Cass. Pen., sez. III, sentenza 24 giugno 2010, n. 24242

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Opere precarie - regolamento edilizio - clausole permessorie
di romolo balasso architetto

La sentenza in commento sembra assumere rilevanza in seguito al novellato articolo 6 del TUED, ciò in quanto ha ad oggetto la nozione giuridica di opere precarie e le condizioni di legittimità della loro definizione nei regolamenti edilizi.

L'aspetto che maggiormente preoccupa riguarda la responsabilità penale dei soggetti a fronte di una disposizione regolamentare illegittima.

In proposito dalla sentenza dei Giudici Penali (rel. dott. Fiale) si evince che:

  • i regolamenti edilizi comunali devono introdurre una nozione di opera precaria alla stregua della comune interpretazione giurisprudenziale (Cass. Pen., sez. III, sentenza 20-3-08 n. 12428);
  • Il comune non può introdurre un titolo abilitativo edilizio "provvisorio" atipico e contrastante con quello che deve ritenersi un principio generale fissato dalla legislazione statale in materia di governo del territorio, secondo il quale è inammissibile la configurazione di provvedimento abilitativo che consenta di realizzare opere edilizie in contrasto con la normativa urbanistica, atteso che o viene in considerazione un'opera avente natura oggettivamente precaria per le finalità alle quali è destinata, ed allora non si rende conseguentemente necessario alcun titolo abilitativo, o viene in rilevo un'opera avente carattere di stabilità, ed allora si impone in ogni caso il rispetto della normativa urbanistica;
  • il Comune non può, mediante l'inserimento nel titolo abilitativo di clausole o condizioni, permettere la realizzazione, in contrasto con la pianificazione, di opere che siano in grado di alterare in modo permanente l'assetto urbanistico;
  • (vedi, al riguardo, Cass. Pen. sez. III, 16.4.2008 e Consiglio di Stato, sez. 5^, 20.3.2000 n. 1507).

Nozione giurisprudenziale di opera precaria:

la natura precaria di un'opera, non può essere desunta dalla temporaneità data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precarico e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione.

Ai fini del riscontro del connotato della precarietà dell'opera e della relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono, rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente assolva.

La natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell'insediamento indicativa dell'impegno effettivo e durevole del territorio, a tale fine, inoltre, l'opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti.

Il carattere stagionale di una struttura non significa assoluta precarietà dell'opera, in quanto la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente ricorrente della struttura.

In senso assolutamente conforme, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la precarietà di un manufatto non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso è destinato; pertanto, essa va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all'opera del proprietario, in quanto occorre valutare la stessa - alla luce - della sua obiettiva e intrinseca destinazione naturale.

 

data documento:
12-07-2010
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fonte sentenza: