui diverrebbe applicabile la normativa che prescrive come regola generale, la distanza di 5 metri minimi dal confine.

Nè vale invocare – come fa il F. – il cd. criterio della prevenzione di cui agli artt. 873 e 875 c.c. Secondo questa S.C., qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire “in aderenza” od “in appoggio”, la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione (Cass. Sez. 2, n. 8465 del 09/04/2010; Cass. n. 11899 del 2002; Cass. n. 22896 del 30.10.2007).

Note

il c.d. principio della “prevenzione” è desumibile o dagli artt. 875 e 877 del Codice Civile.

In base a questo principio – che presuppone l’assenza di costruzioni sui fondi vicini – colui che costruisce per primo (c.d. preveniente) può scegliere di costruire sul confine o a distanza inferiore alla metà di quella legale. Il vicino (c.d. prevenuto) sarà tenuto ad adeguarsi rispettando la distanza minima tra le costruzioni. In alternativa, potrà chiedere la comunione forzosa del muro (art. 875 C.C.) oppure esercitare la facoltà di costruirvi in aderenza (art. 877 C.C.).

In mancanza di una esplicita previsione degli strumenti urbanistico – edilizi locali in materia di distanze, trovava applicazione l’art. 41-quinquies della Legge 1150/42 introdotto dall’art. 17 della Legge 765/67. Oggi, con l’abrogazione di questa disposizione operata dal DPR 380/01, resta applicabile la previsione residuale dell’art. 873 C.C. che imponendo la distanza minima di tre metri tra le costruzioni, senza alcun riferimento ai confini, viene temperata dal principio della prevenzione (1).

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(1) Principio ritenuto applicabile anche nel vigore dell’art. 41-quinquies comma primo lett. c), legge 1150/42 considerata, anche in questa disposizione, l'assenza di riferimenti ai confini tra i fondi (così si è espressa – sciogliendo il precedente contrasto giurisprudenziale – Cass. SS.UU. n. 11489/02)

data documento:
23-10-2010
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