tecnici e giuristi insieme

Tecnojus - Centro Studi tecnico-giuridici è una libera associazione, volontaristica e senza scopo di lucro, che si propone di approfondire in chiave interdisciplinare le relazioni tra il sistema di regole, con relative interpretazioni giurisprudenziali, e le attività professionali (progettazione, direzione lavori, collaudo, consulenze tecniche, di parte o d'ufficio...), assumendo il seguente principio ispiratore:

"si assoggetta a regola delle finalità da perseguire"

Riforma delle professioni intellettuali regolamentate: luci e ombre

Obbligo di formazione continua e permanente

di Romolo Balasso - architetto, presidente Centro Studi Tecnojus © RIPRODUZIONE RISERVATA

Le professioni intellettuali, regolamentate o non, si differenziano dalle altre professioni per il fatto che la loro prestazione implica "sempre la soluzione di un problema sulla base di un sapere, e, quindi, di rilevare un contenuto creativo o inventivo ... La prestazione intellettuale non è una semplice prestazione tecnica, applicativa e ripetitiva ma una prestazione che confronta un sapere ad un problema" (1).

La peculiarità di queste professioni, pertanto, è rappresentata dall'oggetto della propria attività: lo svolgimento di un'opera intellettuale consistente "nell'applicazione concreta di cognizioni tecniche e scientifiche nell'opera stessa che è l'oggetto della prestazione" (2).

Nel caso delle professioni "regolamentate" (nell'accesso e nell'esercizio, ossia quelle con albo), vieppiù, "nella necessità di tutelare l'interesse generale ..." sono richiesti "... particolari requisiti di probità e competenza tecnica", tanto che la professione può essere esercitata "soltanto da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge" (3).

Dunque, si tratta di professioni caratterizzate:

  1. dal sapere specialistico, costituente, al contempo, la tutela di interessi generali e la "risorsa produttiva" principale ed essenziale di queste professioni, oltre che un elemento di competitività per le organizzazioni che se ne servono(4), un sapere che, necessariamente, deve essere manutenuto, aggiornato ed implementato;
  2. dalla condotta degli esercenti (i professionisti), necessariamente "proba", verosimilmente per poter essere depositari della c.d. "fede pubblica", per cui è (altrettanto necessariamente) regolata anche da codici deontologici di "autogoverno" disciplinare.

Pur con le sue criticità, il potere disciplinare ha sempre rappresentato una funzione tipica di Ordini/Collegi, non così, invece, per l'altra caratteristica, ossia quella relativa al "sapere".

Infatti, fatte salve alcune singole e recenti iniziative (es. del Consiglio Nazionale Geometri, Consiglio Nazionale Forense, ecc. che avevano introdotto l'obbligo di aggiornamento continuo e permanente), l'aggiornamento del sapere professionale ha rappresentato più un parametro giurisprudenziale di valutazione della diligenza professionale (cfr. art. 1176, comma 2, Codice Civile) che una "funzione" da esercitare.

A questa carenza è intervenuta la riforma delle professioni intellettuali regolamentate, cosicchè ora l'aggiornamento continuo e permanente del "sapere professionale" costituisce un obbligo (fondamentalmente di tipo disciplinare - deontologico).

Infatti, con la citata riforma è stato introdotto l'obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua e permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, diventa un obbligo la cui violazione determina illecito disciplinare e come tale è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall'ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione (così il principio normativo sancito dall'art. 3, comma 5, lettera b, della legge n. 183/2011).

Con il recepimento del suddetto principio da parte degli ordinamenti professionali (cfr. il D.P.R. n. 137/2012), sono stati ulteriormente precisati la finalità e l'obiettivo del precetto (cfr. art. 7, comma 1):

"Al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell'utente e della collettività, e per conseguire l'obiettivo dello sviluppo professionale, ogni professionista ha l'obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale".

La riforma degli ordinamenti professionali, quindi, ha stabilito, fondamentalmente:

  1. un cosa: l'obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua e permanente;
  2. un perchè: al fine di garantire la qualità ed efficienza delle prestazioni professionali nel migliore interesse dell'utente e della collettività;
  3. un come: che siano i regolamenti emanati dai consigli nazionali di ogni professione (o categoria professionale) a predisporre i percorsi di formazione continua e permanente, per disciplinare:
    1. le modalità e le condizioni per l'assolvimento dell'obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e per la gestione e l'organizzazione dell'attività di aggiornamento a cura degli ordini o collegi territoriali, delle associazioni professionali e dei soggetti autorizzati;
    2. i requisiti minimi, uniformi su tutto il territorio nazionale, dei corsi di aggiornamento;
    3. il valore del credito formativo professionale quale unità di misura della formazione continua;
  4. un chi: potrà organizzare i corsi di formazione continua e permanente:
    1. dagli ordini e collegi, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti, ovvero dai Consigli nazionali stessi;
    2. dalle associazioni di iscritti agli albi e dagli altri soggetti, ma solamente se autorizzati dai consigli nazionali degli ordini e collegi, previo parere vincolante del ministro vigilante al quale trasmettono motivata proposta di delibera (autorizzazione/negazione).

Si tratta di una riforma che, inevitabilmente, ha "luci" ed "ombre":

  • tra le luci si ritiene includere i seguenti aspetti:
    • in linea di principio l'obbligo di aggiornamento dei saperi sui quali si fondano gli esercizi professionali regolamentati ovvero le riserve di legge (dirette o indirette), è pienamente condivisibile ed incontestabile;
    • l'aver introdotto un obbligo formativo di aggiornamento professionale riguardante tutti gli iscritti ad un albo professionale, può significare che l'iscrizione dà evidenza al fatto che il professionista possiede i saperi di base per poter esercitare quella professione, saperi che, in quanto asserviti ad un "servizio di pubblica necessità" [cfr. art. 359 Codice Penale(5)], sono continuativamente e permanentemente aggiornati.
  • tra le ombre, invece, è possibile ritenere che:
    • l'obbligo formativo non "aggiorni", come dovrebbe, i saperi del professionista laddove si ammettono partecipazioni cogenti meramente "formalistiche":
      • possono essere tali le partecipazioni fondate sulla mera presenza fisica o telematica, prive delle opportune "verifiche" di apprendimento (consideranti necessariamente il target e gli altri aspetti propri di un "pubblico" professionale e "adulto"), verifiche che, considerata la delicatezza dell'argomento (in quanto riguardano un "merito"), dovrebbero essere opportunamente regolamentate (anche al fine di evitare conflitti di interesse);
      • possono essere ulteriormente tali le partecipazioni "assenti", "non motivate", "prive di interesse concreto" (es. per inadeguatezza dei programmi formativi di aggiornamento anche con riferimento alla posizione professionale dell'iscritto, oppure ai saperi che motivano la riserva di legge nello svolgimento di talune attività "intellettuali", ecc.).
    • pur nel rispetto della necessaria autonomia "gestionale" delle libere professioni ("autogestione"), il raggiungimento della finalità e degli obiettivi della formazione/aggiornamento professionale sono affidati ai soggetti gravati dall'obbligo attraverso una gestione diretta e attraverso, soprattutto, l'esercizio di tre poteri (sia pure con la "vigilanza" del Ministero competente):
      • regolamentare;
      • autorizzativo (quest'ultimo appare molto delicato, soprattutto perchè rischia di ledere principi comunitari, magari anche gli stessi che hanno indotto la riforma);
      • disciplinare (punitivo).

Tra le "ombre" andrebbe anche considerato che:

  1. il processo disegnato dal legislatore non sembra tener conto di quei settori, quale quello "tecnico", nel quale, diversamente da altri, vi sono più professioni regolamentate "competenti" all'esercizio-svolgimento delle medesime attività "riservate", quindi vi sono più professioni che condividono taluni saperi e condotte (a tutela di interessi generali).
  2. Infatti, fermo restando i saperi specialistici ed identitari (di tipo scientifico e/o tecnico), professioni come quelle degli architetti, dei geometri, degli ingegneri, dei periti industriali (edili), dei periti agrari e dei dottori agronomi, laddove sono abilitate a progettare e/o a dirigere lavori edili, sia pure entro i c.d. limiti di competenza, condividono necessariamente dei saperi "base" quali, ad esempio:
    • quelli tecnico-normativi necessari per:
      • redigere progetti conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistica ed edilizia vigente (cfr. art. 12 D.P.R. n. 380/2001);
      • dirigere i lavori relativi ad un titolo abilitativo edilizio (cfr. art. 29 D.P.R. n. 380/2001):
      • svolgere una consulenza tecnica giudiziale (per il giudice) o stragiudiziale;
      • svolgere la computazione e/o la liquidazione dei lavori edili;
      • svolgere le stime immobiliari urbane;
      • redigere atti catastali (inserimenti in mappa, frazionamenti, accatastamenti di u.i. urbane, ecc.);
      • conoscere le specifiche tecniche dei materiali e prodotti da costruzione e/o le tecniche - tecnologie costruttive, in relazione a determinati obblighi o requisiti normativi (cfr. il CPR n. 305/2011);
      • stabilire la misura del compenso professionale;
      • ecc..
    • quelli normativi-giuridici necessari per:
      • redigere e gestire un contratto d'opera professionale;
      • richiedere o sostenere una liquidazione giudiziale del compenso professionale;
      • aprire e gestire una società tra professionisti od altre forme di esercizio, anche individuali;
      • ecc.

Con la riforma suddetta, invece, ogni singola professione provvederà a predisporre propri percorsi, ad autorizzare propri soggetti organizzatori-formatori, a stabilire propri valori al credito formativo per i propri iscritti all'albo anche sui predetti saperi "condivisi".

In questo modo, un aggiornamento normativo o tecnico dei saperi "base" organizzato da un ordine o collegio di una professione oppure da un soggetto autorizzato soltanto da una professione non avrà valore (anche in termini di misura) di credito per il partecipante di un'altra professione.

Di conseguenza, un soggetto organizzatore-formatore, per poter erogare formazione condivisa valida ai fini dell'aggiornamento obbligatorio, sarà costretto a farsi autorizzare con procedure (fermo restando il parere vincolante del ministro vigilante), modalità e costi diversi da ogni professione (a ciò basti vedere le differenze tra i regolamenti e/o le linee guide - o altro documento adottato a completamento/integrazione dei suddetti regolamenti - dei consigli nazionali degli architetti e degli ingegneri).

Eppure, la soluzione era a portata di mano in quanto insita nel concetto di "credito formativo", così come è stato fatto, sia pure recentemente (con il c.d. decreto del fare), in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro (cfr. art. 37, comma 14-bis):

In tutti i casi di formazione ed aggiornamento ... in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, è riconosciuto il credito formativo per la durata e i contenuti della formazione e dell'aggiornamento corrispondenti erogati. le modalità di riconoscimento del credito formativo e i modelli per mezzo dei quali è documentata l'avvenuta formazione sono individuati ...(omissis).

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NOTE

(1) Prof. Natalino Irti, citato nella presentazione del progetto di legge n. 804/2001;

(2) Cass. Civ., sentenza 14 aprile 1983, n. 2542;

(3) SS.UU. Cass. Pen., sentenza 23 marzo 2012, n. 11545;

(4) cfr. 36° rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, maggio 2002;

(5) Art. 359 - persone esercenti un servizio di pubblica necessità: Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:

1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione
.;

 

Obbligo di polizza per RC professionale

di Romolo Balasso - architetto, presidente Centro Studi Tecnojus © RIPRODUZIONE RISERVATA

Tra i principi stabiliti dalla legge per la riforma degli ordinamenti professionali(1), si legge:

A tutela del cliente, (il professionista) è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.

Si tratta di un principio ripetuto ulteriormente nella legge n. 27/2012, articolo 9, comma 4, secondo periodo:

Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale.

Anche in questo caso il principio legislativo risulta recepito negli ordinamenti professionali (2):

1. Il professionista è tenuto a stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti, idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva.

2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 costituisce illecito disciplinare.

3. omissis.

Dunque, diversamente dalle altre professioni, le professioni intellettuali regolamentate(3) hanno l'obbligo non solo di stipulare una polizza di RC professionale, ma di renderla nota al cliente sia negli estremi che nel relativo massimale. Si tratta di un obbligo la cui violazione costituisce illecito disciplinare.

Il dettato legislativo si riferisce all'obbligo assicurativo facendo ricorso alle seguenti espressioni:

  • per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale [art. 3, comma 5, punto e), della legge n. 148/2011];
  • per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale [art. 9, comma 9, secondo periodo, della legge n. 27/2012];
  • per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale [art. 5, comma 1, D.P.R. n. 137/2012].

Per quanto noto, oggi il maggior rischio derivante dall'esercizio dell'attività professionale sembra lo stia "pagando" il professionista per i mancati e/o ritardati pagamenti del compenso.

Circa il concetto di danno provocato al cliente, ovvero di danno derivato al cliente nell'esercizio dell'attività professionale, il codice civile riconosce due fattispecie:

  • il danno per inadempimento, e cioè quello per responsabilità civile contrattuale (cfr. artt. 1218, 1223, 1225 del C.C.);
  • il danno ingiusto, e cioè quello per responsabilità civile extracontrattuale o aquiliana (cfr. artt. 2043 e 2055 del C.C.).

Di conseguenza, il professionista (ma soprattutto i Consigli Nazionali e le Casse di previdenza "invitati" a negoziare le condizioni generali) dovrà prestare la massima attenzione alle polizze di responsabilità civile professionale (c.d. RC professionale) al fine che sia chiaramente e inequivocabilmente certo:

  • i concetti di rischio, sinistro, danno risarcibile;
  • i danni che sono concretamente ed effettivamente coperti dall'assicurazione;

Pertanto, l'assicurazione dovrebbe tenere indenne l'assicurato dai tutti i danni contrattuali e da tutti i danni extracontrattuali prodotti colposamente da sinistri professionali, anche nei casi di solidarietà (nei c.d. danni extracontrattuali occorre prestare attenzione se il risarcimento riguarda il solo vizio o il solo pregiudizio subito dal danneggiato, ovvero se sono coperti entrambi).

Oltre a questi aspetti "pratici", va detto che nè il principio legislativo nè il regolamento di riforma degli ordinamenti professionali chiariscono se la polizza debba essere stipulata a prescindere, ossia indipendentemente dal tipo di attività (in concreto) esercitata dall'iscritto all'Albo (una sorta di requisito/condizione per conservare l'iscrizione), oppure debba essere stipulata in connessione con lo svolgimento delle attività riservate.

Infatti, come noto, l'esercente una professione regolamentata può svolgere sia le attività professionali a questa riservate (dalla legge) sia altre attività "non riservate".

Trattandosi di una legge di riforma delle professioni regolamentate, in linea di principio il precetto dovrebbe riguardare lo svolgimento delle sole attività riservate, ossia di quelle per le quali il pubblico è costretto, per legge, di avvalersi della prestazione di un professionista abilitato(4).

Gli aspetti maggiormente problematici dell'obbligo si ritengono essere:

  1. l'adeguatezza dell'offerta di polizze di RC professionale esistenti sul mercato in rapporto ai rischi/danni;
  2. l'obbligo di comunicare al cliente il massimale.

Con riferimento a quest'ultimo punto, va detto che il massimale di polizza da comunicare obbligatoriamente al cliente, anche nel suo variare, rischia di diventare un elemento di scelta del professionista: infatti, un cliente potrebbe essere motivato a scegliere o a rinunciare ad un professionista in ragione del massimale della sua polizza.

Quindi, considerato che il massimale di polizza incide sulla "misura" del premio, è possibile ritenere "favorite" soltanto organizzazioni professionali di un certo tipo rispetto alla tipica struttura "monocellulare" del libero professionista, senza contare che anche i "giovani professionisti" potrebbero risultare sfavoriti.

In altre parole, la scelta del massimale rischia di diventare per il professionista un momento di scelta importante: decidere in quale "mercato" di lavori posizionarsi.

L'obbligatorietà di copertura assicurativa, però, non è affatto una novità per il settore tecnico per l'esistenza dell'obbligo assicurativo in ambito dei lavori pubblici (introdotto con la legge n. 109/1994), obbligo che, di norma, si è esteso per tutte le attività professionali, comprese anche quelle svolte in ambito privato.

Ciò nonostante, non sembra esistere nei professionisti una piena consapevolezza delle "regole" che sorreggono il rapporto assicurativo (cfr. art. 1882 e ss del Codice Civile), così come dei concetti insiti in tale contratto (ad esempio cosa risulta effettivamente coperto dall'assicurazione - concetto di sinistro - e cosa escluso, i periodi di copertura - retroattività/postattività -, la formula contrattuale prescelta - claims made, loss occurring/occurence, ecc.).

La conoscenza di queste regole diventa fondamentale in considerazione del fatto che la richiesta di risarcimento del danno da parte del danneggiato può essere formulata in tempi anche molto successivi rispetto al momento in cui si è verificata la condotta illecita del professionista.

In altri termini, occorre considerare che il comportamento professionale generativo della responsabilità civile può riguardare prestazioni professionali compiute anche 10 anni precedenti la richiesta di risarcimento del danno (così, ad esempio, per la responsabilità extracontrattuale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 1669 del C.C.).

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NOTE

(1) cfr. legge n. 148/2011, articolo 3, comma 5, lettera e);

(2) cfr. D.P.R. n. 137/2012, art. 5 - obbligo di assicurazione;

(3) L'art. 1, del D.P.R. n.137/2012 definisce professione regolamentata:

"l'attività, o l'insieme delle attività, riservate per espressa disposizione di legge o non riservate, il cui esercizio è consentito solo a seguito d'iscrizione in ordini o collegi subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità";

(4) Sul sito del Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri sono pubblicate delle FAQ, tra le quali si asserisce che l'obbligo di assicurazione professionale ricade formalmente e sostanzialmente sul professionista, quale obbligo di carattere professionale correlato alla prestazione d'opera comportante un contatto diretto con la clientela, a prescindere dal tipo di prestazione (da ricomprendere, quindi, anche le consulenze).

 

Obbligo di pattuire e determinare la misura del compenso professionale

di Romolo Balasso - architetto, presidente Centro Studi Tecnojus © RIPRODUZIONE RISERVATA

Tra i principi originariamente stabiliti dalla legge per la riforma degli ordinamenti professionali(1), c'era anche quello relativo al compenso professionale, compenso che:

  • doveva essere pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico prendendo come riferimento le tariffe professionali;
  • poteva essere pattuito anche in deroga alle tariffe.

Con la legge n. 27/2012, però, il compenso è stato espunto dai principi da recepire negli ordinamenti professionali, ed è stato disciplinato direttamente dalla legge (cfr. art. 9, comma 4) previa abrogazione delle tariffe professionali (cfr. art. 9, comma 1) e delle disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista rinviano alle predette tariffe (cfr. art. 9, comma 5).

Pertanto, le tariffe e il compenso professionale da queste regolato, non sembrano più materia propria dell'autonomia disciplinare delle professioni e tantomeno sembrano poter costituire una esclusiva(2).

La disciplina legislativa vigente prescrive che:

4. Il compenso per le prestazioni è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio.

Rispetto al decreto legge n. 1/2012, la suddetta legge di conversione non ha ritenuto confermare la forma scritta per rendere nota al cliente la misura del compenso, qualora tale forma fosse stata richiesta dal cliente stesso.

Pertanto, la pattuizione del compenso e la preventiva informativa al cliente della sua misura devono osservare le forme previste dall'ordinamento (il principio generale è quello della libertà delle forme, riservando la forma scritta ad substantiam ai casi espressamente previsti dalla normativa).

Per quanto riguarda le professioni, la forma scritta è prescritta per i contratti pubblici, anche laddove la Pubblica Amministrazione agisse iure privatorum (cfr. il R.D. 18.11.1923, n. 2440, artt. 16, 17 e 19; d.lgs. n. 163/2006, art. 11, comma 13) e nel caso degli avvocati (cfr. art. 2233, comma 3, del Codice Civile).

Il compenso professionale, come noto, è regolato anche dal Codice Civile, in termini specifici dall'art. 2233, che così stabilisce:

Art. 2233. Compenso.

1. Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene(3).
2. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.
3. Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.
(4)

Nel caso in cui il compenso non fosse convenuto dalle parti, considerata l'abrogazione delle tariffe, la legge stabilisce sia determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante (cfr. art. 9, comma 2, della legge n. 27/2012).

Pertanto, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, si dovrà far riferimento al DM n. 140/2012, anche se "in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa" (cfr. art. 1, comma 7) e comprenderà l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa (cfr. art. 1, comma 3), ma non comprende (cfr. art. 1, comma 2):

  • le spese, da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario;
  • gli oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo.

Evidentemente, almeno così pare, tali spese, oneri e contributi dovranno essere aggiunti al compenso determinato dall'applicazione dei parametri.

Parimenti, sarà l'organo giurisdizionale a determinare il compenso, secondo il criterio dell'analogia (cfr. art. 37, comma 4), per prestazioni non contemplate dal decreto, così come spetterà al medesimo organo considerare (cfr. art. 36, comma 2), aumentando o diminuendo percentualmente (fino al 60%) il compenso stesso in ragione:

  • della natura dell'opera;
  • del pregio della prestazione;
  • dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente;
  • dell'eventuale urgenza della prestazione.

La liquidazione giudiziale del compenso, per quanto riguarda le professioni tecniche, ha la particolarità che il compenso risulta:

  • il medesimo per tutte le professioni tecniche competenti della medesima prestazione (architetti, ingegneri, geometri, ecc.);
  • parametrato sulle singole prestazioni contemplate dal regolamento (D.P.R. n. 207/2010) sui contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006): così statuendo, verosimilmente in modo improprio per la profonda differenza tra i due ambiti, verrebbe estesa la particolare e speciale disciplina degli appalti pubblici anche agli appalti privati.
  • considerare percentuali ed aliquote da applicare ad un valore di riferimento, correlati a singole prestazioni nelle quali risultano suddivise le fasi prestazionali associate alle diverse categorie di opere, con relativo grado di complessità.

Presumendo che il Decreto segua (almeno in parte) il principio normativo, detti parametri esprimerebbero, al contempo, tutte le voci di costo di ogni singola prestazione (escluso, come detto, spese, oneri e contributi) e il guadagno atteso da un'attività economica (utile).

Evidente che si tratterebbe di costi "medi" presuntivi e di un guadagno-utile "prestabilito", per cui il guadagno reale dipenderà dai costi reali direttamente sostenuti per produrre quella specifica prestazione, e dell'incidenza di quelli indiretti (che sono, di norma, fissi) che si sostengono per "tener aperto" uno studio professionale, costi a cui si devono sommare anche quelli della riforma, ossia i costi/spese per la formazione continua e permanente e i costi/spese delle polizze di rc professionale per un massimale adeguato al mercato di lavori nel quale si intende posizionarsi.

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NOTE

(1) cfr. legge n. 148/2011, articolo 3, comma 5, lettera d), soppressa dalla legge n. 27/2012;

(2) Il Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori con il regolamento sulla formazione continua, "approvato" dal Ministro vigilante, prescrive che la materia del compenso professionale sia oggetto di formazione e aggiornamento continuo obbligatorio di esclusiva competenza ordinistica (cfr. art. 2, comma 7);

(3) L'inciso "sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene" è ritenuto abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369;

(4) Comma così sostituito dall'art. 2, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248;

 

L'incarico professionale: natura, contenuti e forma

di Romolo Balasso - architetto, presidente Centro Studi Tecnojus © RIPRODUZIONE RISERVATA

Si ritiene opportuno premettere che il professionista, con l'accettazione di una proposta di incarico per lo svolgimento di un'attività/prestazione professionale, conclude/stipula un contratto con il cliente (cfr. art. 1326 C.C.)(1); più precisamente le parti contraenti raggiungono un accordo per costituire e regolare tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (cfr. art. 1321 C.C.)(2).

Il Contratto suddetto si qualifica come sinallagmatico perchè per entrambe le parti diventa la fonte principale della rispettiva obbligazione (cfr. art. 1173 C.C.)(3), la quale ha ad oggetto una prestazione suscettibile di valutazione economica (cfr. art. 1174 C.C.)(4), da adempiere esattamente (cfr. art. 1218 C.C.)(5) usando la "dovuta" diligenza (il Codice civile contempla due specie di diligenza: quella del buon padre di famiglia di cui all'art. 1176, primo comma, e quella propria della natura dell'attività esercitata ossia la c.d. diligentia quam in concreto di cui all'art. 1176, comma 2, C.C.)(6).

Pertanto, il contratto sinallagmatico di prestazione d'opera intellettuale (cfr. art. 2230 C.C.)(7), ha ad oggetto:

  1. da una parte un'obbligazione (principale) del professionista avente ad oggetto lo svolgimento di una o più attività-prestazioni professionali (pattuite/dovute), oggetto-prestazione che deve risultare possibile, lecito, determinato o determinabile (cfr. art. 1346 C.C.);
  2. dall'altra un'obbligazione (secondaria) del cliente avente ad oggetto la prestazione consistente nel pagamento del compenso professionale (pattuito/dovuto), oggetto-prestazione che deve risultare possibile, lecito, determinato o determinabile (cfr. art. 1346 C.C.).

Con le leggi di riforma delle professioni intellettuali regolamentate viene prescritto l'obbligo di determinare il compenso professionale, da pattuire con il cliente nelle forme previste dall'ordinamento (la forma è, di norma, libera, fatti salvi i casi indicati dalla legge, la quale può richiedere una particolare forma "scritta" - es. scrittura privata, atto notarile, ecc.), e di renderne nota allo stesso la misura indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di pese, oneri e contributi (cfr. legge n. 27/2012, art. 9, comma 4, penultimo periodo).

Quella sul compenso, dunque, è una disposizione normativa che riguarda solo una delle prestazioni oggetto del rapporto sinallagmatico tra professionista e cliente, ossia, con riferimento al contratto ad obbligazioni corrispettive da concludere o concluso tra le parti, si riferisce alla sola obbligazione (condizionata) del cliente: corrispondere il compenso pattuito/dovuto, nelle forme e/o modalità concordate, a seguito dell'adempimento dell'obbligazione del professionista.

La riforma, dunque, sembra dare per nota/scontata l'obbligazione principale, e cioè quella a debito che vincola il professionista a soddisfare l'interesse del creditore con l'esecuzione della prestazione professionale pattuita/dovuta (il diritto al compenso, di norma, matura con l'estinzione naturale dell'obbligazione principale ossia con l'adempimento dell'obbligazione principale eseguendo esattamente la prestazione dovuta - cfr. il citato art. 1218 C.C.)(5).

Consegue, anche in ragione della nutrita giurisprudenza in materia di "responsabilità professionale", la necessità fondamentale che l'accordo contrattuale riporti e/o determini compiutamente la prestazione professionale, o le prestazioni professionali facenti parte e/o escluse dal rapporto contrattuale/obbligatorio professionista-cliente.

Infatti, per poter "misurare/accertare" l'esatto adempimento delle prestazioni professionali pattuite/dovute è preliminarmente necessario definirle altrettanto esattamente (o compiutamente).

A tal fine, anche per l'evidenza data ad alcune espressioni normative (es. prestazione dovuta), si ritiene evidenziare la particolarità della prestazione d'opera intellettuale riservata alle professioni regolamentate che emergerebbe dalla lettura sistematica delle disposizioni ordinamentali e giurisprudenziali:

le attività-prestazioni professionali riservate risponderebbero all'esigenza di tutelare l'interesse generale, per cui sono da ritenere "strumentali/funzionali" al perseguimento di finalità pubblicistiche, tanto che il pubblico è obbligato a valersi dell'opera dei soli soggetti in possesso della speciale abilitazione dello Stato (cfr. art. 33, comma 5, della Costituzione(8), ed artt. 359(9)e 348(10) del C.P.).

In questo particolare ambito, pur nella riconosciuta autonomia contrattuale delle parti, la libera determinazione del contenuto del contratto incontra necessariamente dei limiti imposti dalla legge (così prevede l'art. 1322 C.C.)(11), ossia ogni altro limite disposto a tutela dell'interesse generale e/o di essenziali valori costituzionali, cosicchè le attività connesse o annesse al predetto sistema di tutele pubblicistiche sono riservate a soggetti in possesso di particolari requisiti di probità/qualità morale e di competenza tecnica/qualità culturali propri di una professione, per il cui esercizio è richiesta la speciale abilitazione amministrativa dello Stato (cfr. Cass. Pen., Sezioni Unite, sentenza n. 11545 del 23.03.2012) ovvero l'iscrizione all'albo (cfr. artt. 2229(12) e 2231(13) del C.C.).

Pertanto, nella "determinazione/indicazione" contrattuale dell'attività professionale costituente la prestazione (patrimoniale) oggetto di obbligazione diventa fondamentale e pregiudiziale indagare il rapporto che si stabilisce tra prestazione pattuita e prestazione dovuta.

Per prestazione dovuta si ritiene dover intendere, di norma, tutte le prestazioni e/o tutte le singole prestazioni con relativi contenuti costituenti prestazioni professionali normativamente prescritte o comunque riconducibili al sistema di tutele pubblicistiche.

In altri termini, le prestazioni dovute sarebbero quelle "ope legis" rientranti ipso iure nel rapporto obbligatorio tra professionista e cliente in quanto l'autonomia contrattuale loro riservata incontra dei limiti legali, limiti che si possono qualificare in:

  • generali, laddove la legge obbliga che determinate attività siano svolte soltanto da chi è in possesso della particolare abilitazione amministrativa dello Stato, come nel caso, ad esempio:
    • delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a strutture metalliche (cfr. artt. 64, commi 2 e 3, e 67, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001);
    • delle opere da realizzarsi nelle zone sismiche (cfr. art. 93, comma 2 e art. 94 comma 4 del D.P.R. n. 380/2001);
    • delle relazioni tecniche sull'efficienza energetica (cfr. art. 8, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 192/2005);
    • delle asseverazioni a corredo della comunicazione di inizio lavori (cfr. art. 6, comma 4, D.P.R. n. 380/2001), o della denuncia di inizio attività (cfr. art. 23, commi 1 e 7 del D.P.R. n. 380/2001), ovvero della segnalazione certificata di inizio attività (cfr. art. 19, comma 1, ultimo periodo, legge n. 241/1990);
    • della dichiarazione di attestazione della conformità dell'opera al progetto presentato e della sua agibilità (cfr. art. 25, comma 5-bis e 5-ter del D.P.R. n. 380/2001).
  • specifici, laddove, verosimilmente in ragione della particolarità (fisica e giuridica) del committente (e cioè della P.A.) e/o della particolarità delle opere/lavori e/o dei contesti e/o degli interessi in tutela (pubblica incolumità, igiene e salubrità, ecc.), la legge disciplina in modo particolare i rapporti tra i soggetti contraenti (dalla scelta, all'affidamento all'esecuzione) e/o le singole prestazioni e relativi contenuti/elaborazioni di una determinata attività-prestazione professionale, come nel caso, ad esempio:
    • dei contratti pubblici (cfr. d.lgs. n. 163/2006 e D.P.R. n. 207/2010);
    • delle norme tecniche per le costruzioni (cfr. D.M. 14.01.2008);
    • dell'efficienza energetica (cfr. d.lgs. n. 192/2005, D.P.R. n. 59/2009 ecc.);
    • del superamento/eliminazione delle barriere architettoniche (cfr. art. 82 D.P.R. n. 380/2001);
    • della sicurezza degli impianti tecnici (cfr. DM 37/2008);
    • della tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro (cfr. d.lgs. n. 81/2008, in particolare l'art. 22 - obblighi per i progettisti, e il titolo IV - cantieri temporanei o mobili, con relativi allegati).

Nelle prestazioni dovute, come detto, si devono far rientrare anche tutte quelle prestazioni o singole prestazioni con relativi contenuti e costituenti prestazioni comunque riferibili al sistema di tutele pubblicistiche, ancorchè non espressamente previsti dalla normativa, quali possono essere:

  • la progettazione e la direzione dei lavori della conformità degli interventi edilizi definiti all'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e subordinati ad un regime edilizio abilitativo richiedente il rilascio di un provvedimento amministrativo, il permesso di costruire (il testo unico edilizia, diversamente dagli altri contesti - es. artt. 64, 67, 93 e 94, non riporta precetti prescriventi l'obbligo di progettazione e l'obbligo di direzione dei lavori; l'articolo 29, invece, si limita a definire la responsabilità del direttore dei lavori);
  • la progettazione e la direzione dei lavori della regola dell'arte richiesta nell'esecuzione di opere e necessaria a garantire l'incolumità pubblica, ovvero quella che, di derivazione giurisprudenziale, si può riferire alla "tutela extracontrattuale" per gravi vizi e difetti delle opere (cfr. artt. 1669 e 2043 del C.C.).

Per prestazioni pattuite, invece, sono da ricomprendere, con criterio residuale, tutte le prestazioni e/o singole prestazioni con relativi contenuti e costituenti determinate prestazioni non qualificantesi come dovute e quindi rientranti nella disponibilità negoziale delle parti.

La forma contrattuale è, come noto, un requisito essenziale del contratto (cfr. art. 1325 C.C.(14)), la quale risulta generalmente libera fatti salvi i casi in cui la legge prescrive la forma scritta e relativa modalità (es. scrittura privata, atto notarile, ecc.).

La forma scritta è obbligatoria per i contratti con la Pubblica Amministrazione (cfr. art. 11, comma 13, d.lgs. n. 163/2006) e per i contratti degli avvocati e dei praticanti abilitati con i loro clienti (cfr. art. 2233, comma 3, C.C.).

Tuttavia, in ragione di quanto finora argomentato, la forma scritta risulta sempre opportuna(15), non solo per esporre la misura del compenso dovuto al professionista in caso di adempimento (esatto) della prestazione, bensì anche per regolare l'oggetto della prestazione professionale e le altre disposizioni sul rapporto contrattuale (es. doveri reciproci, risoluzione, ecc.).

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NOTE

(1) Art. 1326 - conclusione del contratto.

Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.
L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi.
Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all'altra parte.
Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata, l'accettazione non ha effetto se è data in forma diversa.
Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.

(2) Art. 1321 - nozione.

Il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.

(3) Art. 1173 - fonti delle obbligazioni.

Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto, o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico.

(4) Art. 1174 - carattere patrimoniale della prestazione.

La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale del creditore.

(5) Art. 1218 - responsabilità del debitore

Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

(6) Art. 1176 - diligenza nell'adempimento.

Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.

(7) Art. 2230 - prestazione d'opera intellettuale.
Il contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente [art. 2222 e ss].
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.

(8) Art. 33, comma 5.
E' prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

(9) Art. 359 - persone esercenti un servizio di pubblica necessità.
Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione.

(10) Art. 348 - abusivo esercizio di una professione.
Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516.

(11) Art. 1322 - autonomia contrattuale.
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

(12) Art. 2229 - esercizio delle professioni intellettuali.
La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi.
L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali
[Ordini e Collegi], sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.
Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.

(13) Art. 2231 - mancanza d'iscrizione.
Quando l'esercizio di un'attività professionale è condizionato all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione.

La cancellazione dall'albo o elenco risolve il contratto in corso, salvo il diritto del prestatore d'opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all'utilità del lavoro compiuto.

(14) Art. 1325 - indicazione dei requisiti.
I requisiti del contratto sono:

1) l'accordo delle parti;

2) la causa;

3) l'oggetto;

4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.

(15) Il nuovo codice deontologico del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori in vigore dal 1 gennaio 2014, introduce come disciplina deontologica quanto già regolato direttamente dalla legge (art. 9, comma 4, legge n. 27/2012) ed espunto dai principi di riforma degli ordinamenti professionali; il nuovo codice, inoltre, integra dette disposizioni anche con l'obbligo deontologico della forma contrattuale scritta (cfr. art. 24). Pur nella riconosciuta autonomia disciplinare delle singole organizzazioni professionali, è possibile che disposizioni di questo tipo travalichino il potere di autogoverno della categoria.

 

 

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